Sentenza n. 108 del 1982

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SENTENZA N. 108

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2, terzo comma (anche in relazione all'art. 23, terzo comma), e 3 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni ed egli esplosivi) promossi con le ordinanze emesse dal Tribunale di Firenze il 21 gennaio 1977, dal Tribunale di Bologna il 27 ottobre 1977, dal Tribunale di Pisa il 7 e il 21 febbraio, il 21 e il 7 marzo 1979, dal Tribunale di Venezia il 23 luglio 1979, dal Tribunale di Napoli il 26 settembre 1979, dal Tribunale di Ivrea il 6 novembre 1979, dal Tribunale di Pisa il 24 ottobre 1979, dal Tribunale di Vigevano il 27 settembre 1979 e il 15 novembre 1979 (due ordinanze), dal Pretore di San Giovanni Valdarno il 14 febbraio 1980, dal Tribunale di Ivrea il 13 maggio 1980, dal Tribunale di Milano il 23 aprile 1980, dal Tribunale di Vigevano il 30 ottobre e il 22 maggio 1980, dal Tribunale di Agrigento il 22 ottobre 1980 e il 19 gennaio 1981, dal Tribunale di Roma il 6 maggio 1981, dal Tribunale di Agrigento il 23 gennaio e il 13 febbraio 1981 e dal Tribunale di Milano il 27 marzo e il 2 aprile 1980,rispettivamente iscritte ai nn. 147 e 546 del registro ordinanze 1977, ai nn. 370, 371, 571, 718, 873, 901 e 1000 del registro ordinanze 1979, ai nn. 58, 122, 123, 124, 197, 443 e 490 del registro ordinanze 1980 ed ai nn. 12, 13, 74, 274, 447,505, 506, 522 e 523 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 del 1977, n. 32 del 1978, nn. 182, 265 e 353 del 1979, nn. 36, 43, 57,85, 124, 138, 228 e 263 del 1980 e nn. 70, 105, 179, 290,304 e 318 del 1981.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 1982 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Taddei Vasco imputato di porto illegale di una carabina ad aria compressa, il Tribunale di Firenze, con ordinanza 21 gennaio 1977 (R.O. 147/77), ha impugnato l'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, per contrasto con l'art. 70 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo, quella disposizione, con l'attribuire alla commissione consultiva di cui al successivo art. 6 il potere di escludere l'attitudine ad arrecare offesa alla persona per singoli tipi di armi ad aria compressa (con il conseguente risultato di non considerarle armi agli effetti di cui all'art. 2 cit.), conferirebbe alla predetta commissione il potere di delimitare il contenuto di norme giuridiche sanzionate penalmente, attribuendo in tal modo ad un organo amministrativo una potestà sostanzialmente legislativa, riservata alle Camere dall'art. 70 della Costituzione.

E intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione venga dichiarata non fondata.

Secondo l'Avvocatura, il "parere" reso dalla commissione consultiva "sulla catalogazione delle armi prodotte o importate nello Stato", mediante l'accertamento "che le stesse, anche per le loro caratteristiche, non rientrino nelle categorie contemplate nel precedente art. 1, nonché su tutte le questioni ad essa sottoposte dal Ministero dell'interno", non é atto né di produzione legislativa né di legislazione delegata, sibbene mero "atto di accertamento" delle caratteristiche delle armi in relazione all'attitudine delle stesse a recare offesa alla persona; un tale accertamento avrebbe quindi natura analoga all'elenco degli stupefacenti, ritenuto conforme alla Costituzione dalla Corte con le sentenze n. 36 del 1964 e n. 9 del 1972.

Analoga questione é stata sollevata dal Tribunale di Bologna con ordinanza 27 ottobre 1977 (R.O. 546/77) emessa nel procedimento penale a carico di Girlando Luca e Fabbri Davide imputati di porto illegale di una carabina ad aria compressa: parametri di riferimento gli artt. 70 e 25, secondo comma, Cost. vulnerati dalla incompletezza del precetto penale propria della norma denunciata, su cui incidono le valutazioni della commissione consultiva.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione venga dichiarata non fondata.

Nell'atto di intervento si rileva che non é ipotizzabile alcun contrasto con l'art. 25 della Costituzione giacché il legislatore ha fornito sufficienti ed idonei criteri per la identificazione della fattispecie integrante il reato, nel rispetto di un'esigenza pienamente soddisfatta dalla disposizione impugnata che non appare pertanto né incompleta né incerta (si citano le sentenze della Corte n. 27 del 1961 e n. 120 del 1963). L'attribuzione ad una speciale commissione consultiva del potere di stabilire quali armi ad aria compressa non siano in grado, e cioé non abbiano attitudine, a recare offesa alla persona appare razionale e giustificata giacché questi tipi di armi possono presentare caratteristiche tecniche tali da escludere nel modo più assoluto che, anche se rivolte da breve distanza contro la persona, il proiettile possa avere l'energia sufficiente ad arrecare offesa.

Quanto alla pretesa violazione dell'art. 70 della Costituzione, l'Avvocatura Generale formula deduzioni identiche a quelle sopra illustrate con riguardo all'ordinanza del Tribunale di Firenze.

Censure simili ha proposto il Tribunale di Napoli con ordinanza 26 settembre 1979 (R.O. 901/79) emessa nel procedimento penale a carico di Tassieri Vincenzo, Curci Ferdinando e Raya Salvatore, imputati di porto abusivo di un'arma da bersaglio da sala.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

Identiche le deduzioni formulate: il "parere" reso dalla commissione consultiva non é attività né di produzione legislativa né di legislazione delegata sibbene atto di accertamento delle caratteristiche delle armi, nell'ambito dei poteri attribuiti dalla legge alla commissione; non vi é, quindi, invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore.

