Sentenza n. 166 del 1982
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SENTENZA N. 166

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE         

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 38 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e dell'art. 58, comma terzo, del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l'esecuzione del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza); degli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi) e degli artt. 10 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), promossi con le ordinanze emesse il 28 ottobre l976 dal Tribunale di Rovigo, il 27 settembre 1978 dal Pretore di Montefiascone, il 20 luglio, il 9 luglio e il 5 ottobre 1979 dal Tribunale di Macerata, il 5 maggio 1980 dal Tribunale di Teramo, il 28 maggio 1980 dal Tribunale di Roma, il 19 giugno 1980 dal Tribunale di Rovigo e il 3 ottobre 1980 dal Tribunale di Macerata, rispettivamente iscritte al n. 715 del registro ordinanze 1976, ai nn. 64, 671, 672 e 835 del registro ordinanze 1979 ed ai nn. 524, 525, 719 e 807 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del 1977, nn. 87 e 332 del 1979, nn. 15, 270 e 338 del 1980 e n. 20 del 1981.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1982 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso dei procedimenti penali a carico di Prandi ttalo e Zurma Amedeo, imputati del reato di detenzione illegale di armi comuni da sparo, il Tribunale di Rovigo, con ordinanze emesse rispettivamente il 28 ottobre 1976 e il 19 giugno 1980, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 38 regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), 2 e 7 legge 2 ottobre 1967,n. 895, 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497 e (solo la seconda delle due ordinanze) 58, terzo comma, regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 (regolamento per l'esecuzione del t.u.delle leggi di p.s.), per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Il principio di eguaglianza sarebbe vulnerato dal combinato disposto di tali norme in quanto, non distinguendosi l'ipotesi di chi non abbia mai denunciato la detenzione di armi da quella di chi, denunciate le armi presso l'autorità di pubblica sicurezza del luogo di residenza originaria e di detenzione delle armi stesse, abbia omesso, in buona fede, di denunciare una seconda volta la medesima detenzione presso l'autorità del luogo ove abbia poi trasferito la sua residenza, verrebbero sottoposte del tutto irragionevolmente alla medesima pena due condotte penalmente rilevanti il cui grado di antigiuridicità appare però notevolmente difforme.

Nel primo dei due giudizi ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.

Deduce l'Avvocatura che la pretesa "diversità" fra le due situazioni é stata erroneamente prospettata dal giudice a quo con riferimento ad un elemento soggettivo, la "buona fede", che non ha diritto di cittadinanza nell'ordinamento in quanto l'ignoranza della legge (in cui si sostanzierebbe la "buona fede") non può, alla stregua del principio fissato dall'art. 5 c.p., essere invocata "a propria scusa".

Tanto meno, poi, lo stato soggettivo può essere assunto a motivo determinante dell'"irrazionalità" della normativa o della "disparità" di trattamento fra le due situazioni. Infatti, una volta che si sia dato ingresso, inammissibilmente, ad una "buona fede" nell'ipotesi di omissione della denuncia di armi e munizioni presso l'autorità del luogo ove l'interessato abbia trasferito la residenza, non si vede perché la stessa buona fede non possa essere invocata nel caso di assoluta omissione della denuncia.

Ne consegue allora che il giudice a quo ha costruito una differenza di situazioni che, proprio perché fondata sull'elemento soggettivo, é irrilevante per la legge penale. Il presupposto della identità di trattamento é invece in un fatto puramente oggettivo: le due ipotesi, comparativamente prospettate, rispondono alla identica ratio di porre in condizione l'autorità di pubblica sicurezza territorialmente competente di conoscere tempestivamente con esattezza se e quali armi vengano detenute, in che misura (art. 10, sesto comma, legge n. 110 del 1975), in quale luogo, e in quali condizioni di sicurezza. Tutto ciò al fine di consentire l'esercizio della dovuta vigilanza e di prescrivere - se del caso - le misure contingenti perla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, anche per l'eventuale esercizio dei poteri derivanti al prefetto dall'art. 40 del t.u. delle leggi di p.s.. E, prosegue l'Avvocatura, interessa egualmente, ai fini di prevenzione, conoscere, ad esempio, quale concentrazione di armi e munizioni si verifichi in un determinato luogo a seguito del trasferimento in esso di più detentori. In altri termini, gli obblighi della prima denuncia e della successiva a seguito di trasferimento perseguono le medesime finalità rispondendo all'esigenza, sostanzialmente unitaria, di dare contezza all'autorità di pubblica sicurezza dell'esatta ubicazione delle armi, munizioni ed esplosivi.

