Sentenza n.162 del 1981
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SENTENZA N. 162

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Dott. Giulio GIONFRIDA, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 584 del codice penale (omicidio preterintenzionale), promossi con ordinanze emesse il 12 marzo 1979, il 29 ottobre 1979, il 13 novembre 1979 e il 3 luglio 1980 dalla Corte d'Assise di Cagliari, l'11 dicembre 1979 ed il 4 febbraio 1980 dalla Corte d'Assise d'Appello di Cagliari ed il 29 ottobre 1980 dalla Corte d'Assise di Sassari, iscritte ai nn. 375 e 965 del registro ordinanze 1979 e nn. 17, 82, 159, 609 e 911 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 189 dell'anno 1979, nn. 57, 78, 304, 98 e 131 dell'anno 1980 e n. 70 dell'anno 1981.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1981 il Giudice relatore Alberto Malagugini,

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto

Con quattro ordinanze del 12 marzo, 29 ottobre, 13 novembre 1979 e 3 luglio 1980, emesse nei procedimenti a carico di La Rosa Vincenzo, Anedda Angelo e altro, Mattana Antonio ed altri ed Ollosu Cesare (rispettivamente, reg. ord. 375 e 965 del 1979, 17 e 609 del 1980), la Corte d'Assise di Cagliari sollevava, in relazione all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 584 c.p. (omicidio preterintenzionale), nella parte in cui prevede una pena editale superiore, nel minimo e nei massimo, a quella stabilita dall'art. 18, secondo e quarto comma della legge 22 maggio 1978, n. 194 per azioni dirette a provocare lesioni da cui derivi, come conseguenza non voluta, la morte della donna. Nelle ordinanze, motivate in modo sostanzialmente analogo, il giudice a quo richiamava innanzitutto il costante indirizzo di questa Corte, secondo cui l'osservanza del principio di eguaglianza non esclude che il compito di determinare la misura delle sanzioni penali resti di stretta spettanza del legislatore ordinario, in funzione dei suoi indirizzi di politica legislativa, sottraendosi al giudizio della Corte "semprechè ovviamente, la sperequazione non assuma dimensioni tali da non riuscire sorretta da una benché minima giustificazione di ordine razionale o logico (sentenza 5/77, nonché 119/73, 218 e 271/74)".

Ciò premesso, la Corte d'Assise rilevava che la fattispecie criminosa di cui all'art. 18, commi secondo e quarto legge citata, introdotta in seguito all'abrogazione dell'art. 583 cpv. n. 5 c.p., "ricorre qualora, non essendo l'interruzione della gravidanza e la morte della donna il risultato voluto, essa derivi da azioni intenzionalmente lesive della integrità della stessa". Essa pertanto si risolve nell'espressa configurazione di un delitto preterintenzionale, caratterizzandosi, rispetto alla fattispecie descritta - con analoga formula - dall'art. 584 c.p., per la sua maggiore ampiezza, in quanto incide negativamente su due diversi beni giuridici: la vita ed il diritto alla maternità.

Posta dunque questa stretta analogia tra le due fattispecie (la prima, più ampia, ricomprende anche la seconda) la Corte d'Assise opinava essere privo di ogni logica e razionale giustificazione il diverso trattamento sanzionatorio per essa previsto (art. 584 c.p.: reclusione da 10 a 18 anni; art. 18 cit.: reclusione da 8 a 16 anni), rilevando in particolare: a) che essendo quest'ultimo un reato plurioffensivo, avrebbe dovuto casomai prevedersi una sanzione più severa; b) che poiché in tale delitto l'evento non è la sola morte, ma anche l'aborto, il più mite trattamento sanzionatorio si pone in contraddizione con la solenne proclamazione di cui all'art. 1 l. 194/78 secondo cui "Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio".

A ben vedere, peraltro, l'arbitraria discriminazione sussiste - ad avviso del giudice a quo - tra l'art. 584 c.p. e tutto il sistema legislativo post-costituzionale, caratterizzato - in modo "più aderente anche allo spirito dell'art. 27 Cost." -sia dalla "costante affermazione, nella scelta del legislatore, delle conseguenze penali inflitte per responsabilità obiettiva (si veda: dalla sentenza n. 3 del 1956 a quella n. 173 del 1976 della Corte Cost.)", sia da "una maggiore personalizzazione della responsabilità penale, con conseguente adeguamento del trattamento sanzionatorio (si vedano: le sentenze della Corte Cost. e le disposizioni legislative sulla sospensione condizionale della pena, le scelte di cui è espressione la legge 26 luglio 1975, n. 354, ecc.)". Poiché l'art. 18 cit. è "conforme a questo indirizzo di più diretta derivazione costituzionale", è l'art. 584 c.p. che si pone rispetto ad esso "in posizione di palese, irrazionale ed arbitraria discriminazione": sicché una parziale dichiarazione di incostituzionalità di quest'ultima norma sarebbe l'unico modo "per ripristinare l'uguaglianza costituzionale".

