Sentenza n. 22 del 1982
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SENTENZA N. 22

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Giuseppe SAJA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma secondo, della legge 10 novembre 1970. n. 869 (Disposizioni concernenti il personale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1975 dal Tribunale Amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da De Rossi Corrado ed altri contro il Ministero delle finanze e l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, iscritta al n. 378 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 23 giugno 1976.

Visti gli atti di costituzione di Zurlo Alfredo e del Ministero delle finanze e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 novembre 1981 il Giudice relatore Michele Rossano;

uditi l'avvocato Michele Costa per Zurlo Alfredo e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Ministero delle finanze e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso 10 maggio 1974 al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio De Rossi Corrado ed altri 89 dipendenti dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, addetti al Deposito generi di monopoli ed alla Manifattura Tabacchi di Roma, affermarono: che essi prestavano sette ore di servizio giornaliero continuativo, mentre avevano l'obbligo di orario di sei ore giornaliere, a norma del decreto 17 settembre 1939 del Capo del Governo, concernente tutti gli altri uffici della medesima Amministrazione situati in Roma; che avevano più volte chiesto di effettuare l'orario di sei ore o, quanto meno, di ricevere il compenso per lavoro straordinario relativamente alla settima ora, ma che l'Amministrazione non aveva né ridotto l'orario, né corrisposto il compenso richiesto. Chiesero, quindi, al suddetto Tribunale Amministrativo:

a) di dichiarare che essi avevano l'obbligo di osservare l'orario di sei ore giornaliere;

b) di condannare l'Amministrazione al pagamento del compenso per lavoro straordinario per la settima ora giornaliera di servizio;

c) di condannare l'Amministrazione al pagamento degli interessi corrispettivi, rivalutando il credito a norma dell'articolo 429 c.p.c.

Nello stesso ricorso gli istanti affermarono che - qualora si ritenessero operante, per gli uffici di Roma dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato, la legge 10 novembre 1970, n. 869, che fissava in 41 e 40 ore settimanali la durata del lavoro del personale della stessa Amministrazione - tale legge sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto determinava una discriminazione non giustificata tra uffici della stessa Amministrazione aventi tutti sede in Roma.

Nella memoria 25 ottobre 1975 i ricorrenti affermarono che la menzionata legge n. 869 del 1970 era in contrasto anche con l'art. 36 della Costituzione.

Con ordinanza 10 novembre 1975 il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ritenne rilevante ai fini della decisione della controversia e non manifestamente infondata la questione, sollevata dai ricorrenti, concernente la legittimità costituzionale dell'art. 1, comma secondo, legge 10 novembre 1970, n. 869, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 164 del 23 giugno 1976.

Nel giudizio davanti a questa Corte si é costituito Zurlo Alfredo, con atto depositato il 12 luglio 1976, chiedendo che venga dichiarato "illegittimo il secondo comma dell'art. 1 legge 10 novembre 1970, n. 869, nella parte in cui stabilisce un diverso orario di servizio del personale impiegatizio degli uffici nei confronti di tutto il personale dipendente dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato prestante servizio presso la Capitale, in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione".

Sono intervenuti il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro delle Finanze, rappresentati e difesi dall'avvocato generale dello Stato, con atti depositati il 13 luglio 1976, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata.

 

Considerato in diritto

 

L'art. 1 legge 10 novembre 1970, n. 869 (disposizioni concernenti il personale dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) prescrive:

"La durata settimanale del lavoro ordinario del personale impiegatizio ed operaio dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato é stabilita in 41 ore a partire dal 1 gennaio 1970 ed in 40 ore a partire dal 1 gennaio 1971".

"Per il personale impiegatizio degli uffici aventi sede nella capitale la durata della settimana lavorativa non può essere comunque superiore a quella stabilita per il restante personale dell'Amministrazione".

Secondo il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio l'art. 1, comma secondo, legge n. 869 del 1970, sopra trascritto, - nella parte che stabilisce, per il personale degli uffici dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, aventi sede nella Capitale, un orario di servizio diverso da quello di tutti gli altri impiegati della stessa Amministrazione che prestano servizio negli opifici e stabilimenti situati anch'essi nella Capitale - sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione.

La norma impugnata determinerebbe infatti una disparità di trattamento, sul piano giuridico e sul piano economico, priva di razionale giustificazione, tra impiegati della Amministrazione dei Monopoli di Stato: quelli addetti ad uffici con sede in Roma, per i quali la durata del lavoro é di 36 ore settimanali, e tutti gli altri impiegati, addetti ad uffici con sede fuori Roma e agli opifici e stabilimenti anche se aventi sede in Roma, per i quali il primo comma dello stesso art. 1 legge n. 869 del 1970 prevede la durata settimanale del lavoro di 41 dal 1 gennaio 1970 e di 40 ore dal 1 gennaio 1971, ferma restando la parità di retribuzione. E proprio perché tutti gli impiegati hanno eguale retribuzione, nonostante la diversità di orario, sarebbe violato l'art. 36 della Costituzione, che garantisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione commisurata anche alla quantità del lavoro prestato.

L'Avvocato Generale dello Stato ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità della questione perché concerne il comma secondo dell'art. 1 legge n. 869 del 1970, che contiene norma derogatoria alla regola generale sulla durata settimanale del lavoro del personale dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato stabilita dal comma primo dello stesso articolo. Ma l'eccezione dev'esser disattesa, in quanto il rilievo dell'Avvocatura si presta, se mai, ad incidere sul merito della proposta impugnativa.

Va invece considerata un'altra ragione di inammissibilità, concernente la natura della disparità di trattamento denunciata dal giudice a quo. In effetti, l'ordinanza di rimessione ricorda ma trascura espressamente di affrontare "i problemi insorti circa la vigenza attuale ed il valore della speciale normativa circa l'adozione dell'orario continuato negli uffici statali e degli enti pubblici della Capitale (per sei ore nei giorni feriali e per quattro ore nelle domeniche e negli altri giorni festivi) già prevista dal decreto del Capo del governo 17 settembre 1939". A questo proposito, anzi, l'ordinanza avverte che l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 8 del 1 luglio 1973 (rectius 1 luglio 1975), ha ritenuto l'abrogazione di tale disciplina, "sul riflesso della affermata sopravvenienza del termine di temporanea validità del citato decreto". Ma alla conclusione del Consiglio di Stato (del resto ribadita più volte nella successiva giurisprudenza del Consiglio medesimo) il TAR per il Lazio si limita ad opporre una cosiddetta "prassi interpretativa", in forza della quale gli uffici predetti farebbero pur sempre "costante applicazione" dell'orario a suo tempo fissato dal decreto 17 settembre 1939 del Capo del governo.

Con ciò, tuttavia, quella denunciata dal giudice a quo si risolve - secondo la stessa prospettazione dell'ordinanza in esame - in una disuguaglianza di mero fatto, che solo per effetto di un salto logico potrebbe venire ricondotta alla disposizione impugnata (ovvero alle norme cui essa fa rinvio, quale punto di riferimento dell'orario "per il personale impiegatizio degli uffici aventi sede nella Capitale").

Per definizione, dunque, la sollevata questione si dimostra insuscettibile di essere risolta dalla Corte, nell'ambito del sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 comma secondo, legge 10 novembre 1970, n. 869 (disposizioni concernenti il personale dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 gennaio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 4 febbraio 1982.