Sentenza n.187 del 1981
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SENTENZA N. 187

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata il 21 dicembre 1977 dall'Assemblea regionale siciliana recante "Interpretazione autentica dell'art. 1 della legge regionale 30 gennaio 1956, n. 8, concernente indennità mensile e rimborso spese per missioni al Presidente della Regione ed agli Assessori" promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Sicilia, notificato il 29 dicembre 1977, depositato in cancelleria il 5 gennaio 1978 ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi 1978.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Giunta regionale siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1981 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

uditi l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e l'avv. Luigi Maniscalco Basile, per la Regione Sicilia.

Ritenuto in fatto

1. - Nella seduta del 21 dicembre 1977, l'Assemblea regionale siciliana approvava un disegno di legge composto di due soli articoli e recante il titolo "Interpretazione autentica dell'art. 1 della legge 30 gennaio 1956, n. 8, concernente indennità mensile e rimborso spese per missioni al Presidente della Regione ed agli Assessori". Con l'art. 1 - quello successivo conteneva la consueta formula promulgativa - veniva disposto che l'art. 1 della legge regionale testualmente richiamata nel titolo "deve essere interpretato nel senso che le indennità mensili ivi previste vanno corrisposte a favore del Presidente e degli Assessori regionali nella misura mensile netta pari ai trattamenti economici mensili complessivi spettanti rispettivamente al Presidente ed ai Vice Presidenti dell'Assemblea regionale, al netto degli oneri tributari". Il successivo 24 dicembre - e perciò nel termine di tre giorni prescritto dall'art. 28, primo comma, dello Statuto della Regione siciliana - il suddetto provvedimento legislativo veniva notificato al Commissario dello Stato, il quale lo impugnava il 29 dello stesso mese - e perciò sempre nel rispetto del termine di cinque giorni prescritti dai menzionati articolo e comma dello Statuto -, chiedendo a questa Corte di volerne dichiarare l'illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, in relazione al combinato disposto degli articoli 1, 5 e 6 della legge statale 31 ottobre 1965, n. 1261, e degli articoli 47 e 48 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. Ad integrazione dei succinti dati che precedono, va detto altresì che, essendo assente dalla sede in quel periodo il Commissario dello Stato, l'atto veniva impugnato dal Vice Commissario.

2. - Gli argomenti a sostegno dell'impugnazione sono agevolmente sintetizzabili:

l'interpretazione che la legge impugnata dà dell'articolo della citata legge regionale n. 8 del 1956 è "artificiosa", "fittizia ed inconsistente sul piano giuridico". Essa, modificando nella sostanza la portata effettiva della precedente disciplina in tema di trattamento economico dei membri della Giunta, sottrae tale trattamento al normale regime di imposizione tributaria, "e ciò, in violazione, sia del disposto dell'art. 53 Cost., che sancisce per tutti i cittadini l'obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, sia del combinato disposto degli articoli 1, 5 e 6 della legge statale 31 ottobre 1956, n. 1261, e degli articoli 47 e 48 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che prevedono un particolare regime fiscale esclusivamente per le indennità spettanti ai membri del Parlamento ai sensi dell'art. 69 Cost. e dell'art. 48 del medesimo d.P.R. n. 597, ma non anche per le altre indennità spettanti ai parlamentari medesimi e ad altri privati cittadini che siano investiti dell'esercizio di pubbliche funzioni". Si creerebbe, insomma, un "regime tributario privilegiato a favore del Presidente e degli Assessori regionali (esenzione fiscale in ragione di 6/10 dell'ammontare dell'indennità percepita ex articolo 1 legge regionale n. 8 del 1956), regime che nella fattispecie si risolve in un onere a carico della pubblica finanza a ristoro di un sacrificio patrimoniale che invece grava sul singolo cittadino in ragione della propria capacità contributiva".