In punto di rilevanza, la Corte d'Assise osservava infine che un'eventuale pronuncia in tale senso "influirebbe sulla decisione di merito in ordine alla determinazione della pena" e che non vi era, nei casi di specie, materia per l'applicazione dell'art. 152 cpv. c.p.p. (ordinanza 965/79 e 17/80).

Nei primi tre giudizi interveniva l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che la questione fosse dichiarata infondata, in quanto: a) le situazioni poste a raffronto sono diverse, essendo l'azione, nell'art. 18 cit. (e in entrambe le ipotesi ivi previste: quarto comma in relazione al primo comma e quarto comma in relazione al secondo) finalisticamente diretta a conseguire l'interruzione della gravidanza e non a ledere la donna; b) anche nella seconda ipotesi la lesione è prevista solo come mezzo per l'interruzione della gravidanza, sicché "se si trattasse di lesione commessa come finalità dell'azione tipica, da cui derivasse la morte di donna incinta e l'interruzione della gravidanza, si avrebbe omicidio preterintenzionale nella figura prevista e punita dall'art. 584 c.p."; c) il fatto che nell'ipotesi sub b) - lesione al fine di interrompere la gravidanza, da cui derivi la morte della donna - sia prevista una pena inferiore a quella "dell'omicidio preterintenzionale ordinario" corrisponda ad una scelta, non irrazionale, di politica legislativa e non dà luogo a problemi di legittimità costituzionale.

La medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 584 c.p. - sotto l'identico profilo della disparità di trattamento quoad poenam rispetto all'art. 18 l. 194/78, e con analoga motivazione veniva altresì sollevata dalla Corte d'Assise d'Appello di Cagliari con ordinanze dell'11 dicembre 1979 e 4 febbraio 1980, emesse nei procedimenti a carico di Meloni Mario Graziano e Fresu Andrea (ordinanze nn. 82 e 159 del 1980), nonché dalla Corte d'Assise di Sassari con ordinanza del 29 ottobre 1980 nei procedimenti a carico di Casula Pietrina (ordinanza n. 911/1980).

Nei relativi giudizi l'Avvocatura dello Stato non interveniva, nè vi era - così come per le precedenti ordinanze - costituzione di parti private.

Considerato in diritto

1. - Le sette ordinanze indicate in epigrafe (della Corte di Assise e della Corte d'Assise di Appello di Cagliari e della Corte d'Assise di Sassari) sollevano la medesima questione di legittimità costituzionale. I sette giudizi possono, perciò, essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - I giudici a quibus dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 584 del codice penale, che prevede - e punisce con la pena editale da 10 a 18 anni di reclusione - il fatto di "chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 (percosse) e 582 (lesione personale) cagiona la morte di un uomo". Il disposto di legge denunziato, nella parte in cui stabilisce la sopra specificata pena editale, posto a confronto con l'art. 18, secondo comma e quarto comma, della legge 22 maggio 1978 n. 194 (che punisce con la pena della reclusione da otto a sedici anni chiunque provochi l'interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna se dal fatto derivi la morte della donna) contrasterebbe con l'art. 3 Cost. per la ingiustificata ed irrazionale disparità del trattamento sanzionatorio adottato nelle due fattispecie da considerarsi di eguale gravità ovvero addirittura di gravità inversamente proporzionale alla severità della pena editale.

