Sentenza n. 109 del 1983

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SENTENZA N 109

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 82, comma primo, e 91 commi secondo e tredicesimo n. 2 del d.P.R. 15 settembre 1959, n. 393 e successive modificazioni (codice della strada) promossi con le ordinanze emesse il 26 febbraio 1976 dal Pretore di Prato, il 3 dicembre 1975 dal Pretore di Misilmeri, il 7 dicembre 1978 dal Pretore di Cerignola e il 9 gennaio 1980 dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Frosinone, rispettivamente iscritte ai nn. 279 e 358 del registro ordinanze 1976, al n. 330 del registro ordinanze 1979 e al n. 100 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 139 e 158 del 1976, n. 175 del 1979 e n. 118 del 1980.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1982 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

udito l'avvocato dello Stato Luigi Siconolfi, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 26 febbraio 1976 (r.o. 279/76) nel corso di un procedimento penale a carico di Ciabatti Alessandro - imputato del reato di cui all'art. 80, comma tredicesimo C.d.S. per aver condotto un autocarro nonostante la sospensione della patente, disposta nei suoi confronti in quanto diffidato (art. 1 l. 27 dicembre 1956, n. 1423) - il Pretore di Prato sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 91, secondo comma, del codice della strada (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393), assumendone il contrasto con gli artt. 4 e 3, primo e secondo comma, Cost..

Il conferimento al Prefetto del potere "del tutto discrezionale" di privare i diffidati - "a carico dei quali grava, al più un semplice sospetto, e dunque un'ammonizione a ben comportarsi e a darsi un lavoro" - del possibile strumento per esercitare un'attività onesta sarebbe in contrasto con l'art. 4 Cost. in quanto, precludendo tutta una serie di attività che comportano la guida di veicoli, vanificherebbe, ad avviso del giudice a quo, il diritto al lavoro garantito dall'art. 4 Cost..

D'altra parte, non essendo la discrezionalità del Prefetto circoscritta con la fissazione di parametri oggettivi - donde possibili ingiustizie e distorsioni, non sanabili a posteriori con la ricorribilità del provvedimento in quanto aventi radice nella stessa attribuzione del potere - sarebbe altresì violato l'art. 3, primo comma, Cost. La norma renderebbe invero possibile un trattamento diseguale tra i diffidati, e soprattutto tra questi e i non diffidati, "non giustificato dal sommario giudizio di cattiva condotta formulato dal questore in sede di diffida, né da esigenze di difesa sociale, per la mancanza di pericolosità insita nella titolarità della patente in sé considerata".

Inoltre, poiché le situazioni di cui all'art. 1 l. 1423/1956 trarrebbero origine, almeno in molti casi, da condizioni di emarginazione sociale ed economica, la preclusione, nei confronti dei diffidati, dell'opportunità di svolgere un'attività lavorativa onesta si tradurrebbe in un ostacolo limitativo di fatto della libertà ed eguaglianza dei cittadini, con conseguente violazione dell'art. 3, secondo comma, Cost..

In punto di rilevanza, il giudice a quo osservava che la dichiarazione d'illegittimità dell'art. 91, secondo comma, C.d.S. sarebbe valsa "a porre nel nulla il provvedimento del Prefetto, e quindi a fare ritenere la conservazione, da parte del Ciabatti, della titolarità della patente, al peggio ponendolo nella condizione di chi abbia guidato senza portare con sé la patente (violazione amministrativa prevista dall'art. 90 C.d.S.)".

2. - La medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 91, secondo comma, C.d.S. veniva altresì sollevata - sempre in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 4 Cost. - dal Pretore di Cerignola con ordinanza del 7 dicembre 1978 (r.o. 330/79) emessa nel procedimento penale a carico di Raffaele Francesco, di professione autotrasportatore.

Nell'ordinanza, il Pretore svolgeva argomentazioni analoghe a quelle sopra richiamate, insistendo, in particolare, da un lato sul fatto che la guida di autoveicoli "é spessissimo vera e propria necessità, tanto da costituire ormai un vero e proprio diritto alla guida", e dall'altro sulla mancanza di determinazione dei presupposti, caratteri e limiti del provvedimento di sospensione della patente, che sarebbe sostanzialmente "una pena accessoria, applicata, senza la commissione di un reato, da una autorità non giurisdizionale, e pertanto al di fuori di una sicura garanzia".