Non é dato quindi vedere, conclude l'Avvocatura, per quale ragione il legislatore, nel determinare la sanzione, avrebbe dovuto prevederla in misura diversa per le due ipotesi, senza violare proprio quei principi dell'eguaglianza e della ragionevolezza che lo stesso giudice a quo ha richiamato.

La medesima questione (con esplicito richiamo all'ordinanza 28 ottobre 1976 del Tribunale di Rovigo) é stata sollevata dal Pretore di Montefiascone in data 27 settembre 1978 nel procedimento a carico di Capoccia Felice, imputato del reato di cui agli artt. 38 del t.u. delle leggi di p.s. e 697 c.p..

Ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione, in quanto motivata puramente e semplicemente per relationem all'ordinanza del Tribunale di Rovigo 28 ottobre 1976, venga dichiarata inammissibile.

2. - Un analogo incidente di costituzionalità é stato proposto dal Tribunale di Macerata con quattro ordinanze (di identico contenuto) emesse il 9 luglio 1979, il 20 luglio 1979,il 5 ottobre 1979 e il 3 ottobre 1980 nei procedimenti a carico, rispettivamente, di Pazzi Delio, Cionco imputati di illegale detenzione di arma comune da sparo, denunciando - sempre in relazione all'art. 3 della Costituzione - l'illegittimità costituzionale degli artt. 38 del t.u. delle leggi di p.s., 2 e 7 legge n. 895 del 1967, sostituiti dagli artt. 10 e 14 della legge n. 497 del 1974 nella parte in cui tali norme, nel prevedere come reato l'illegale detenzione di armi comuni da sparo, non distinguono la posizione di chi non abbia mai denunciato la detenzione di tali armi da quella di chi, denunciata la detenzione di esse presso l'autorità di pubblica sicurezza o il comando dei carabinieri del luogo di originaria residenza, abbia omesso di ripetere la denuncia nel luogo di nuova residenza.

La seconda ipotesi di reato, secondo il Tribunale, dovrebbe ritenersi senz'altro più lieve rispetto alla prima, "specie considerando che il luogo di nuova residenza di chi ha originariamente denunciato la detenzione di un'arma, e quindi il luogo di trasferimento di questa, può essere di regola accertato attraverso gli uffici anagrafici, come, nel caso di specie" (ordinanze 9 luglio 1979 e 20 luglio 1979), "é effettivamente avvenuto".

Nei primi tre giudizi instaurati dal Tribunale di Macerata é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto, riproducendo sostanzialmente le deduzioni sub 1, che la questione venga dichiarata non fondata.

Con specifico riferimento al giudizio promosso dall'ordinanza 5 ottobre 1979, ha poi argomentato che con un'amministrazione pubblica ottimamente funzionante in tutti i servizi resi dalle sue diverse branche di attività potrebbe bastare la prima denuncia e non occorrere la denuncia successiva in caso di trasferimento della residenza del detentore o dell'arma detenuta: ma ciò presuppone un'amministrazione ideale che, allo stato, non sembra trovare pieno riscontro nella realtà.

Anche il Tribunale di Teramo e il Tribunale di Roma, con ordinanze emesse rispettivamente il 5 maggio 1980 e il 28 maggio 1980, hanno sollevato la medesima questione di legittimità costituzionale nel corso dei procedimenti a carico, rispettivamente, di Attorrese Romolo e Fussotto Remo imputati di detenzione illegale di armi comuni da sparo.

É intervenuta in entrambi i giudizi la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto, riportandosi alle deduzioni sub 1, che la questione venga dichiarata non fondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le nove ordinanze in epigrafe sollevano questioni di legittimità costituzionale che per la loro sostanziale identità rendono opportuna la riunione dei relativi giudizi ai fini di un'unica decisione.