Due ordinanze del Tribunale di Ivrea, pronunciate il 6 novembre 1979 (R.O. 1000/79) e il 13 maggio 1980 (R.O. 443/80) nei procedimenti penali a carico, rispettivamente, di Francisco Bernardino e Mastropieri Rocco, entrambi imputati di porto illegale di una carabina ad aria compressa, hanno riproposto come parametro costituzionale di raffronto dell'illegittimità del più volte citato art. 2, terzo comma, legge n. 110, gli artt. 25, secondo comma, e 70 della Costituzione.

Secondo il Tribunale la norma denunciata conterrebbe una vera e propria delega conferita dal Parlamento ad un organo amministrativo (commissione consultiva), delega contrastante con le indicate norme costituzionali in quanto attribuisce un potere legislativo ad un organo amministrativo.

"Infatti" - conclude il giudice a quo - "qualora si ritenesse legittima la delega,... allora la norma in questione"(art. 2, comma terzo, legge n. 110, cit.) "sarebbe integrabile mediante la decisione della commissione consultiva la quale, come organo amministrativo, potrebbe anche essere adita da questo giudice in caso di eventuale inerzia della commissione stessa".

In entrambi i giudizi é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto che si dichiari non fondata la proposta questione.

Dopo aver riportato il contenuto dei precedenti atti difensivi, in merito alla possibilità di "adire" la commissione, in caso di sua inerzia, l'Avvocatura rileva che tale possibilità appare incomprensibile, essendo ben noti i mezzi che l'ordinamento appresta in favore di chi vi abbia interesse e non certo a favore del potere giudiziario.

Peraltro, conclude l'Avvocatura, l'ipotesi dell'inerzia, ventilata dal giudice a quo, é manifestamente infondata giacché, ove si sia in presenza di un'arma ad aria compressa per la quale la commissione non abbia espresso il parere demandatogli dalla legge, tale arma é da ricomprendere tra le armi comuni da sparo, in quanto, al momento della commissione del fatto, non era stata assolutamente esclusa l'idoneità della stessa a recare offesa alla persona.

2. - Al principio di irretroattività della legge penale fa invece riferimento, per censurare la legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, legge n. 110 del 1975, il Tribunale di Venezia con ordinanza 23 luglio 1979 (R.O. 873/79) emessa nel corso del procedimento penale a carico di Ceccotto Pietro, imputato di detenzione illegale di una pistola ad aria compressa.

Premesso che il Ministero dell'interno, all'uopo interpellato, aveva indicato che la pistola ad aria compressa in giudiziale sequestro non era stata mai sottoposta al parere della commissione consultiva centrale, il giudice a quo ritiene che la norma denunciata si completa solo con le eventuali determinazioni della commissione, successivamente, quindi, alla realizzazione del fatto ed all'inizio dell'azione penale, con conseguente violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato.

Dopo aver richiamato le sue precedenti deduzioni, in ordine alle specifiche censure formulate dal giudice a quo l'Avvocatura rileva che le perplessità da questo manifestate non hanno ragion d'essere in quanto la fattispecie criminosa era chiaramente prevista dalla legge prima della realizzazione del fatto che non é assolutamente in funzione dell'intervento della commissione consultiva: quest'ultima può, sì, accertare che un'arma ad aria compressa non é idonea a recare offesa alle persone, così escludendola dalla categoria "armi comuni da sparo"; non può invece comprenderla in tale categoria ex post, come erroneamente ritenuto dal giudice a quo.

3. - Con tre ordinanze emesse il 27 settembre 1980 e il 15 novembre 1980 (R.O. 122, 123, 124/80) nei procedimenti a carico di Rassé Giuseppe, Franchini Giuseppe e Dallera Claudio, imputati di detenzione di armi ad aria compressa clandestine, il Tribunale di Vigevano ha denunciato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma terzo, legge n. 110 del 1975, in relazione all'art. 23, comma terzo, della stessa legge(l'imputazione elevata era infatti di detenzione di armi ad aria compressa clandestine ma, a parere dei giudici a quibus, era previamente necessario determinare se, ai sensi della norma impugnata, si trattasse o meno di armi), per violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

L'indicato precetto costituzionale sarebbe vulnerato sotto un duplice ordine di profili.

In primo luogo verrebbe implicitamente consentito ad un organo amministrativo (la commissione consultiva) di eventualmente escludere le caratteristiche di uno degli elementi obiettivi della fattispecie penale, derogando al principio di riserva assoluta di legge operante nella materia: "in ipotesi" di parere negativo della commissione, infatti, "il giudice sarebbe costretto, a sua volta, ad escludere l'estremo obiettivo del reato".

Da altro punto di vista, poi, il parametro costituzionale non sarebbe rispettato giacché la norma impugnata pone il cittadino in stato di incertezza sulla natura del reato nell'ipotesi di fatto consistente nella detenzione di congegni ad aria compressa, per effetto del potere di qualificarli o meno come armi da parte della commissione consultiva. Mancherebbe invece una necessaria previsione generale ad opera della norma con l'indicazione di criteri sufficientemente certi.

Identica questione é stata sollevata dallo stesso Tribunale nel corso dei procedimenti penali a carico, rispettivamente, di Damiani Bartolo e di Chiareghin Vittorio e altro, imputati di detenzione di una carabina ad aria compressa (questa volta non "clandestina") con ordinanze - 30 ottobre e 22 maggio 1980 (R.O. 12 e 13/1981). Identiche anche le deduzioni dell'Avvocatura Generale dello Stato intervenuta in entrambi i giudizi.