3. - Il Presidente della Giunta regionale siciliana costituitosi per resistere al ricorso, ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità del ricorso, rilevando che, poiché lo Statuto siciliano prevede all'art. 27 esclusivamente la figura del Commissario dello Stato, il quale è organo costituzionale, in quanto esercita una funzione costituzionale, solo quest'organo monocratico ha la legitimatio ad processum in relazione a giudizi costituzionali. Il Vice Commissario dello Stato, invece, dal quale appunto è stato proposto il ricorso de quo, risulta istituito, col compito di coadiuvare il Commissario dello Stato e di sostituirlo in caso di assenza od impedimento, dal d.P.R. 4 giugno 1969, 488, il cui articolo 2 ne dispone la nomina con decreto del Presidente del Consiglio, "mentre l'articolo 27, a garanzia della Regione, demanda la nomina del Commissario dello Stato al Capo dello Stato". Ma il d.P.R. n. 488 del 1969, che reca norme di attuazione dello Statuto, è costituzionalmente illegittimo, perchè le norme di attuazione, pur avendo rilevanza costituzionale, non sono leggi costituzionali, e per di più il decreto presidenziale in discorso "non ha nemmeno il carattere di legge formale poiché non è un decreto legislativo", con la conseguenza che non può modificare lo Statuto, il quale risulta, invece, modificato, sia "perchè aggiunge un altro organo sostitutivo all'organo monocratico previsto dal citato articolo 27", sia perchè ne prevede la nomina, come già rilevato, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri. Sulla base delle suesposte considerazioni, viene espressamente e formalmente dedotta l'illegittimità costituzionale del d.P.R. 4 giugno 1969, n. 488. Ed al riguardo, anzi, riaffermando che tale decreto non ha natura di legge formale, la difesa della Regione chiede a questa Corte, in via principale, la disapplicazione del suddetto articolo 2 ai fini della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ed in via subordinata la fissazione di apposita udienza per l'esame della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2 del d.P.R. n. 488 del 1969 per contrasto con l'articolo dello Statuto siciliano.

4. - Nell'imminenza della discussione del ricorso, entrambe le parti hanno presentato memoria, insistendo nelle ragioni già esposte.

In particolare, l'Avvocatura dello Stato osserva che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.P.R. n. 488 del 1969 è manifestamente infondata: poiché innegabilmente, in caso di temporanea vacanza, assenza o impedimento, va assicurata la continuità dell'organo monocratico, il solo dubbio, peraltro meramente teorico, è se la supplenza debba essere espressamente disposta dalla legge ovvero se esista una regola generale, secondo cui la funzione vicaria spetta alla persona più anziana fra i componenti l'ufficio; inoltre, nella specie la disposizione di cui all'art. 2 del d.P.R. non modifica la disciplina preesistente, ma ne colma una lacuna; infine, tanto il Commissario, quanto il Vice Commissario dello Stato vengono entrambi nominati "sentito il Consiglio dei ministri", e perciò entrambi dal Governo, con la sola differenza, non certo sostanziale, del decreto del Presidente della Repubblica nell'un caso, del decreto del Presidente del Consiglio nell'altro caso. Nel merito, poi, ribaditi gli argomenti di cui al ricorso, denunzia la violazione dell'art. 81 Cost. per il fatto che non sarebbe prevista in bilancio la copertura della maggiore spesa e che, in ogni caso, la previsione di essa nel bilancio del 1978 risulterebbe chiaramente incongrua, proprio per l'effetto retroattivo della legge che si autodefinisce interpretativa.

A sua volta, la difesa della Regione, richiamandosi alla relazione che accompagnava il disegno di legge, pone nuovamente in evidenza che la mens legislatoris è volta ad eliminare la sperequazione verificatasi di fatto tra i membri della Giunta, da un lato, ed il Presidente ed i Vice Presidenti dell'Assemblea, dall'altro, in conseguenza del sistema tributario che assoggetta all'imposizione IRPEF le indennità di questi ultimi solo per quattro decimi, e che la maggiorazione, disposta allo scopo di assicurare al Presidente della Giunta ed agli Assessori la parità di trattamento economico con il Presidente ed i Vice Presidenti dell'Assemblea, non modifica il sistema tributario dello Stato in ordine alla imposizione IRPEF.