3. - Nel giudizio così instaurato interveniva l'Avvocatura dello Stato, la quale rilevava che con la misura in questione veniva privilegiato l'interesse della collettività alla sicurezza nei confronti dei diffidati rispetto alla conservazione da parte di costoro dell'abilitazione alla guida e che non poteva perciò ritenersi leso il diritto al lavoro, trovando questo dei limiti nell'esigenza di tutela di altri interessi di rilievo costituzionale.

Nel momento della sua emanazione - osservava ancora l'Avvocatura - il provvedimento di sospensione della patente postula la rispondenza a specifiche esigenze di tutela dell'ordine pubblico, la cui mancanza consente il ricorso in via amministrativa e in via giudiziaria con le conseguenti connesse garanzie. Né potrebbe ritenersi che il potere discrezionale trasmodi in arbitrio, essendo il Prefetto tenuto a mantenere il provvedimento finché persista la pericolosità del diffidato ed a revocarlo quando siano venuti a cessare, col cambiamento di condotta di costui, i motivi della diffida.

4. - Della legittimità costituzionale dell'art. 91, secondo comma, C.d.S. dubitava altresì il Pretore di Misilmeri il quale, in un'ordinanza del 3 dicembre 1975 (r.o. 358/76) prospettava un contrasto di detta norma con l'art. 35, primo e secondo comma, Cost., per non essere il potere discrezionale del Prefetto subordinato all'accertamento che la patente costituisca per il diffidato indispensabile e onesto mezzo di lavoro. Tale condizione ricorreva nel caso di specie, essendo imputato nel procedimento a quo un piccolo imprenditore edile, cui la conduzione di automezzi era, secondo il Pretore, necessaria per il trasporto degli operai e del materiale edile.

5. - Decidendo su un'istanza con cui Spaziani Giuseppe lamentava che a seguito della sottoposizione a libertà vigilata gli fosse stata revocata la patente di guida, nonostante che essa gli fosse necessaria per l'esercizio del commercio ambulante da cui traeva i mezzi di sostentamento, il Magistrato di Sorveglianza di Frosinone, con ordinanza del 9 gennaio 1980 (r.o. 100/80), sollevava, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 82, primo comma, e 91, tredicesimo comma, n. 2, d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 "nella parte in cui rispettivamente escludono che i soggetti in stato di libertà vigilata possano essere ammessi all'esame per il conseguimento della patente di guida, ovvero che possano continuare ad avere il possesso della patente, di cui siano già muniti".

Il giudice a quo contestava innanzitutto la razionalità della assimilazione, a tali effetti, della libertà vigilata - misura di sicurezza non detentiva - "da un lato agli istituti della delinquenza abituale, professionale e per tendenza, e, dall'altro, alle misure di sicurezza detentive, ora eseguibili in regime di semilibertà a norma degli artt. 48 e ss. legge 26 luglio 1975 n. 354". Ed osservava che tali provvedimenti, ostacolando l'attività lavorativa del libero vigilato, possono seriamente pregiudicarne il reinserimento sociale, privilegiato dallo stesso legislatore con le norme di cui agli artt. 228, quarto comma, c.p. e 649, ultimo comma, c.p.p.. Né varrebbe a giustificarli la finalità di prevenire la commissione di nuovi reati, potendo comunque il libero vigilato circolare in autoveicoli condotti da terzi ed essendo egli soggetto, in caso di trasgressione agli obblighi impostigli, alla proroga della misura di sicurezza e, nei casi più gravi, alle sanzioni di cui all'art. 231 cpv. c.p.

D'altra parte - osservava ancora il giudice a quo - "la libertà vigilata ricomprende situazioni oggettivamente e soggettivamente ben differenziate, che vanno dai casi più gravi, in cui essa sia comminata in commutazione di misura di sicurezza detentiva ovvero in conseguenza di condanna superiore ai 10 anni di reclusione (art. 230 n. 1 c.p.), ai casi in cui la libertà vigilata sia stata invece discrezionalmente disposta (art. 229 c.p.: condanna alla reclusione per un tempo superiore ad un anno ed inferiore a 10 anni o commissione di quasi reato) ovvero consegua alla liberazione condizionale, che presuppone il sicuro ravvedimento del reo (art. 176 c.p.)".