4. - Con ordinanza emessa il 14 febbraio 1980 (R.O.197/80), il Pretore di San Giovanni Valdarno, nel procedimento penale a carico di Nuzzi Vasco, imputato di porto illegale di una carabina ad aria compressa, ha denunciato anch'egli la illegittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, legge n. 110 del 1975, per contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Dopo il sequestro all'imputato di una carabina ad aria compressa mod. 62 di fabbricazione cinese, eseguito dalla polizia giudiziaria, il giudice a quo aveva richiesto alla commissione consultiva centrale per il controllo delle armi presso il Ministero dell'interno che, ai sensi dell'art. 2, comma terzo, legge n. 110 del 1975, gli fosse precisato se la carabina, a giudizio della commissione ed in relazione alle sue caratteristiche, avesse attitudine a recare offesa alla persona. Con nota 16 ottobre 1979 il Ministero aveva trasmesso una delibera senza data della commissione consultiva avente ad oggetto una carabina ad aria compressa cal. 4,5 denominata China Shangai mod. 1962, nella quale si affermava che, poiché la Procura della Repubblica di Acqui Terme aveva informato che un cane boxer era stato ferito con un pallino sparato da detta arma, e poiché "l'attitudine a recare offesa alla persona di un'arma si rileva dalla idoneità concreta e naturale a compromettere l'integrità fisica del corpo umano", la carabina in questione doveva ritenersi dotata di capacità offensiva.

Ciò premesso, osserva il Pretore che, non essendo una parte della categoria delle armi ad aria compressa determinata a priori dal legislatore, sibbene classificata caso per caso e successivamente all'apertura di un procedimento penale da parte di un organo amministrativo come la commissione consultiva, il precetto, almeno in parte, non é definito anteriormente al compimento dell'azione ma solo, ed eventualmente, dopo di essa e tramite l'interpretazione di una pubblica amministrazione.

Una tale disciplina sarebbe contrastante con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione che stabilisce il principio di legalità e tassatività della norma penale e richiede sia la precisazione di tutti gli elementi del precetto anteriormente alla condotta, sia la conoscenza del precetto da parte dei cittadini, che non possono addurre a scusante l'ignoranza della legge penale (art. 5 c.p.), né d'altronde possono preventivamente conoscere i deliberati della commissione consultiva, che non sono soggetti a pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Rileva allora il giudice a quo che il giudizio circa la capacità offensiva delle armi ad aria compressa potrebbe essere demandato alla pubblica amministrazione attraverso controlli preventivi o comunque a mezzo di tabelle per le quali si instaurasse una disciplina analoga a quella prevista per le sostanze stupefacenti dall'art. 11 della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (con la pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica).

Ritenendo costituzionalmente legittima la disciplina denunciata - conclude il giudice a quo - si giungerebbe all'assurda situazione di un cittadino che trova in libera vendita un oggetto e che poi, tratto a giudizio, solo dalla sentenza del giudice, vincolato alla delibera della commissione consultiva, apprende che quanto aveva acquistato era un'arma comune da sparo, soggetta alla disciplina di una legge che, oltre ad essere severa, deve essere equa per ragioni di certezza del diritto.

In tutti questi giudizi é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione venga dichiarata non fondata.

Dopo aver riprodotto quanto esposto nei precedenti atti difensivi (in particolare si riafferma il principio che l'attività della commissione si sostanzia in un mero atto di accertamento), con più specifico riferimento alle censure dedotte dal Pretore di San Giovanni Valdarno l'Avvocatura ribadisce che non può parlarsi di una classificazione dell'arma ad aria compressa nella categoria delle armi comuni da sparo "dopo" l'apertura del procedimento penale, in quanto la fattispecie criminosa é chiaramente prevista dalla legge prima della commissione del fatto e non é assolutamente in funzione dell'intervento della commissione consultiva.

5. - Con quattro ordinanze di identico contenuto emesse il 22 ottobre 1980 (R.O. 74/81), il 19 gennaio (R.O. 274/81),il 23 gennaio (R.O. 505/81) e il 13 febbraio 1981 (R.O. 506/81) nel corso dei procedimenti penali a carico, rispettivamente, di Bonelli Angelo, Vaccarello Domenico, Vella Domenico e Vinci Calogero, imputati ora di detenzione, ora di porto, ora di introduzione di armi ad aria compressa, il Tribunale di Agrigento ha riproposto la medesima questione di legittimità costituzionale (Pretore San Giovanni Valdarno), rilevando che la commissione consultiva, nell'esercizio del potere di escludere l'attitudine dell'arma ad aria compressa a recare offesa alla persona, definirebbe un elemento costitutivo della fattispecie penale, in contrasto con il principio della riserva di legge di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

In tutti i giudizi é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto, riproducendo le deduzioni già illustrate negli altri atti d'intervento, che la questione sia dichiarata non fondata.

6. - Quattro ordinanze con identica motivazione emesse dal Tribunale di Pisa il 7 e il 21 febbraio e il 2 e il 7 marzo 1979 (R.O. 370, 371, 571, 718/79), nei procedimenti penali a carico rispettivamente di Melani Paolo, Sicignano Francesco e altro, Ricotta Nellido e Mariottini Mario, imputati di detenzione o porto illegale di armi ad aria compressa, denunciano l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, legge n. 110 del 1975 in riferimento all'art. 101 della Costituzione.

Rilevano i giudici a quibus che, ai sensi della disposizione impugnata, la valutazione delle caratteristiche proprie dell'arma e la idoneità della stessa a recare offesa alla persona é demandata ad una commissione consultiva, la quale si é riservata (nota 26 novembre 1977 del Ministero degli interni) di emettere il suo giudizio caso per caso.

Un tale meccanismo costituirebbe così una vera delega conferita dal legislatore ad un organo amministrativo, collidente con l'art. 101 della Costituzione in base al quale i giudici sono soggetti soltanto alla legge; e ciò in quanto la valutazione del giudice sarebbe vincolata all'accertamento effettuato dall'autorità amministrativa.

Nei primi tre giudizi é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, che, ribadendo il carattere di atto di mero accertamento del parere espresso dalla commissione, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

All'art. 101 della Costituzione (anche se nel dispositivo del provvedimento si indica erroneamente come parametro l'art. 25) fa riferimento anche l'ordinanza emessa il 24 ottobre 1979 dal Tribunale di Pisa (R.O. 58/80) nel procedimento penale a carico di Giuntoli Alberto, imputato di detenzione illegale di una pistola ad aria compressa, che qualifica il potere attribuito alla commissione consultiva dall'art. 2, terzo comma, come una vera e propria delega legislativa ad un organo amministrativo, in contrasto con il disposto dell'indicata norma costituzionale in base ai quale i giudici sono soggetti soltanto alla legge.