Alla pubblica udienza del 21 ottobre 1981 le difese delle parti hanno ampiamente illustrato le rispettive ragioni, arricchendole, l'Avvocatura dello Stato con il rilievo che l'imposta non può trasferirsi a soggetto diverso da quello che ne è gravato, e la difesa della Regione con l'eccezione che la legge regionale n. 8 del 1956 doveva essere impugnata nei termini di decadenza prescritti.

Considerato in diritto

1. - L'eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso non può essere accolta.

Indipendentemente dal documento prodotto alla pubblica udienza dall'Avvocatura dello Stato, dal quale risulta l'assenza del Commissario dello Stato dalla sede "per ragioni di servizio" dal 17 dicembre 1977 al 17 gennaio 1978, la lettura dell'art. 28 dello Statuto, quale viene prospettata dalla difesa della Regione, risulta riduttiva, in quanto limitata ad un solo dato testuale - la locuzione "Commissario dello Stato" - e prescinde dalla proposizione relativa finale dello stesso articolo, che viceversa è imprescindibile. Proprio in virtù dell'integrazione conferitale da tale proposizione, infatti, la norma assurge a valore di compiuta disciplina, nella quale soltanto la figura dell'organo dello Stato nella Regione siciliana può essere esattamente, realisticamente e razionalmente valutata, anche alla stregua di inviolabili principi costituzionali.

2. - A sensi della suddetta proposizione relativa, il Commissario dello Stato, cui le leggi dell'Assemblea regionale vanno inviate entro tre giorni, può impugnare tali leggi "entro i successivi cinque giorni". La tesi della Regione, secondo cui - poiché il Vice Commissario non è previsto dallo Statuto siciliano e può pertanto esercitare solo funzioni interne - la legittimazione a promuovere giudizi di costituzionalità sarebbe assolutamente infungibile, nel senso che essa spetterebbe esclusivamente al Commissario dello Stato, comporterebbe l'inammissibile conseguenza della non operatività del potere di impugnazione nei periodi di legittima assenza o legittimo impedimento del Commissario dello Stato. E poiché si devono in ogni caso rispettare - a non dir altro - gli articoli 32, primo comma, e 36, ultimo comma, Cost., il primo dei quali "tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo", mentre il secondo proclama il "diritto... a ferie annuali" irrinunziabili, la sola alternativa per ovviare all'eventualità di un'assenza per legittimo impedimento è la soluzione adottata col d.P.R. 4 giugno 1969, n. 488, il cui art. 2 prevede appunto la nomina di un Vice Commissario, che non solo "coadiuva il Commissario dello Stato", ma anche "lo sostituisce in caso di assenza o impedimento".