"Parrebbe quindi più aderente al contenuto ed alle finalità proprie della libertà vigilata il rimettere all'apprezzamento discrezionale dell'Autorità amministrativa il decidere, sulla base delle particolarità di ciascuna fattispecie, se rilasciare o revocare la patente di guida a coloro che sono sottoposti a tale misura di sicurezza".

Tale soluzione si imporrebbe anche per l'esigenza di adeguamento della disciplina in questione alla riforma penitenziaria realizzata con la legge 26 luglio 1975, n. 354, che prevede tra l'altro che siano eseguibili in regime di semilibertà anche pene detentive relative a gravi reati: sicché può avvenire in pratica "che il semilibero, condannato ad esempio per omicidio volontario e non sottoposto a misure di sicurezza, abbia continuato ad avere il possesso della patente di guida, invece revocata a soggetti condannati per meno gravi reati e tuttavia facoltativamente sottoposti a libertà vigilata".

E per converso potrebbe verificarsi che lo stesso semilibero che ha mantenuto il possesso della patente in regime di semilibertà ne verrebbe poi privato ove ammesso al maggior beneficio della liberazione condizionale, dato che a questa consegue ex lege la libertà vigilata.

6. - Intervenendo nel giudizio così instaurato l'Avvocatura dello Stato si richiamava alle già accennate esigenze di sicurezza, discrezionalmente apprezzate dal legislatore ordinario, per dedurne la legittimità del sacrificio dell'interesse individuale al conseguimento o mantenimento dell'abilitazione alla guida e quindi la insussistenza delle dedotte violazioni degli artt. 3 e 4 Cost.; e ciò indipendentemente dalla equiparazione dei sottoposti a libertà vigilata con altri soggetti che, come i delinquenti abituali o per tendenza, versano in situazioni diverse. La sanzione "accessoria" in questione avrebbe d'altra parte, secondo l'Avvocatura, un'indubbia funzione rieducativa, essendo preordinata a porre "una remora tale da indurre il condannato ad un maggior controllo dei suoi comportamenti". Quanto poi ad eventuali modifiche all'istituto connesse alla riforma penitenziaria, si tratta, ad avviso dell'Avvocatura, di materia riservata alla potestà normativa del legislatore ordinario.

7. - Le predette quattro ordinanze, tutte ritualmente notificate e comunicate, venivano pubblicate, rispettivamente, nella Gazzetta Ufficiale nn. 139 del 26 maggio 1976 (ord. 279/76), 175 del 27 giugno 1979 (ord. 330/79), 158 del 16 giugno 1976 (ord. 358/76) e 118 del 30 aprile 1980 (ord. 100/80).

Considerato in diritto

1. - Delle quattro ordinanze di rimessione, tre (r.o. nn. 279 e 358 del 1976; 330 del 1979) dubitano della legittimità costituzionale della medesima disposizione di legge (art. 91, secondo comma, del Codice della strada, approvato con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 e successive modificazioni), sia pure in riferimento a parametri costituzionali diversi, mentre la quarta denunzia altra disposizione del medesimo testo normativo (art. 82, comma primo, e art. 91, comma tredicesimo, n. 2, del Codice della strada). Peraltro tutte hanno ad oggetto la sospensione o la revoca, ad opera del Prefetto, della patente di guida a soggetti diffidati ovvero in stato di libertà vigilata, così che i relativi giudizi, trattati congiuntamente, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - I Pretori di Prato (r.o. n. 279 del 1976), di Cerignola (r.o. n. 358 del 1976) e di Misilmeri (r.o. n. 330 del 1979) denunziano, come si é detto, l'art. 91, comma secondo, del Codice della strada, in forza del quale "La patente può essere sospesa dal Prefetto alle persone diffidate ai sensi dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423". Secondo i giudici a quibus la disposizione di legge in questione, conferendo al Prefetto, in tema di sospensione della patente a soggetti diffidati, un potere "del tutto discrezionale", contrasterebbe:

a) con l'art. 3, comma primo, Cost. in quanto rende possibile un trattamento disuguale tra soggetti tutti diffidati o, anche, tra soggetti diffidati, da un lato, e non diffidati, dall'altro;