7. - Tre ordinanze (di identico contenuto) del Tribunale di Milano, emesse il 23 aprile (R.O. 490/80), il 27 marzo (R.O. 522/81) e il 2 aprile 1980 (R.O. 523/81) nel procedimenti a carico, rispettivamente. di Canetta Silverio, di Biscuolo Ivan e altra e di Ferraio Angelo, censurano l'art. 2, comma terzo, in parte sotto nuovi profili.

Si osserva che può verificarsi il caso, insito necessariamente nella formulazione della norma, che la commissione consultiva escluda la qualità di arma per uno strumento che già abbia formato oggetto di condanna penale anche definitiva, con palese disparità di trattamento, a seconda del momento in cui intervenga la pronuncia della commissione, indipendentemente da chi provocata (violazione dell'art. 3 della Costituzione).

Rilevano inoltre le ordinanze a quibus che, se é vero che una norma penale può delegare all'autorità amministrativa la fissazione di determinati criteri generali per la configurazione della liceità o meno della fattispecie, e anche vero che ciò deve avvenire in base alla predisposizione legislativa di principi non generici: il che non può dirsi verificato per la norma in esame (contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione).

Si osserva, infine, che, poiché l'autorità giudiziaria, invece di applicare la regola generale e astratta, potrebbe doversi adeguare alle determinazioni concrete dell'autorità amministrativa, sarebbe conseguentemente violato l'art. 101 della Costituzione.

In tutti questi giudizi é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto preliminarmente che le questioni proposte nelle due ultime ordinanze (R.O. 522,523/81) vengano dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza.

Secondo l'Avvocatura infatti in tali procedimenti era stata elevata imputazione di detenzione di armi ad aria compressa in ordine alle quali non risultava espresso alcun parere da parte della commissione consultiva al momento della consumazione del reato; orbene, se tali tipi di arma sono considerati armi comuni da sparo a meno che la commissione non ne abbia escluso l'attitudine a recare offesa alla persona, una volta che le carabine ad aria compressa detenute dagli imputati non erano state "discriminate" dalla commissione, la fattispecie criminosa si era compiutamente realizzata e la sollevata questione di legittimità costituzionale resta conseguentemente priva di rilevanza. L'ipotetica eliminazione, sul piano costituzionale, della norma che attribuisce alla commissione il potere di escludere che una arma ad aria compressa possa recare offesa alla persona non avrebbe infatti alcuna incidenza nei giudizi a quibus, giacché, ove la norma denunciata venisse travolta, i giudici rispettivi dovrebbero sempre e comunque condannare, in presenza di una detenzione o porto di arma ad aria compressa, considerata sempre e comunque arma comune da sparo.

Passando al merito della questione, l'Avvocatura, dopo essersi riportata ai precedenti scritti difensivi con riguardo alle censure aventi quali parametri di riferimento gli artt. 25,secondo comma, e 101 della Costituzione, nega anche che la disciplina denunciata contrasti con il principio di eguaglianza.

Nella "singolare" ipotesi, avanzata dai giudici remittenti, di una condanna per porto d'arma ad aria compressa, arma successivamente "esclusa" dalla commissione, resta fermo che la fattispecie criminosa é chiaramente prevista dalla legge prima della realizzazione del fatto e non é assolutamente in funzione dell'intervento della commissione: se questa può accertare che un tipo di arma ad aria compressa non é in grado di recare offesa alla persona - e, quindi, escluderlo dalla categoria delle armi comuni da sparo, non certo ricomprenderlo in tale categoria cui appartiene "fisicamente" ab origine - la circostanza che Tizio venga condannato per il porto di una certa arma ad aria compressa e Caio non sia perseguito o sia assolto per il porto di un'arma dello stesso tipo, perché successivamente esclusa dalla commissione, non concreta affatto una differenza di trattamento costituzionalmente rilevante. Nel primo caso, infatti, si é in presenza di un'arma comune da sparo, nel secondo di un'arma penalmente irrilevante; con la conseguenza che la parità di situazioni, presupposto indeclinabile di un'ipotetica disparità di trattamento, non é configurabile in termini giuridici, giacché si tratta di due entità giuridicamente diverse.

8. - Con ordinanza 6 maggio 1981 (R.O. 447/81) emessa nel procedimento penale a carico di Catalano Antonio, imputato di detenzione illegale di una carabina ad aria compressa, il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 12 della legge 2 ottobre 1967, n. 897 (rectius: 895) e 2, comma terzo, della legge n. 110 del 1975,per contrasto con l'art. 24 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo appare discutibile la conformità al predetto parametro costituzionale di un sistema caratterizzato dall'impossibilità di esaminare tutte le armi ad aria compressa prodotte nel mondo ai fini dell'esclusione della attitudine di esse a recare offesa e dalla parallela giuridica impossibilità di superare aliunde, tramite perizia, la mancata valutazione dell'arma ad opera della commissione.

Secondo il Tribunale di Roma, in conclusione, tale impossibilità di prova configura una irragionevole limitazione del diritto di difesa quando, come nel caso in esame, l'arma non sia stata esaminata dalla commissione.

Nel giudizio non é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri né vi é stata costituzione della parte privata.

Considerato in diritto

1. - Le venticinque ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente identiche; pertanto, i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Oggetto di censura da parte dei giudici a quibus é l'art. 2, terzo comma, legge 18 aprile 1975, n. 110, là dove, per le armi ad aria compressa sia lunghe che corte, attribuisce alla commissione consultiva di cui all'art. 6 della stessa legge il potere di escludere, in relazione alle caratteristiche proprie di tali armi, l'attitudine a recare offesa alla persona.