3. - Sul punto - della ritenuta maggior gravità della fattispecie prevista dall'art. 18, secondo comma e quarto comma della legge n. 194 del 1978, rispetto a quella di cui all'art. 584 del codice penale - insistono le ordinanze di rimessione più diffusamente motivate. In particolare, la Cortedi Assise di Cagliari (ord. n. 965/1979 e n. 17 del 1980) osserva che "la nuova figura criminosa, introdotta dai disposti di legge denunziati, in seguito all'abrogazione dell'art. 583 cpv. n. 5 del codice penale" (operata con l'art. 22, secondo comma della legge 194 del 1978) "è destinata a ricoprire la fattispecie che ricorre qualora, non essendo l'interruzione della gravidanza e la morte della donna il risultato voluto, esso derivi da azioni intenzionalmente lesive dell'integrità della stessa". "Tale fattispecie" - prosegue il giudice a quo - "si risolve pertanto nella espressa configurazione di un delitto preterintenzionale, ove l'interruzione della gravidanza e l'evento morte si verificano come conseguenza non prevista e non voluta di altra azione delittuosa)".

Si può, perciò, dire che la fattispecie considerata, per il suo carattere plurioffensivo, incidente, cioè, su due diversi beni giuridici, la vita e il diritto alla maternità della donna, ricomprenda in sè quella dell'omicidio preterintenzionale di cui all'art. 584 del codice penale.

La disparità di trattamento sanzionatorio non appare, quindi, in alcun modo giustificata e, se mai, il legislatore avrebbe dovuto stabilire un trattamento più severo per la fattispecie più grave, quella cioé di cui all'art. 18 della legge 194 del 1978.

L'opposta conclusione - raggiunta dal legislatore del 1978 - è tanto più "irrazionale ed ingiustificata" in quanto contrasta, altresì, con la solenne affermazione di cui all'art. 1 della legge medesima, à sensi della quale "Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio".

4. - Come si vede, le argomentazioni dei giudici remittenti - per la parte sin qui considerata - si risolvono in una critica stringente al disposto del quarto comma in relazione al secondo comma dell'art. 18 della legge n. 194 del 1978, senza minimamente involgere il denunziato art. 584 del codice penale. Dì quest'ultimo si eccepisce una sorta di illegittimità sopravvenuta, poiché sarebbe da considerare privo di qualsiasi razionalità il trattamento sanzionatorio ivi previsto rispetto a quello diverso e più mite adottato dal legislatore del 1978 per la fattispecie di cui all'art. 18, secondo e quarto comma, della legge n. 194, che - come si è riferito - "ricomprenderebbe" in sè l'omicidio preterintenzionale.

5. - Un tale assunto non può però essere condiviso. Va infatti ricordato che l'art. 18 della legge n. 194 del 1978 disciplina fattispecie che nel codice penale erano previste, per quanto qui interessa, dal titolo X del libro II, nonché dall'art. (582 a) 583 comma primo n. 3 e cpv. n. 5 del codice stesso, abrogati dall'art. 22 della legge in esame.

In particolare, il secondo comma dell'art. 18 prevede e punisce il fatto di chi "provochi l'interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna", configurando un titolo autonomo di reato, equiparato, quoad poenam, all'ipotesi di aborto doloso su donna non consenziente (di cui al primo comma del medesimo art. 18).

La fattispecie tipica così costruita, che si caratterizza per la preterintenzionalità dell'evento aborto, occupa lo spazio precedentemente riempibile con il disposto degli artt. 582 e 583, cpv. n. 5 del codice penale, senza peraltro consentire più il bilanciamento tra la circostanza aggravante (di cui all'art. 583 cpv. n. 5) ed eventuali circostanze attenuanti, à sensi dell'art. 69 del codice penale.

Il quarto comma, primo periodo, dell'art. 18 della legge n. 194 del 1978 prevede, invece, la morte della donna incinta come conseguenza dell'aborto, doloso o preterintenzionale che sia; e tale previsione coincide con quella di cui all'abrogato art. 549 (primo comma, primo periodo) del codice penale, una volta assunta l'equiparazione tra aborto doloso ed aborto preterintenzionale (art. 18, primo e secondo comma) operata dal legislatore del 1978. Si tratta, in entrambi i casi, di una circostanza aggravante speciale, che porta a configurare un reato appunto aggravato dall'evento, e non già un delitto preterintenzionale secondo la previsione di cui all'art. 43 del codice penale.

Bastano questi rilievi per escludere che la fattispecie prevista e punita dall'art. 18, quarto comma in relazione al secondo comma, della legge n. 194 del 1978 possa correttamente porsi a raffronto con quella di cui all'art. 584 del codice penale, senza che occorra indulgere ad ulteriori approfondimenti della complessa tematica penalistica nella quale si inquadra la questione sollevata dai giudici a quibus.