b) con l'art. 3, comma secondo, Cost. in quanto pone ostacolo allo svolgimento di oneste attività lavorative, così limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini;

c) con l'art. 4 ovvero con l'art. 35, primo e secondo comma, Cost., in quanto può venirne vanificato il diritto al lavoro (per il quale sia richiesta la patente di guida) o eluso l'obbligo della Repubblica di tutelare il lavoro stesso "in tutte le sue forme ed applicazioni" dal momento che la sospensione della patente al diffidato non é "subordinata all'accertamento che la patente medesima costituisce per il diffidato" stesso "indispensabile ed onesto mezzo di lavoro".

3. - Le censure proposte dai giudici rimettenti vanno esaminate nel contesto della disciplina vigente in materia di guida degli autoveicoli, per esercitare la quale - come é risaputo - é necessario ottenere uno specifico titolo abilitativo, da rilasciarsi dal Prefetto. Il conseguimento della patente di guida é subordinato all'accertamento dell'esistenza, in capo al soggetto interessato, dei requisiti e delle condizioni all'uopo stabiliti dalla legge, che attengono alla capacità tecnica, alla idoneità fisica e a quella morale, dell'aspirante alla guida. I "requisiti morali" sono indicati, in negativo, dai commi primo e secondo dell'art. 82 del Codice della strada. Nelle situazioni ivi specificate l'esercizio del (preesistente) diritto del singolo a circolare liberamente alla guida di autoveicoli - subordinato, in via generale, all'accertamento, da parte dell'autorità, dell'esistenza, nel soggetto interessato dei requisiti di idoneità fisica e tecnica - incontra un limite posto a tutela della sicurezza pubblica: in termini vincolanti, nei casi previsti dal primo comma dell'art. 82 del Codice della strada; in seguito ad una valutazione, negativa, discrezionalmente espressa dall'autorità prefettizia, nelle ipotesi di cui al secondo comma del medesimo art. 82.

Si consideri, dunque, la patente di guida una vera e propria autorizzazione di polizia, secondo l'opinione prevalente, oppure una abilitazione, ovvero ancora un provvedimento di natura mista, é comunque indubbio che il potere del Prefetto, di negare o di sospendere la patente stessa ai soggetti previamente diffidati dal questore ha carattere discrezionale, concretandosi in un apprezzamento di merito, della situazione del diffidato, con riferimento specifico all'uso da parte sua del mezzo automobilistico.

4. - Giova, a questo punto, ricordare che la legittimità costituzionale di disposizioni del Codice della strada limitative del diritto di circolare alla guida di autoveicoli é stata riconosciuta da questa Corte già con la sentenza n. 6 del 1962, con la quale venne esclusa la violazione sia dell'art. 13 che dell'art. 16 Cost.. Ma anche a voler prescindere dalle argomentazioni ivi svolte, per cui la garanzia apprestata dall'art. 16 Cost., non si estenderebbe al "diritto di guidare veicoli a motore" si dovrebbe pur sempre riconoscere che il codice della strada, nei disposti qui considerati (art. 82, secondo comma, e art. 91, secondo comma) rispetta le condizioni (riserva di legge con carattere generale, motivi di sicurezza) che la norma costituzionale (art. 16) pone per la eventuale limitazione del diritto.

Con la successiva sentenza n. 87 del 1971 questa Corte ha escluso che l'art. 91, secondo comma, del Codice della strada offenda il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, comma primo Cost.

Nell'occasione la Corte ha precisato che la previa diffida del questore é condizione necessaria, ma non sufficiente perché il Prefetto possa negare o sospendere la patente di guida al diffidato, al qual fine occorre, invece, accertare la specifica pericolosità del soggetto interessato. Ribadendo, quindi, il carattere discrezionale del provvedimento facoltativo del Prefetto di sospensione della patente al diffidato, la Corte ha rammentato che "in ogni caso l'esercizio del potere discrezionale é soggetto al controllo del giudice amministrativo, il quale si estende sicuramente alla razionalità, alla imparzialità, alla parità di trattamento".