3. - La difesa della Regione, pur riconoscendo l'esistenza del principio generale che ammette l'esercizio vicario delle funzioni nelle strutture gerarchizzate, afferma tuttavia che tale principio non è trasferibile dal campo del diritto amministrativo a quello dell'ordinamento costituzionale, ed in particolare nel caso di specie, in cui "una funzione costituzionale (tale è la promozione di un giudizio costituzionale) sia affidata da una norma costituzionale ad un organo costituzionale monocratico". Non occorre certo affrontare la problematica del concetto di "organo costituzionale", degli indici di riconoscimento di tale categoria, quali teorizzati dalla dottrina, delle prerogative che vi sono connesse, nè ricordare che nel nostro ordinamento un elenco di detti organi - ai fini penali tassativo - si rinviene solo nel codice penale (articolo 289), per convenire che la deduzione della natura di organo costituzionale insostituibile dalla titolarità del potere di promuovere giudizi costituzionali prova troppo: è sufficiente in proposito tenere presente quanto si è dilatata l'area degli organi e, in genere, delle entità soggettive cui è stata ormai riconosciuta la legittimazione a promuovere, sia pure in via incidentale, giudizi che hanno pur sempre per oggetto la legittimità costituzionale delle leggi. Appare allora superfluo aggiungere che la natura di organo amministrativo, quale innegabilmente è pur sempre il Commissario dello Stato (come del resto questa Corte ha già avuto occasione di affermare con la sentenza n. 6/1970), non sembra, tanto sul piano concettuale, quanto sul piano positivo, conciliabile con quella di organo costituzionale. Inoltre, nella specie, l'organo de quo è portatore di interessi obiettivi, che possono perciò essere tutelati egualmente bene dall'organo vicario, il quale ripete anch'esso l'investitura, come esattamente ha osservato l'Avvocatura dello Stato, dal Governo della Repubblica ed appartiene anch'esso vale la pena di sottolineare alla medesima alta dirigenza dello Stato.

4. - Va disattesa inoltre quella parte della eccezione preliminare, secondo cui l'art. 2 del d.P.R. n. 488 del 1969 non avrebbe natura di legge formale, e va conseguentemente rigettata la correlativa richiesta di disapplicazione della summenzionata norma o, in caso contrario, di fissazione di altra udienza per l'esame della questione di legittimità costituzionale della stessa norma in relazione all'articolo 27 dello Statuto siciliano.

Trattasi, infatti, di norme di attuazione dello Statuto - il che la stessa Regione afferma esplicitamente nei suoi atti difensivi -, delle quali questa Corte ha già riconosciuto la natura legislativa.

5. - Nel merito, la legge impugnata appare nella sua interezza viziata da illegittimità costituzionale.

Nell'ordinamento statale, i membri del Governo hanno un trattamento economico complessivo pari a quello dei gradi gerarchici più elevati. Così dispone l'articolo 2 della legge 8 aprile 1952, n. 212. Nello stesso ordinamento, i membri del Parlamento godono, invece, di un trattamento privilegiato, nel senso che le relative indennità parlamentari non soggiacciono per intero al normale regime di tassazione, ma ne sono esentate nella misura del sessanta per cento, che poi l'articolo 2, penultimo comma, della legge 24 aprile 1980, n. 146, ha ridotto al trenta per cento. Così stabiliva già la legge 31 ottobre 1965, n. 1261, invocando esplicitamente l'art. 69 Cost. e nel dichiarato intento di "garantire il libero svolgimento del mandato"; così ha disposto più compiutamente e definitivamente il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, sull'istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. In particolare, l'art. 47, primo comma, lettera d), di tale normativa assimila al reddito di lavoro dipendente le indennità "percepite dai membri del Parlamento " e quelle, "comunque denominate, percepite per le cariche elettive e per le funzioni di cui agli articoli 134 e 135 Cost."; a sua volta, il successivo art. 48, quarto comma, stabilisce che "le indennità indicate alla lettera d) dell'art. 47 costituiscono reddito nella misura del quaranta per cento del loro ammontare al netto dei contributi previdenziali".