2. - Le questioni dedotte possono essere così sintetizzate:

a) se l'art. 38 regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), sia in contrasto conl'art. 3 della Costituzione (ordinanza emessa il 27 settembre 1978 dal Pretore di Montefiascone);

b) se il combinato disposto degli artt. 38 regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (t.u. delle leggi di p.s.), 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497 - nella parte in cui, prevedendo come reato l'illegale detenzione di armi comuni da sparo, non distingue sul piano sanzionatorio la posizione di chi non abbia mai denunciato la detenzione di tali armi dalla posizione di chi, denunciata la detenzione di una determinata arma presso l'autorità di pubblica sicurezza o il comando dei carabinieri del luogo di originaria residenza, abbia omesso di ripetere la denuncia nel luogo di nuova residenza - sia in contrasto con l'art. 3 Cost., data la diversità dei connotati obiettivi e subiettivi che caratterizzerebbero i due tipi di condotta sottoposti dal legislatore a tale medesimo trattamento (ordinanze emesse il 28 ottobre 1976 dal Tribunale di Rovigo; il 9 luglio 1979, il 20 luglio 1979,il 5 ottobre 1979 e il 3 ottobre 1980 dal Tribunale di Macerata; e il 28 maggio 1980 dal Tribunale di Roma, quest'ultima esplicitamente per quanto riguarda gli artt. 10 e 14 della legge n. 497 del 1974 ed implicitamente per quanto riguardale altre disposizioni);

c) se il combinato disposto degli artt. 38 regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (t.u. delle leggi di p.s.), 58 regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 (regolamento per l'esecuzione del t.u. delle leggi di p.s.), 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497 - laddove non distingue l'ipotesi di chi non abbia mai denunciato la detenzione di armi da quella di chi, denunciate le armi presso l'autorità di p.s. del luogo di residenza originaria e di detenzione delle armi stesse, abbia omesso in buona fede di denunciare una seconda volta la medesima detenzione presso l'autorità del luogo ove abbia poi trasferito la residenza stessa - sia in contrasto con l'art. 3 Cost., per il fatto di sottoporre alla medesima pena due condotte il cui grado di antigiuridicità sarebbe notevolmente difforme (ordinanze emesse il 5 maggio 1980 dal Tribunale di Teramo ed il 19 giugno 1980 dal Tribunale di Rovigo).

Poiché l'ordinanza sub a) del Pretore di Montefiascone risulta motivata puramente e semplicemente per relationem all'ordinanza emessa il 28 ottobre 1976 dal Tribunale di Rovigo, senza nemmeno aggiungere una qualche precisazione che consenta di individuare con esattezza i termini della fattispecie concreta (la premessa in fatto sembrerebbe far riferimento ad un'ipotesi di residenza immutata, mentre la fattispecie concreta di cui alla ricordata ordinanza del Tribunale di Rovigo concerne chiaramente un'ipotesi di trasferimento della residenza), la relativa questione va dichiarata inammissibile, non potendo dirsi rispettata la prescrizione dell'art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87.

Anche la questione sub c), sollevata dal Tribunale di Teramo e dal Tribunale di Rovigo (ordinanza del 19 giugno 1980), dev'essere dichiarata inammissibile nella parte in cui rende oggetto di censura l'art. 58 regio decreto 6 maggio 1940, n. 635. Trattandosi di regolamento, tale atto non ha la forza di legge richiesta per l'impugnabilità avanti alla Corte costituzionale dall'art. 134 Cost..

Per il rimanente, le due ordinanze del Tribunale di Teramo e del Tribunale di Rovigo (19 giugno 1980) vengono a coincidere con le ordinanze che hanno sollevato la questione sub b), non solo sotto il profilo formale emergente dal dispositivo, ma anche sotto il profilo sostanziale, potendosi considerare opinione ormai largamente diffusa che l'obbligo di rinnovare la denuncia in caso di trasferimento discenda direttamente dall'art. 38 del t.u. delle leggi di p.s.