Gli argomenti sopra sintetizzati sono stati, infine, ribaditi con la sentenza n. 215 del 1975 di questa medesima Corte, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 91, secondo comma, del Codice della strada sollevata in riferimento agli artt. 3 e 16 Cost. e non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 91, secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost.

5. - Vero é che i giudici a quibus si dolgono proprio della discrezionalità che, nell'ipotesi di cui all'art. 91, secondo comma (nonché dell'art. 82, secondo comma) del Codice della strada, come nell'esercizio di ogni altra attività estrinsecantesi in una valutazione di merito, é connotato naturale anche dell'azione amministrativa. Ciò nell'erroneo presupposto che la discrezionalità debba o possa impunemente tradursi in mero arbitrio dell'autorità prefettizia, la quale viceversa, é tenuta a rispettare i canoni della razionalità, dell'imparzialità e dell'uguaglianza di trattamento, la cui violazione é deducibile con tutti i mezzi di gravame esperibili in via amministrativa e in via giurisdizionale.

Ora, con la già ricordata sentenza n. 87 del 1971, questa Corte ha rilevato che il secondo comma dell'art. 91 del Codice della strada considera la diffida presupposto necessario, ma non sufficiente di per sé perché possa disporsi la sospensione della patente, a legittimare la quale occorre che l'autorità prefettizia accerti il sussistere di ulteriori elementi dai quali emerga l'esigenza di sospendere la patente (ovvero, nell'ipotesi di cui all'art. 82, secondo comma, Codice della strada, di negarne il rilascio) a tutela della sicurezza pubblica.

In altre parole, la mancanza o il venir meno dei "requisiti morali" non può dedursi in modo meccanico ed automatico, soltanto dalla condizione di diffidato del soggetto interessato, ma occorre invece accertare se l'esercizio da parte sua del diritto di circolare alla guida di autoveicoli possa ragionevolmente ritenersi in contrasto con esigenze di tutela della sicurezza pubblica, cui é preposta la P.A. e della quale appunto le qualità morali - da accertare nell'aspirante alla guida - si presume possano garantire il rispetto.

Ciò comporta che il provvedimento del Prefetto con cui si nega o sospende la patente nelle ipotesi considerate non potrà essere basato sul puro e semplice richiamo alla preesistente diffida del questore, ma, appunto perché facoltativo e discrezionale, dovrà enunciare, sia pure succintamente, i motivi ulteriori che giustificano l'autonoma valutazione del Prefetto.

6. - Tanto premesso é agevole riconoscere l'infondatezza della questione sollevata con riferimento all'art. 3, comma primo, Cost., già dichiarata, con la ricordata sentenza n. 87 del 1971 e da ultimo, in termini di manifesta infondatezza, con la sentenza n. 235 del 1975 di questa Corte. Il profilo parzialmente nuovo prospettato da uno dei giudici rimettenti (r.o. n. 279 del 1976) non é infatti tale da indurre a diverso orientamento. Invero, denunziare la disparità del trattamento riservato dalle disposizioni di legge in esame ai cittadini diffidati rispetto a quelli non diffidati, non ha alcun pregio stante la evidente incomparabilità (disomogeneità) delle situazioni poste a raffronto.

7. - Quanto alle diverse censure proposte dai giudici a quibus in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 4 e 35, primo e secondo comma, Cost. va preliminarmente osservato che la pretesa violazione degli indicati parametri costituzionali presuppone l'intangibilità del diritto a circolare alla guida di automezzi, del diritto a conseguire e conservare la patente, tutte le volte che l'esercizio di questo diritto appaia strumentalmente necessario per non porre "ostacoli limitativi di fatto della libertà e dell'uguaglianza dei cittadini" e per l'esercizio del diritto al lavoro, tutelato in tutte le sue forme e manifestazioni.

Un simile modo di argomentare non può però essere accolto perché riconosciuta la legittimità costituzionale di limitazioni, legislativamente poste, nei limiti fissati dalla Costituzione stessa, ad uno dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta, non possono poi giudicarsi invece illegittime le conseguenze che da quelle limitazioni legislative abbiano a derivare nell'esercizio di altri diritti ai quali sia apprestata uguale garanzia.

Nelle ipotesi che ci occupano una volta riconosciuta e ribadita la legittimità costituzionale delle limitazioni poste dalla legge, in via generale e per motivi di sicurezza, al diritto di guidare autoveicoli - o, se si vuole, al diritto di circolare liberamente anche alla guida di autoveicoli - le censure ora in esame si dimostrano chiaramente infondate.

