Sentenza n. 1 del 1982
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SENTENZA N. 1

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, lett. g, e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande) promosso con ordinanza emessa il 14 dicembre 1978 dal Pretore di Ferrara, nel procedimento penale a carico di Saiani Rosano, iscritta al n. 95 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 dell'11 aprile 1979.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 ottobre 1981 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento penale a carico di Saiani Rosano, imputato del reato di cui agli artt. 5 lett. g), e 6, quarto comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283, il Pretore di Ferrara, con ordinanza del 14 dicembre 1978, sollevava d'ufficio questione di legittimità costituzionale di dette disposizioni, assumendone il contrasto con l'art. 3 Cost. Alla stregua di tali norme, osservava il Pretore, sono punite con identica pena due distinte ipotesi di reato, e cioé:

1) l'aggiunta nella preparazione di alimenti e bevande di additivi chimici non autorizzati con decreto del Ministro della Sanità;

2) l'aggiunta di additivi chimici autorizzati senza l'osservanza delle norme prescritte per il loro impiego, ed in particolare senza l'indicazione sul prodotto della loro presenza (ipotesi, quest'ultima, della quale doveva rispondere il Saiani). Tale parificazione quoad poenam sarebbe in contrasto col principio di uguaglianza, trattandosi di ipotesi "tra loro notevolmente diverse in relazione alla loro diversa gravità".

"Infatti, mentre nella prima non può che ravvisarsi una fattispecie di notevole gravità, in considerazione del fatto che, non essendo consentiti gli additivi chimici impiegati, questi potrebbero essere tossici o comunque altamente dannosi o nocivi (e quindi si tratta di norma predisposta per la tutela della salute ed incolumità del consumatore); nella seconda ipotesi, invece, trattandosi di impiego di additivi chimici consentiti in quanto non tossici, né dannosi né nocivi, si tratta di norma diretta a tutelare solo la conoscenza e la buona fede del consumatore o acquirente e quindi priva di ogni aspetto relativo alla tutela della salute e della incolumità dello stesso".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 102 dell'11 aprile 1979.

L'Avvocatura dello Stato, intervenuta nel giudizio, richiamava l'indirizzo di questa Corte secondo cui "l'osservanza del principio di eguaglianza non esclude che il compito della determinazione della misura delle sanzioni penali resti di spettanza del legislatore (sentenza n. 9 del 1972) in funzione dei suoi indirizzi di politica sociale, sottraendosi il giudizio della Corte sempre che la sperequazione non presenti punte tali da non riuscire sorretta da una benché minima giustificazione di ordine razionale e logico (sentenze nn. 119 del 1973, 218 e 271 del 1974, 5 del 1971)". Alla stregua di tale principio, la questione, ad avviso dell'Avvocatura, andava dichiarata infondata, non potendosi qualificare come irrazionale la parificazione quoad poenam delle due predette ipotesi. La loro diversa gravità, infatti, non può far dimenticare che "anche le norme contenenti prescrizioni formali sono preordinate alla tutela della salute pubblica in quanto consentono il controllo da parte dei consumatori sull'uso di sostanze non autorizzate e sono dirette, rispetto ai divieti sostanziali, a prevenire anche situazioni di pericolo". E del resto la diversa gravità dei fatti ben può, anzi deve essere valutata dal giudice in sede di determinazione della pena nell'ambito dei limiti minimo e massimo.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Pretore di Ferrara dubita della legittimità costituzionale degli artt. 5, lettera g), e 6 (quarto comma) della legge 30 aprile 1962, n. 283 - modificata ed integrata con la legge 26 febbraio 1963, n. 441 - prospettandone il contrasto con l'art. 3 (primo comma) Cost..