6. - Vero è che questi ultimi, quasi a voler prevenire l'obiezione per cui male viene invocato il principio di uguaglianza quando si pongano a confronto fattispecie criminose diversamente strutturate e perciò non omogenee e quando si impugni una norma di carattere generale indicando il tertium comparationis in una norma prospettata come derogatoria, assumono che il contrasto denunziato "sussiste tra l'art. 584 del codice penale, da un lato, e tutto il sistema legislativo postcostituzionale, al quale il citato art. 18 (della legge n. 194 del 1978) si è conformato, dall'altro". Ciò perchè - secondo i giudici a quibus - si sarebbe in presenza di un "nuovo orientamento di politica legislativa, più aderente anche allo spirito dell'art. 27 Cost.", ad esempio del quale vengono citate le disposizioni di cui al d.l. 11 aprile 1974 n. 99 (artt. 11, 12 e 13) convertito con modificazioni nella legge 7 giugno 1974 n. 220, in materia di concessione e revoca della sospensione condizionale della pena, nonché la legge 26 luglio 1975 n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà; mentre più generico riferimento viene fatto a sentenze di questa Corte.

Neppure questa prospettazione può essere condivisa.

7. - Sembra infatti difficile convenire sulla esistenza di un "nuovo" (e tanto meno univoco) "orientamento di politica legislativa" in materia penale. Basta, in proposito, ricordare l'estrema scarsità di innovazioni incidenti sul libro II del vigente codice penale (eccezione fatta per talune misure, qualificate però di emergenza, introdotte per potenziare la repressione di alcune specifiche figure criminose). Nel codice stesso, pertanto - per quanto più specificatamente qui interessa - permane una pluralità di fattispecie in cui la morte del soggetto passivo, non voluta dall'agente, costituisce elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato da cui essa deriva e comporta pene editali differenziate. Nel capo I, titolo XII del libro II, ad esempio, accanto alla fattispecie di cui all'art. 584 (omicidio preterintenzionale) vi sono quelle di cui: all'art. 586 (morte - o lesione - come conseguenza di altro delitto); all'art. 587, terzo comma, ultima parte (omicidio preterintenzionale a causa di onore); all'art. 591, terzo comma, ultima parte, (morte come conseguenza dell'abbandono di persone minori o incapaci); all'art. 592, secondo comma, ultima parte (morte come conseguenza dell'abbandono di un neonato per causa di onore); all'art. 593, terzo comma, ultima parte (morte come conseguenza di omissione di soccorso). Inoltre, si possono ricordare le fattispecie di cui all'art. 571, secondo comma, ultima parte (morte come conseguenza dell'abuso di mezzi di correzione o di disciplina) ed all'art. 572, secondo comma, ultima parte (morte come conseguenza di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli). É evidente che ciascuna delle fattispecie qui ricordate (al pari di quelle di cui al denunziato art. 18, quarto e secondo comma, della legge n. 194 del 1978 e, prima di esso, all'abrogato art. 549, primo comma, prima parte, del codice penale) esprime strutturalmente e sul piano sanzionatorio una opzione legislativa che a sua volta implica una scelta di valore, rientranti l'una e l'altra nella discrezionalità del legislatore; discrezionalità il cui esercizio è sindacabile da questa Corte - in riferimento al principio costituzionale di eguaglianza - nella sola ipotesi della palese irragionevolezza che non ricorre certo nel caso di specie (cfr. sentenze n. 45 del 1967, 109 del 1968, 114 del 1970, 22 del 1971, 142 del 1973, 119 del 1975, 5 del 1977, 71 del 1979, 51 del 1980 e 72 del 1980).

Perciò, l'aspirazione, sottesa alle ordinanze di rimessione, ad una più generale iniziativa di riforma, nel campo penale, per meglio conformare la normativa vigente ai valori ed ai fini costituzionalmente affermati, può trovare ascolto ed accoglimento soltanto nella sede parlamentare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 584 del codice penale, nella parte in cui prevede una pena editale superiore nel minimo e nel massimo rispetto a quelle stabilite dall'art. 18, secondo e quarto comma, della legge 22 maggio 1978 n. 194, sollevata, con riferimento all'art. 3 Cost., dalla Corte di Assise di Cagliari, dalla Corte di Assise di Appello di Cagliari e dalla Corte di Assise di Sassari con le ordinanze in epigrafe indicate.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 1981.

Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 30 luglio 1981.