Del resto, né l'art. 3, secondo comma, né l'art. 4, né l'art. 35 Cost. escludono che il legislatore possa, per l'esercizio di determinate attività, imporre modalità e limiti a tutela di altri interessi ed esigenze di evidente rilievo costituzionale, quale é indubbiamente la sicurezza pubblica.

8. - Va piuttosto rilevato che le ordinanze dei Pretori rimettenti ipotizzano tutte la sospensione della patente a soggetti diffidati, sul semplice presupposto della diffida, e senza tener conto che la patente stessa costituiva invece per gli interessati mezzo necessario al fine di svolgere un onesto lavoro.

Se così effettivamente fosse, se cioè venisse accertato che la patente di guida costituisce per il diffidato strumento indispensabile per attendere ad un onesto lavoro e così ottemperare alla ingiunzione di "cambiare condotta", in che consiste la diffida, la irrazionalità di un provvedimento di sospensione (come di diniego o di revoca) della patente stessa, assunto sulla base della sola diffida, per sé considerata, ben potrà essere denunziata come vizio di quel provvedimento, per chiederne l'annullamento. Dall'eventuale uso non corretto del potere discrezionale non può invece dedursi, come vorrebbero i giudici a quibus, l'illegittimità costituzionale della disposizione di legge che lo conferisce, e che - per quanto si é detto - appare tale da non offendere alcuno dei parametri invocati.

9. - Tanto precisato, si deve riconoscere che i giudici a quibus, con le censure sin qui disattese, esprimono il loro disagio e la loro critica nei confronti di un sistema normativo per cui attraverso la diffida del questore, da un lato, e la sospensione (o il diniego o la revoca) della patente di guida ai diffidati, ad opera del Prefetto, dall'altro, - e cioè mediante provvedimenti discrezionali dell'Autorità amministrativa, senza, quindi, preventivo controllo giurisdizionale - possono venire condizionate e limitate le aree di libertà e di autonomia dei singoli, nelle quali, secondo il comune modo di sentire, rientra anche la facoltà di circolare alla guida di autoveicoli.

Censure del genere, mosse ad un tessuto legislativo che, ad onta di successive modifiche, risente della sua origine in epoche e situazioni economiche e sociali diverse dalle attuali, investono però il merito di scelte di politica legislativa, in tema di prevenzione dei reati e di autorizzazione alla guida di autoveicoli, che sfuggono, in quanto tali, alla verifica di questa Corte.

10. - Il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Frosinone (r.o. n. 100 del 1980) dubita infine della legittimità costituzionale dell'art. 82, comma primo, e dell'art. 91, comma tredicesimo, n. 2, del Codice della strada, prospettandone il contrasto con l'art. 3, comma primo, Cost..

La questione é chiaramente inammissibile.

Invero, per usare le parole stesse con le quali nella ordinanza di rimessione si intende motivare la rilevanza della questione ivi sollevata, "i poteri - doveri demandati dalla legge al Magistrato di sorveglianza" attengono esclusivamente alla "applicazione, revoca ed esecuzione delle misure di sicurezza".

Ora il diniego e la revoca della patente di guida ai soggetti rientranti in una delle categorie indicate nell'art. 82, primo comma, del Codice della strada non costituiscono certamente "misure di sicurezza" ma provvedimenti alla cui emanazione l'autorità amministrativa é tenuta, quando si verifichino i presupposti stabiliti dalla legge. Tanto basta per escludere la legittimazione del Magistrato di sorveglianza a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni di legge denunziate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 91, secondo comma, del T.U. delle norme sulla circolazione stradale approvato con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 sollevata dai Pretori di Prato e Cerignola in riferimento agli artt. 3 e 4 Cost. e dal Pretore di Misilmeri in riferimento all'art. 35 Cost. con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 82, primo comma, e 91, tredicesimo comma, n. 2, del T.U. delle norme sulla circolazione stradale approvato con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, modificato dall'art. 2 legge 9 luglio 1967, n. 572, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost. dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Frosinone con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 1983.

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI -  Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO –

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 28 aprile 1983.