Benché alcune ordinanze indichino nel dispositivo anche altre norme (in particolare, le ordinanze emesse dal Tribunale di Vigevano il 27 ottobre 1979 e, in numero di due, il 15 novembre 1979, indicano l'art. 23, terzo comma, legge 18 aprile 1975, n. 110, mentre l'ordinanza emessa dal Tribunale di Pisa il 24 ottobre 1979 indica l'art. 3 di tale legge e l'ordinanza emessa dal Tribunale di Roma il 6 maggio 1981 indica gli artt. 10, 12 legge 2 ottobre 1967, n.897, rectius artt. 1, 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, nel testo novellato dagli artt. 10, 12 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497), le denunce di illegittimità coinvolgono unicamente l'art. 2, terzo comma, ultima parte, legge 18 aprile 1975, n. 110, visto come "presupposto" per l'applicabilità di queste altre norme: il richiamo ad esse deve, cioè, intendersi effettuato al fine di meglio dimostrare la rilevanza della questione rispettivamente proposta, trattandosi delle disposizioni penali a base del capo d'imputazione, ovviamente applicabili nella specie soltanto in presenza di un tipo di arma ad aria compressa per il quale non sia esclusa l'attitudine a recare offesa alla persona.

3. - Tanto precisato per quel che concerne l'oggetto della questione, due ordini di ragioni impongono, peraltro, di soffermarsi attentamente sul punto della rilevanza: da un lato, l'esistenza di una eccezione espressamente sollevata in tal senso dall'Avvocatura dello Stato con il suo atto di intervento nei giudizi di legittimità promossi dal Tribunale di Milano con le ordinanze del 27 marzo 1980 e del 2 aprile 1980; dall'altro, la grande varietà delle situazioni concrete da cui hanno, di volta in volta, preso l'avvio le numerose ordinanze di rimessione, in dipendenza soprattutto del progressivo attuarsi, sia pur tra inevitabili lentezze ed innegabili incertezze, del sistema voluto dalla legge n. 110 del 1975, imperniata sull'istituzione della commissione consultiva centrale per il controllo delle armi e sulla catalogazione delle armi comuni da sparo.

L'eccezione dell'Avvocatura dello Stato, anche se sollevata soltanto nei due giudizi ora menzionati, entrambi attinenti ad ipotesi in cui l'imputazione concerneva un tipo di arma ad aria compressa "per la quale non risulta(va) espresso alcun parere della commissione al momento della consumazione del reato", potrebbe parimenti riguardare sia tutti i giudizi nati da ordinanze emesse anteriormente alla pubblicazione del catalogo nazionale delle armi comuni da sparo (cfr. D.M. 18 settembre 1979, in Supplemento straordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 268 del 29 settembre 1979), mai emergendo dai rispettivi atti processuali che per una qualsiasi delle armi al centro delle relative imputazioni la commissione consultiva centrale avesse espresso prima di allora un qualche parere; sia i giudizi nati da ordinanze emesse dopo la pubblicazione del catalogo nazionale in rapporto ad ipotesi in cui l'imputazione di detenzione o porto abusivo di arma da sparo si riferisce ad un'arma che "non é esplicitamente inclusa nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo, né la (cui) pericolosità é stata esclusa dalla commissione", come testualmente si precisa nello stesso atto di intervento dell'Avvocatura dello Stato.

Partendo dall'esatta osservazione che, sino all'eventuale diniego dell'attitudine a recare offesa alla persona da parte della commissione consultiva centrale, ogni tipo di arma ad aria compressa é "considerata" arma comune da sparo, l'Avvocatura conclude per l'irrilevanza della questione proposta tutte le volte che si sia in presenza di un'arma rispetto alla quale mai la commissione abbia espresso il suo avviso, e ciò sulla base dell'argomentazione seguente: "la ipotetica eliminazione, infatti, sul piano costituzionale della norma che attribuisce alla commissione il potere di escludere che un'arma ad aria compressa possa recare offesa alla persona, non avrebbe all'evidenza alcuna incidenza nelle specie decidende dal giudice penale il quale, anzi, ove quella norma fosse travolta, dovrebbe sempre e comunque condannare in presenza di una detenzione o porto di arma ad aria compressa considerata sempre e comunque arma comune da sparo". Ma proprio un'argomentazione come questa dimostra che l'eccezione dell'Avvocatura non può essere accolta: con il ritenere ineluttabile la condanna dell'imputato una volta eliminato dall'ordinamento il potere attribuito alla commissione consultiva dall'art. 2, terzo comma, ultima parte, legge n. 110 del 1975, si viene a dare per scontato che solamente tale commissione sarebbe in grado di escludere l'idoneità ad offendere, così aggirando l'aspetto che, come si vedrà fra poco, più direttamente incide nel merito della presente questione.

Quanto alla grande varietà delle situazioni oggetto dei procedimenti a quibus, già si é accennato alle differenze di datazione rispetto alla pubblicazione del catalogo (cui sono da aggiungere i suoi - per ora - ventuno aggiornamenti),differenze da tener presenti talvolta soltanto con riguardo al fatto addebitato (ciò accade quando la data del fatto, e non anche la data dell'ordinanza, é precedente a quella del catalogo), altre volte pure con riguardo all'ordinanza di rimessione (ciò accade quando sia il fatto sia l'ordinanza risalgono a date anteriori a quella del catalogo). A tali differenze, emerse una volta iniziata la pubblicazione del catalogo e da valutarsi alla stregua delle date delle ordinanze quali riportate nella parte in fatto, se ne accompagnano altre, ancor più importanti, a seconda che l'imputazione abbia per oggetto un'arma ad aria compressa inclusa nel catalogo come arma da sparo (tale il caso dei procedimenti cui si riferiscono l'ordinanza 15 novembre 1979 del Tribunale di Vigevano, imp. Franchini; l'ordinanza 13 maggio 1980 del Tribunale di Ivrea; le ordinanze 19 gennaio 1981, 23 gennaio 1981, 13 febbraio 1981 del Tribunale di Agrigento), oppure un'arma ad aria compressa mai presa in esame dalla commissione (tale il caso dei procedimenti cui si riferiscono le ordinanze 15 novembre 1979 del Tribunale di Vigevano, imp. Dallera; 2 aprile 1980 del Tribunale di Milano; 22 maggio 1980 del Tribunale di Vigevano; 22 ottobre 1980 del Tribunale di Agrigento; 30 ottobre 1980 del Tribunale di Vigevano; 6 maggio 1981 del Tribunale di Roma),oppure un'arma ad aria compressa esaminata dalla commissione in via informale (tale il caso cui fa riferimento l'ordinanza 14 febbraio 1980 del Pretore di San Giovanni Valdarno),oppure - ma si tratta di ipotesi che non trovano riscontro in alcuna delle fattispecie concrete considerate dalle ordinanze di rimessione - un'arma ritenuta dalla commissione addirittura arma da guerra e come tale non inclusa nel catalogo o, all'inverso, un'arma ritenuta dalla commissione, sempre in sede di eventuale catalogazione, inidonea ad offendere la persona, così da venire qualificata giocattolo ai sensi dell'art. 5 legge n. 110 del 1975.