Se si considera poi che, al contrario, "le indennità, i gettoni di presenza o altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni", pur essendo anch'essi assimilati, per espresso dettato del medesimo art. 47, lett. e), al reddito di lavoro dipendente, non risultano sottratti al normale regime di tassazione, il sistema creato con la riforma del 1973 risulta con tutta chiarezza: il trattamento tributario privilegiato non spetta ai membri del Governo, bensì esclusivamente ai membri del Parlamento - nonché, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 1261 del 1965, anche "ai consiglieri delle regioni a statuto speciale" e, per effetto dell'art. 47, lett. d), del d.P.R. n. 597 del 1973, alle altre cariche elettive -, ma neppure per ogni indennità, gettone di presenza o altro compenso percepito nell'esercizio di pubbliche funzioni, bensì esclusivamente per le indennità di cui alla già menzionata lett. d) dell'articolo 47 del d.P.R. n. 597 del 1973. Se si considera altresì che, con deliberazione n. 605 del 13 febbraio 1975, la sezione di controllo della Corte dei conti dichiarò parzialmente illegittimi, rifiutandone il visto e la registrazione, due decreti del Presidente della Regione siciliana, proprio perchè e nella parte in cui, facendo applicazione dell'art. 1 della legge regionale 30 gennaio 1956, n. 8, sottraevano al normale regime di tassazione le indennità corrisposte ai membri della Giunta, non può non ritenersi che la legge impugnata dal Vice Commissario dello Stato si pone in immediato rapporto di consecuzione, non solo temporale, con la pronuncia della sezione di controllo della Corte dei conti e con i rilievi ivi contenuti. Essa risulta, infatti, adottata proprio al fine di superare l'ostacolo rappresentato dalla Corte dei conti. E non può certo dirsi conforme ai sistema costituzionale, configurandosi, anzi, come un caso esemplare di sviamento strumentale della funzione legislativa, il ricorso appunto allo strumento della legge interpretativa, per porre il vizio rilevato dall'organo di controllo al riparo da tale controllo.

6. - Il problema dell'indennità ai membri della Giunta regionale venne affrontato dall'Assemblea siciliana ancor prima della costituzionalizzazione dello Statuto, e precisamente con la legge regionale 29 dicembre 1947, n. 19, che recava il titolo di "determinazione della indennità mensile al Presidente della Regione ed agli Assessori e del rimborso spese per incarichi agli stessi o ai Deputati". Tale legge stabiliva, quantificandole, e con decorrenza dal primo giugno dello stesso anno, le diverse misure dell'indennità mensile - al lordo - per il Presidente della Regione, per gli Assessori effettivi e per quelli supplenti. Il su descritto sistema durò poco meno di un decennio, essendo stato sostituito nel 1956 dall'art. 1 della legge n. 8, a sensi del quale l'indennità mensile, con decorrenza dal 1 agosto 1955, non è più quantificata, ma prevista in misura pari - sempre al lordo, tuttavia - al trattamento economico mensile spettante, rispettivamente, al Presidente ed ai Vice Presidenti dell'Assemblea regionale siciliana.

Non rileva al riguardo la constatazione che il trattamento economico di questi ultimi, cui è stato ancorato quello dei membri della Giunta, non essendo disposto con legge, ma con atto interno del Consiglio di Presidenza dell'Assemblea in virtù dell'articolo 11 del relativo regolamento, può subire periodiche variazioni. Rileva, viceversa, il dato di fatto che il sistema instaurato nel 1956, il quale testualmente stabilisce per i membri della Giunta - è bene ripeterlo - una indennità mensile "lorda", non ha dato motivo a questione per circa un ventennio, cioè dal 1956 al 1975. Fu solo in quest'ultima data, infatti, che nacque la questione, e precisamente quando la Corte dei conti in sede di controllo ebbe occasione di esaminare i due decreti dei quali si è già detto, emanati in materia dal Presidente della Regione siciliana nell'ottobre del precedente anno 1974. La competente sezione di controllo non ammise al visto ed alla registrazione i due decreti, ma non già perchè negasse la legittimità dell'attribuzione di un'indennità mensile ai membri della Giunta o dell'assunzione come parametro di quella dei membri della Presidenza dell'Assemblea, bensì esclusivamente perchè il particolare regime di tassazione, riservato ai membri di organi elettivi, risultava dai due decreti esteso ai membri del governo regionale, mentre non spetta neppure ai membri del governo nazionale.