3. - In un modo o nell'altro, dunque, le ordinanze di rimessione, per le quali é possibile scendere ad esaminare nel merito la questione proposta, concordano nel ritenere che le pene applicabili ai due tipi di condotta, consistenti l'uno nell'omessa denuncia iniziale della detenzione di un'arma della quale sia ammessa la detenzione e l'altra nell'omessa ripetizione della denuncia in caso di trasferimento da una località all'altra del territorio nazionale, sono le stesse: più precisamente, allorché l'omessa denuncia riguardi, come nelle situazioni concrete oggetto dei procedimenti penali a quibus, un'arma comune da sparo, si applicano le pene di cui agli artt. 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, nei testi rispettivamente sostituiti dagli artt. 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497.

Premesso che tale interpretazione é da tempo quella dominante in giurisprudenza, la questione si concentra nel verificare se siffatta eguaglianza di trattamento sia davvero priva di ragionevolezza, secondo quanto si afferma nelle ordinanze di rimessione, così da rendere arbitraria la scelta operata dal legislatore. Più in particolare, la questione si traduce nell'accertare se le due fattispecie di omessa denuncia presentino "un grado di antigiuridicità... notevolmente difforme" (v. le due ordinanze del Tribunale di Rovigo) nel senso di una "ben più lieve gravità" dell'omessa reiterazione di denuncia in caso di trasferimento rispetto all'omessa denuncia iniziale (v. le quattro ordinanze del Tribunale di Macerata e l'ordinanza del Tribunale di Teramo); e, prima ancora, se i connotati obiettivi e subiettivi delle due condotte omissive siano talmente diversi (v., oltre alle due ordinanze del Tribunale di Rovigo ed all'ordinanza del Tribunale di Teramo, l'ordinanza del Tribunale di Roma) da riverberarsi in modo sensibile sul rispettivo grado di antigiuridicità.

La questione non é fondata.

Basta esaminare il testo dell'art. 38, primo comma, regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, per tacere dell'art. 58, terzo comma, regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, perché ne emerga chiaramente l'assenza di differenze sotto il profilo soggettivo: la "buona fede" che le due ordinanze del Tribunale di Rovigo vorrebbero ravvisare nell'omissione "di denunciare una seconda volta la medesima detenzione" sottointende quell'inescusabile ignoranza della legge penale, che rende altrettanto indifferente ai fini dell'eventuale condanna un'analoga buona fede nell'omissione della prima denuncia.

Quanto al profilo oggettivo, il precetto risulta formulato in termini tali che la differenza finisce per essere una sola: quella, ovvia, che riguarda la "nuova" situazione in presenza della quale risorge l'obbligo di denunciare ("In caso di trasferimento del detto materiale da una località all'altra dello Stato", preciserà l'art. 58, terzo comma, cit.). Non può, invero, parlarsi di un'ulteriore ed autonoma differenza a proposito della "località" dove la nuova denuncia dev'essere effettuata: benché l'art. 58, terzo comma, cit. faccia specifico riferimento alla "località dove il materiale stesso é stato trasportato", tale indicazione altro non rappresenta che un corollario dell'analoga indicazione contenuta nell'art. 38, primo comma, cit., con riferimento "all'ufficio locale di pubblica sicurezza o, se questo manchi, al comando dei carabinieri". In altre parole, il legislatore vuole che la denuncia sia sempre effettuata nel luogo dell'attuale detenzione, si tratti della detenzione iniziale o di un successivo trasferimento. La precisazione fornita in proposito dall'art. 58, terzo comma, cit. potrebbe considerarsi pleonastica, se non fosse che, grazie ad essa, si é tolto di mezzo ogni dubbio circa la necessità di una denuncia (anche o solo) presso l'ufficio destinatario della denuncia precedente, risolvendolo negativamente.

5. - Queste considerazioni, oltre a dimostrare che nelle ipotesi raffrontate "le condizioni obiettive e subiettive" non sono così "evidentemente", "essenzialmente" o "radicalmente" diverse come pretenderebbero le ordinanze del Tribunale di Rovigo, del Tribunale di Teramo e del Tribunale di Roma, fanno risaltare in termini di non difformità l'effettiva ratio della duplice previsione criminosa in esame.