Orbene, vi sono ordinanze, sia anteriori sia successive alla pubblicazione del catalogo, che, per il fatto di non contenere la benché minima precisazione della fattispecie concreta, costringono la Corte ad una declaratoria di inammissibilità per difetto di rilevanza: ciò si dica per l'ordinanza 21 gennaio 1977 del Tribunale di Firenze, che nulla specifica a proposito dell'imputazione contestata, né in fatto né in diritto; per l'ordinanza 27 ottobre 1977 del Tribunale di Bologna, che afferma apoditticamente la rilevanza della questione, senza nulla esplicitare in ordine all'imputazione; per l'ordinanza 26 settembre 1979 del Tribunale di Napoli, anch'essa completamente silente quanto ai termini dell'accusa contestata; per l'ordinanza 24 ottobre 1979 del Tribunale di Pisa, che, priva com'è di ogni precisazione della fattispecie concreta, non consente di valutare la rilevanza della questione dedotta, che riesce oscura anche per l'immotivato riferimento all'art. 3 legge n. 110 del 1975, concernente l'alterazione di armi, reato caratterizzato, tra l'altro, dall'aumento della potenzialità offensiva; e per l'ordinanza 6 novembre 1979 del Tribunale di Ivrea, dove la rilevanza é affermata apoditticamente senza alcuno specifico cenno all'imputazione.

In tutte le altre ordinanze la rilevanza della questione é sufficientemente motivata, con conseguente ammissibilità dell'impugnativa proposta da ciascuna di esse. Pertanto, la Corte può, a questo punto, passare all'esame del merito.

4. - La questione, che chiama in causa una serie cospicua di parametri costituzionali (artt. 3, 24, 25, secondo comma, 70, 101, secondo comma, Cost.), a reciproca integrazione l'uno dell'altro, in una logica di stretta connessione, nasce dal disagio che molti giudici di merito provano di fronte alla parte conclusiva dell'art. 2, terzo comma, legge n. 110 del 1975: una norma in forza della quale una commissione consultiva del Ministero dell'interno, potendo escludere l'attitudine a recare offesa alla persona per singoli tipi di arma ad aria compressa, così da estrometterli dal novero delle armi da sparo cui altrimenti apparterrebbero, verrebbe ad influire con interventi sporadici ed occasionali sul contenuto dei precetti penali in materia di armi da sparo, delimitandone i confini a guisa di un legislatore delegato (di qui il riferimento all'art. 70 Cost.), nel senso di rendere più ristretti i loro ambiti di applicazione ogni volta che per un tipo d'arma sia ravvisata l'inidoneità; e comunque completando di volta in volta tali precetti in violazione del principio di legalità e tassatività delle norme penali (di qui un primo riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost.), persino successivamente alla commissione del fatto e all'inizio dell'azione penale (di qui un altro riferimento all'art. 25, secondo comma, in quanto vi é sancita l'irretroattività della legge penale), con conseguente subordinazione della valutazione del giudice ordinario, che può averne dovuto magari sollecitare l'intervento, alla valutazione dell'autorità amministrativa (di qui il riferimento all'art. 101, secondo comma, Cost.), insuperabile aliunde tramite perizia (di qui il riferimento all'art. 24 Cost.), e non senza il rischio di gravi disparità di trattamento qualora la commissione consultiva escluda la idoneità ad offendere per un tipo d'arma che già abbia formato oggetto di condanna penale irrevocabile (di qui il riferimento all'art. 3 Cost.).

5. - Prima di pronunciarsi sulla fondatezza della questione, occorre verificare se la ricostruzione del significato della disposizione in esame così come é stato colto dai giudici a quibus ed il suo conseguente inquadramento nel nuovo sistema normativo in materia di armi comuni da sparo siano frutto di una puntuale interpretazione.

A tal fine, si rendono necessarie alcune precisazioni, oggi agevolate dall'intervenuto assestamento del sistema lungo l'arco di un'ormai ampia attuazione.

I poteri conferiti alla commissione consultiva centrale dalla legge n. 110 del 1975 sono di due tipi: specifici e generici. Poiché questi secondi si risolvono nel dare parere "su tutte le questioni ad essa sottoposte dal Ministero dell'interno in ordine alle armi ed alle misure di sicurezza per quanto concerne la fabbricazione, la riparazione, il deposito, la custodia, il commercio, l'importazione, l'esportazione, la detenzione, la raccolta, la collezione, il trasporto e l'uso delle armi" (art. 6,quinto comma, legge n. 110 del 1975), così da presentarsi con connotati di mera eventualità, a caratterizzare istituzionalmente la commissione restano i poteri specifici, esplicitati dal legislatore attraverso un conferimento diretto, non subordinato all'iniziativa del Ministero. Tali poteri, rispettivamente previsti dall'art. 2, terzo comma, ultima parte, e dall'art. 6, quinto comma, parte prima, legge n. 110 del 1975, e sempre destinati a tradursi in un parere al Ministero, riguardano l'uno l'esclusione dell'attitudine a recare offesa alla persona per le armi ad aria compressa, in relazione alle caratteristiche di esse, e l'altro la "catalogazione delle armi prodotte o importate nello Stato, accertando che le stesse, anche per le loro caratteristiche, non rientrino nelle categorie contemplate nel precedente art. 1", cioè nella categoria delle armi da guerra o tipo guerra, la catalogazione riguardando le sole armi comuni da sparo.