In altre parole, quel particolare regime di tassazione costituisce una deroga, come verrà precisato nel seguito della presente motivazione, e la sua estensione oltre i casi tassativamente previsti costituisce un'applicazione nuova e diversa; nuova e diversa, sia rispetto alla lettera della legge regionale n. 8 del 1956, sia rispetto all'applicazione costantemente fattane in passato. Ma allora la legge impugnata, risolvendosi in sostanza nell'espansione dell'ambito di quella deroga, non già interpreta, ma dispone. Essa, insomma, non è interpretativa, bensì innovativa, e ne è prova - documentale, si direbbe - il mutamento della formula "indennità mensile lorda", coniata già nel 1947 e ribadita nel 1956, in "misura mensile netta", introdotta con la sedicente interpretazione autentica, nell'intento di realizzare mediante un atto legislativo quel medesimo disegno che non era stato possibile realizzare con un atto amministrativo.

Ma non è interpretativa anche per una considerazione di diverso ordine. Il legislatore può sempre riformare la disciplina vigente, modificando la legge anteriore, ed un legislatore regionale dotato di potestà esclusiva, godendo di ampia discrezionalità, sia pure nei limiti delle leggi costituzionali, può sempre disciplinare l'ordinamento degli uffici e degli enti regionali, come appunto previsto dall'articolo 14, lett. p), dello Statuto della Regione siciliana. Non può, però, dirsi che faccia egualmente buon uso della sua potestà il legislatore che si sostituisca al potere cui è riservato il compito istituzionale di interpretare la legge, dichiarandone mediante altra legge l'autentico significato con valore obbligatorio per tutti e, quindi, vincolante anche per il giudice, quando non ricorrano quei casi in cui la legge anteriore riveli gravi ed insuperabili anfibologie o abbia dato luogo a contrastanti applicazioni, specie in sede giurisprudenziale.

Ora, la legge regionale siciliana n. 8 del 1956 non contiene sul punto formule ambigue, nè ha provocato, almeno per circa un ventennio, contrasti in sede applicativa. La legge impugnata, quindi, ha solo il nome di interpretazione autentica.

7. - La difesa della Regione sostiene che la legge impugnata non ha inteso "sottrarre al normale regime di imposizione tributaria l'indennità spettante al Presidente della Regione ed agli Assessori": il legislatore regionale del 1956 aveva disposto che membri della Giunta e membri della Presidenza dell'Assemblea godessero di trattamenti economici di pari entità. Tale essendo la mens legislatoris - prosegue la difesa della Regione - è una volta che per effetto dell'esonero, nella misura di sei decimi, dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), riconosciuto solo ai membri della Presidenza dell'Assemblea, si è verificata una notevole differenza tra i due ordini di retribuzione, la sola via per ristabilire fra le due categorie la parità voluta dal legislatore del 1956 è appunto quella di riconoscere al Presidente della Giunta ed agli Assessori una "retribuzione lorda maggiore di quella attribuita al Presidente ed ai Vice Presidenti dell'Assemblea, di guisa che la stessa, diminuita di tutti i tributi applicabili, dei quali è prevista puntuale applicazione, risulti pari, al netto, a quella che, al netto, ricevono, rispettivamente, il Presidente ed i Vice Presidenti dell'Assemblea". Mediante tale meccanismo, conclude la stessa difesa, i membri della Giunta non ottengono un regime tributario privilegiato; al contrario, anzi, i loro emolumenti sono esposti ad una tassazione più elevata e ad una maggiore decurtazione.

Appare con tutta chiarezza come la sopra riassunta prospettazione sia abilmente imperniata solo sulla parità dei trattamenti economici dei membri della Giunta e di quelli della Presidenza. Tale parità è innegabilmente un dato normativo letterale, che si rinviene sia nella legge del 1956 sia in quella impugnata. Ma la questione riceve esatta soluzione non gia argomentando da quest'unico elemento, ma solo se impostata nei suoi esatti e più ampi termini.