Proprio sottolineando la rilevanza che assume per il legislatore il luogo in cui l'arma é detenuta, l'Avvocatura Generale dello Stato, nei vari atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, coglie la suddetta ratio nei "motivi di ordine pubblico" per cui "interessa conoscere, con l'immediatezza imposta dall'importanza della notizia, sia chi é il detentore dell'arma sia il luogo nel quale l'arma é detenuta, da parte dell'autorità di p.s.", e ciò in funzione della "necessità di intervenire tempestivamente là dove le circostanze lo richiedano".

Al rilievo, formulato dalle quattro ordinanze del Tribunale di Macerata nel senso che il luogo di trasferimento dell'arma, in caso di trasferimento della residenza di chi già ne abbia inizialmente denunciata la detenzione, "può essere di regola accertato attraverso gli uffici anagrafici", si potrebbe rispondere con l'Avvocatura dello Stato che questo accertamento ex o officio presupporrebbe "un'Amministrazione pubblica ottimamente funzionante", cioè "una Amministrazione ideale, che, allo stato, non sembra trovare pieno riscontro nella realtà". Pertanto, il trasferimento dell'arma, non accompagnato da un obbligo di contemporanea denuncia penalmente sanzionato, potrebbe diventare un sin troppo comodo mezzo di occultamento. Se é pur vero che i giudici a quibus non si dolgono del fatto che l'omissione della "nuova" denuncia sia penalmente sanzionata, bensì soltanto del fatto che la sanzione risulti la stessa dell'omissione di denuncia iniziale, é altrettanto vero che, non essendo stata indicata nelle ordinanze di rimessione alcuna norma in grado di fungere da tertium comparationis (parametro da cui un giudizio di eguaglianza ben impostato non dovrebbe mai prescindere), l'eventuale fondatezza della questione comporterebbe, in queste condizioni, l'illegittimità della stessa attuale previsione di un obbligo di nuova denuncia.

6. - La ratio di controllo insita nella normativa denunciata, tanto maggiormente apprezzabile in un contesto storico travagliato dal sempre più conturbante dilagare di armi, munizioni e materie esplodenti (é questo il materiale cui si richiama, in generale, il dettato dell'art. 38, primo comma, regio decreto 18 giugno 1931, n. 773), trova una puntuale riconferma nel terzo ed ultimo comma dell'art. 38 cit., per il quale "L'autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di eseguire, quando lo ritenga necessario, verifiche di controllo... e prescrivere quelle misure cautelari che ritenga indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico".

Anche in vista dell'esercizio di altri poteri, come quelli previsti negli artt. 39 e 40 regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e di altri controlli, come quello più recentemente previsto dall'art. 10, sesto comma, legge 18 aprile 1975, n. 110, rappresenta, dunque, un'esigenza irrinunciabile che l'autorità locale di polizia sia posta in grado di conoscere quali e quante armi si trovano nel territorio di propria competenza, i luoghi della rispettiva detenzione ed i nominativi dei rispettivi detentori. Del resto, solo un controllo locale, periferico e capillare, può rivelarsi efficace, almeno in via di principio.

Una volta esclusa, in base alla necessità di avere a disposizione strumenti effettivi di controllo in tema di armi, munizioni e materie esplodenti, l'irrazionalità della normativa esaminata, non può non riconoscersi che questa rientra pienamente negli ambiti di quella discrezionalità legislativa nella determinazione delle pene non sindacabile in sede di legittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 38 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dall'ordinanza emessa il 27 settembre 1978 dal Pretore di Montefiascone;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalle ordinanze emesse il 5 maggio 1980 dal Tribunale di Teramo e il giugno 1980 dal Tribunale di Rovigo;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 38 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, e 10 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalle ordinanze emesse il 28 ottobre 1976 e il 19 giugno 1980 dal Tribunale di Rovigo, il 20 luglio 1979, il 9 luglio 1979, il 5 ottobre 1979 ed il 3 ottobre 1980 dal Tribunale di Macerata, il 5 maggio 1980 dal Tribunale di Teramo ed il 28 maggio 1980 dal Tribunale di Roma.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1982.