Quando si tratta di un'arma ad aria compressa i due poteri risultano strettamente collegati, nel senso che l'esercizio del primo ha luogo in occasione dell'esercizio del secondo, nell'ambito e nel rispetto delle relative procedure, quali puntualmente descritte nell'art. 7 legge n. 110 del 1975. L'art. 2, terzo comma, ultima parte, va, quindi, letto in correlazione con gli artt. 6 e 7, e a tale stregua valutato in ordine alla sua legittimità costituzionale.

Poiché il catalogo nazionale delle armi comuni da sparo é destinato a dar conto delle armi e soltanto delle armi "delle quali é ammessa la produzione o l'importazione definitiva", laddove in ordine alle armi non più oggetto di produzione o di importazione dispone l'art. 37, secondo comma, legge n. 110 del 1975, ne discende che il potere di escludere la idoneità ad offendere, con conseguente non inclusione dell'arma nel catalogo, é esercitabile dalla commissione unicamente nei confronti di armi ad aria compressa da produrre o da importare definitivamente.

Le regole dettate per la catalogazione garantiscono uno svolgimento ordinato e coerente delle varie operazioni, sia di quelle che sfoceranno nell'iscrizione a catalogo (oppure, qualora l'arma sottoposta all'esame della commissione dovesse risultare arma da guerra o tipo guerra, nel rifiuto d'iscrizione motivato in tali termini), sia di quelle che sfoceranno nell'esclusione dell'idoneità ad offendere la persona, con conseguente riconducibilità dello strumento ad aria compressa nella categoria delle armi giocattolo (art. 5, quarto comma, legge n. 110 del 1975). L'onere di avviare la procedura davanti alla commissione spetta al produttore o all'importatore interessato: ed é un onere che, da quando ha avuto luogo la pubblicazione del catalogo (anteriormente a tale pubblicazione, la produzione e l'importazione delle armi comuni da sparo erano liberamente ammesse in via transitoria, salve le sole condizioni fissate dall'art. 37, primo comma, legge n. 110 del 1975), impone al richiedente di soprassedere alla produzione o all'importazione sino a che la risposta della commissione non sia stata formalizzata. In caso contrario, diventa applicabile l'art. 23 legge n. 110 del 1975, che, nel n. 1 del suo primo comma, qualifica clandestine le armi comuni da sparo non catalogate ai sensi dell'art. 7, con tutti i rischi conseguenti.

Per le armi ad aria compressa, il rivolgersi alla commissione é un atto di parte privata che tende al conseguimento di un preciso titolo alla produzione o all'importazione come arma da sparo oppure come arma giocattolo, attraverso un meccanismo che si risolve in quel controllo preventivo sulla produzione o sull'importazione, del quale giustamente si mostra preoccupata l'ordinanza del Pretore di San Giovanni Valdarno, e che solo può garantire certezza, anzitutto ma non unicamente ai produttori, agli importatori e ai loro rivenditori, con determinazioni ufficialmente adottate in sede tecnica prima che abbiano inizio la normale produzione od importazione e le conseguenti attività commerciali.

L'interpretazione dei modi tipici d'intervento della commissione recepita dai giudici a quibus, nessuno dei quali ha, peraltro, sottoposto a censura di legittimità l'art. 6, quinto comma, legge n. 110 del 1975, se deve dirsi esatta per quanto riguarda i significati implicitamente riconosciuti agli artt. 6 e 7, non può dirsi tale per quanto riguarda l'art. 2, terzo comma, ultima parte, anche se non vi é dubbio che alla sfasatura di visuale abbiano contribuito le iniziali incertezze di comportamento da parte della stessa commissione, e non solo di essa, per la ritardata pubblicazione del catalogo e gli equivoci che si erano venuti frattanto a creare.

Istituita assai per tempo, senza che ancora le operazioni di catalogazione avessero inizio, la commissione era stata in alcune occasioni interpellata, ai fini dell'art. 2, terzo comma, ultima parte, non solo da produttori o importatori di armi giocattolo, ma anche da ufficiali di polizia giudiziaria e da magistrati circa la supposta idoneità ad offendere di taluni tipi di arma ad aria compressa: erano state fornite risposte autonome, variamente divulgate e comunque presentate come vincolanti, qualunque fosse il momento in cui la risposta veniva data rispetto al fatto oggetto di accertamento penale. Una volta avviata la catalogazione ed ancor più una volta pubblicato il catalogo, gli equivoci sono venuti a poco a poco dissolvendosi in seguito alla normalizzazione del sistema, al raccordo con le operazioni di catalogazione, all'esigenza che ad interpellare la commissione siano i produttori o gli importatori interessati ed alla divulgazione più capillare delle conclusioni accertate. Anche se a quest'ultimo proposito sarebbe auspicabile che tali esclusioni venissero ormai pubblicate nella Gazzetta Ufficiale come il catalogo, i suoi aggiornamenti ed i rifiuti di inclusione per essere l'arma da sparo risultata arma da guerra o tipo guerra, può ritenersi forma di pubblicità sufficiente quella ora in uso, con molteplici destinatari (prefetti, questori, ministeri vari, comandi militari e soprattutto il richiedente, che avrà tutto l'interesse di fornire copia della delibera ad ogni suo rivenditore e, per quel tramite, ad ogni acquirente).

Naturalmente, la generica possibilità di far richiedere dal Ministero dell'interno alla commissione pareri in ordine alle armi non impedisce ad un qualunque privato cittadino o ad un qualunque pubblico ufficiale di avvalersi di tale via informale per sollecitare un parere sull'eventuale inidoneità ad offendere di un'arma ad aria compressa. In tal caso, però, al parere che il Ministero ottenesse dalla commissione non potrebbe riconoscersi alcuna efficacia vincolante. Del resto, neppure nei confronti dei pareri tipici forniti, positivamente o negativamente, in sede di catalogazione é precluso al giudice ordinario ogni controllo, data la generale sindacabilità dell'atto amministrativo illegittimo da parte della autorità giudiziaria.