Sembra indubitabile che la legge impugnata trae origine, meglio che occasione, dalla riforma tributaria, cioè dall'istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF): questa reca la data del 1973 (d.P.R. n. 597), i due decreti del Presidente della Regione siciliana, dichiarati illegittimi dalla Corte dei conti, recano la data del 1974. Ne deriva che si tratta essenzialmente di questione di diritto tributario. Ne offre conferma la relazione illustrativa della legge impugnata, che proprio alla imposizione IRPEF fa espresso richiamo.

Sembra altrettanto indubitabile che, se si tiene presente l'articolo 53, primo comma, Cost. secondo cui "tutti sono tenuti a concorrere alle stesse pubbliche in ragione della loro capacità contributiva", la norma di cui all'articolo 48, quarto comma del menzionato d.P.R. n. 597 del 1973, la quale stabilisce che le indennità dei membri degli organi elettivi "costituiscono reddito nella misura del qualità per cento", si configura come una deroga al suddetto principio costituzionale; una deroga consistente in una esenzione parziale dall'imposta, e perciò insuscettibile, in quanto tale, di interpretazione estensiva, e che inoltre solo il legislatore statale può motivatamente disporre.

Valutando adesso la legge impugnata alla stregua delle due puntualizzazioni che precedono, risulta che questa, disponendo in materia tributaria, ha esteso un'esenzione parziale - di cui peraltro i membri della Giunta già godono in quanto consiglieri regionali - a categorie non previste dal sistema instaurato col d.P.R. n. 597 del 1973, così violando l'art. 53, primo comma, Cost. - ma anche l'art. 3 primo comma, Cost., in rapporto a tutti gli altri contribuenti - oltre che la riserva di legge statale sulle esenzioni fiscali. Basta al riguardo porre mente al meccanismo escogitato dalla legge nel suo effettivo concretarsi, quale in definitiva viene descritto nella stessa relazione illustrativa: la disparità nasce in seguito all'esonero parziale riconosciuto all'una categoria, ma non anche all'altra; la parità si ristabilisce versando a questa una maggiorazione che corrisponda perfettamente alla maggiore imposta da essa dovuta. Ma così il tributo viene effettivamente, anche se indirettamente, pagato dalla finanza regione, non gravando più sul contribuente, e si consegue, sì la effettiva parità di trattamento retributivo, ma si consegue, prima ancora, l'effettiva parità fiscale. La legge può certamente stabilire le indennità dei membri della Giunta nelle misure che ritiene più congrue, ma una legge interpretativa non e, altrettanto certamente, lo strumento più idoneo e costituzionalmente legittimo, quando disponga una maggiorazione del trattamento economico di alcuni pubblici dipendenti al fine di esonerare tali contribuenti dal pagamento, sia pur solo parziale, delle imposte dovute secondo il sistema tributario.

E poi appena il caso di osservare che, contrariamente a quanto eccepito dalla difesa della Regione nella pubblica udienza, non vi era motivo di impugnare la legge n. 8 del 1956 entro i previsti termini di decadenza, dato che le censure di incostituzionalità sono rivolte, non già contro questa legge, bensì contro la interpretazione autentica di essa. E, per quanto riguarda il richiamo nella memoria dell'Avvocatura dello Stato all'articolo 81 Cost., basterà rilevare che nessuna questione risulta sollevata nel ricorso con riguardo a tale ultima disposizione costituzionale.

Poiché, infine, l'articolo 1 della legge regionale siciliana in epigrafe risulta costituzionalmente illegittimo per violazione degli articoli 3, primo comma, e 53, primo comma, Cost., il ricorso proposto dal Vice Commissario dello Stato il 29 dicembre 1977 va accolto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana in data 21 dicembre 1977, recante "Interpretazione autentica dell'art. 1 della legge regionale 30 gennaio 1956, n. 8, concernente indennità mensile e rimborso spese per missioni al Presidente della Regione ed agli Assessori".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 novembre 1981.

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 10 dicembre 1981