Ciò perché il quarto comma dell'art. 6 della legge n. 283 del 1962 - prevedendo un'unica sanzione per i contravventori alle disposizioni (del presente articolo e) dell'articolo precedente - punisce con identica pena l'aggiunta tanto di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro della Sanità, quanto di additivi chimici autorizzati, ma senza l'osservanza delle norme prescritte per il loro impiego (art. 5 lettera g); nel caso di specie, senza l'indicazione dell'additivo usato sul (piombino del) prodotto preparato. Il giudice a quo reputa le due fattispecie di così diversa gravità da esigere differenti trattamenti sanzionatori, e dubita, perciò, che l'equiparazione quoad poenam operata dal legislatore violi il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost..

2. - La questione non é fondata.

Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare - risolvendo analoga questione avente ad oggetto l'art. 5 lettera f) e l'art. 6 della medesima legge n. 283 del 1962: sent. n. 99 del 1979 - che le disposizioni contenute nel testo legislativo anche ora in esame concernono la "disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande", e che le relative prescrizioni "tendono a garantire la genuinità, il buon stato di conservazione, la pulizia, la innocuità delle manipolazioni consentite, dei prodotti alimentari e impongono, perciò, l'osservanza di regole, ritenute generalmente valide, alla stregua dell'esperienza e delle conoscenze tecnico- scientifiche acquisite, al fine di scongiurare ogni pericolo per la salute. Nello stesso tempo, le norme in esame vogliono consentire agli organi di vigilanza, ma anche ai consumatori di conoscere immediatamente e facilmente se le sostanze alimentari sono state oggetto di manipolazioni... e di quali, per una scelta consapevole anche in relazione alle condizioni soggettive del singolo consumatore".

Come con le disposizioni di cui all'art. 5 lettera f) della legge n. 283 del 1962, così come quelle di cui alla successiva lettera g) dell'articolo medesimo il legislatore ha fissato ad una soglia anticipata la tutela penale della salute, senza prendere in considerazione il pericolo cui concretamente può dar luogo l'impiego di determinati additivi chimici; pericolo che non discende automaticamente e necessariamente dal solo fatto che l'uso di uno specifico additivo non sia stato autorizzato dal Ministro per la Sanità, con proprio decreto soggetto a revisione annuale, e viceversa non é escluso, quanto meno, con riferimento ad un soggetto determinato, dall'uso di un additivo autorizzato.

Le due fattispecie contravvenzionali di cui alla lettera g) dell'art. 5 della legge n. 283 del 1962 non si pongono, quindi, reciprocamente in un rapporto di così marcata differente gravità da far ritenere l'uguale trattamento sanzionatorio viziato da illegittimità per contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost.

3. - Va, in proposito, ribadito che nella materia penale, nella quale il principio di legalità impone la formulazione di fattispecie ben definite, ciascuna accompagnata dalla relativa sanzione, il principio di uguaglianza non può essere inteso nel senso che a ciascuna fattispecie debba corrispondere una sanzione diversa da tutte le altre; ciò specie in un sistema quale il nostro, ispirato alla preferenza per pene edittali determinate fra un minimo ed un massimo.

Perciò - posto che "la configurazione delle fattispecie criminose e le valutazioni sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla politica legislativa", implicando scelte di valore - soltanto le "sperequazioni che assumono una tale gravità da risultare radicalmente ingiustificate" possono concretare un arbitrio del legislatore lesivo del principio di uguaglianza (sent. n. 26 del 1979).

Quando, come nelle disposizioni di legge denunziate, in vista della tutela di un medesimo bene, che si vuole realizzata ad una soglia determinata, vengono presi in considerazione comportamenti diversi, ma tutti estrinsecantisi nella inosservanza delle prescrizioni poste dal legislatore a quel fine, non si può certamente ritenere radicalmente ingiustificata e, per questo, arbitraria la comminatoria di una pena da determinarsi dal giudice nell'esercizio della propria discrezionalità (vincolata ex artt. 132 e 133 del codice penale, nonché, ora, ex artt. 53 e ss. della legge 24 novembre 1981, n. 689) entro gli stessi limiti minimo e massimo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 lettera g) e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost. dal Pretore di Ferrara con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 gennaio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

 

Depositata in cancelleria il 14/01/1982.