Interpretata come si é detto, la disposizione di cui all'art. 2,terzo comma, ultima parte, legge n. 110 del 1975, sfugge a tutte le prospettate censure di incostituzionalità.

6. - Ed invero, una volta escluso che il giudice penale sia tenuto a rivolgersi alla commissione consultiva centrale per risolvere i dubbi eventualmente insorti sull'inidoneità offensiva del tipo di arma ad aria compressa cui appartiene lo strumento oggetto del capo di imputazione (quanto alla specifica inidoneità che, in caso di guasto o di parti mancanti, potrebbe inficiare quello stesso strumento, mai la commissione consultiva centrale sarebbe comunque legittimata a pronunciarsi) ed una volta precisato, altresì, che i pareri della commissione sull'idoneità del tipo di arma, se espressi informalmente, non hanno alcuna efficacia vincolante, mentre, se espressi formalmente, non si sottraggono al sindacato di legittimità sull'atto amministrativo da parte del giudice penale, viene meno la possibilità di ravvisare l'esistenza di un contrasto con l'art. 101,secondo comma, Cost., per quanto riguarda la posizione del giudice e di un contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost., per quanto riguarda la posizione dell'imputato.

Allo stesso modo, non può dirsi violato il precetto dell'art. 25, secondo comma, Cost., là dove sancisce l'irretroattività della legge penale. Porta a tale conclusione non solo e non tanto il fatto che il giudice penale non é obbligato a rivolgersi alla commissione consultiva nel corso del processo, quanto e soprattutto il fatto che, prima di mettere in vendita un'arma da sparo, produttori ed importatori debbono attendere che la commissione si sia pronunciata ai fini dell'eventuale catalogazione. La logica del sistema, quando esso sia attuato, così come ora é attuato, comporta che la situazione normativa risulti sempre ben chiarita nel momento in cui, dandosi inizio alle operazioni di vendita, possono cominciare a realizzarsi quelle ipotesi di detenzione e di porto d'arma cui si riferiscono le ordinanze di rimessione motivate in punto di rilevanza. Per le medesime ragioni, non possono più verificarsi né l'ipotesi, ventilata dal Pretore di San Giovanni Valdarno di un cittadino che "trovi in libera vendita un oggetto e che poi, tratto a giudizio,.... apprende che quanto aveva acquistato era un'arma comune da sparo" (infatti, o l'arma é di produzione ed importazione posteriore alla pubblicazione del catalogo ed allora la libera vendita presuppone che la commissione si sia pronunciata esplicitamente, o l'arma é di produzione ed importazione anteriore, ed allora l'art. 37, secondo comma, legge n. 110 del 1975, esclude ogni sorpresa sulla liceità dell'acquisto, se venditore e compratore hanno rispettato le prescrizioni di tale articolo); né l'ipotesi, formulata nelle ordinanze del Tribunale di Milano che ne deducono un contrasto con l'art. 3 Cost., di un intervento della commissione che "escluda la qualità di arma per uno strumento che abbia già formato oggetto di condanna penale anche definitiva, con la conseguenza di una palese disparità di trattamento, a seconda del momento in cui intervenga la pronuncia della commissione" (infatti, dopo la pubblicazione del catalogo, se un tipo di arma vi risulta inserito, il potere di cui all'art. 2, terzo comma, ultima parte, non é più esercitabile dalla commissione, avendone essa implicitamente riconosciuto l'idoneità ad offendere: si tratterebbe, se mai, di addivenire ad una revisione del catalogo, che é, però, fattispecie assai diversa).

Non maggiore fondatezza può riconoscersi alla censura sollevata sempre in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., ma con particolare riguardo al profilo della riserva di legge in materia penale, un profilo strettamente connesso al parametro di cui all'art. 70 Cost., ora alternativamente ora congiuntamente richiamato e altrettanto privo di consistenza. Numerosi precedenti di questa Corte (sentenze n. 58 del 1975, n. 21 del 1973, n. 9 del 1972, n. 168 del 1971, n. 61 del 1969, ecc.), concordi nell'affermare che principio di legalità ed art. 70 Cost. sono violati solo quando non sia la legge "a indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell'autorità non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena", consentono di ribadire il medesimo concetto per quanto riguarda non solo gli interventi della commissione consultiva centrale per il controllo delle armi che abbiano a sfociare nell'inclusione dell'arma a catalogo (elemento conferente all'integrazione di diverse fattispecie criminose), ma anche gli interventi della stessa che abbiano a sfociare nell'accertamento dell'inidoneità ad offendere (elemento operante nel senso di discriminare altrettante condotte aventi ad oggetto l'arma risultata inidonea). Infatti, gli articoli 1, 2, 6 e 7 della legge n. 110 del 1975, considerati nel loro insieme, specificano a sufficienza "i presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti" dei pareri tipici previsti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, ultima parte, della legge 18 aprile 1975, n. 110, sollevate in riferimento agli artt. 25, secondo comma, 70 e 101, secondo comma, della Costituzione dalle ordinanze emesse il 21 gennaio 1977 dal Tribunale di Firenze, il 27 ottobre 1977 dal Tribunale di Bologna, il 26 settembre 1979 dal Tribunale di Napoli il 24 ottobre 1979 dal Tribunale di Pisa e il 6 novembre 1979 dal Tribunale di Ivrea;

2) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 1l0, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 70 e 101, secondo comma, della Costituzione dalle altre ordinanze in epigrafe nella parte in cui, per le armi ad aria compressa, sia lunghe che corte, attribuisce alla commissione consultiva di cui all'art. 6 della stessa legge il potere di escludere, in relazione alle caratteristiche proprie di tali armi, l'attitudine a recare offesa alla persona.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1982.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Brunetto  - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 10 giugno 1982.