Sentenza n.189 del 1980
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SENTENZA N.189

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente  

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2096, 2109, 2120 cod. civ in rel. all'art. 5 della legge 18 aprile 1962, n. 230, e dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (rapporto di lavoro durante il periodo di prova periodo di riposo indennità di anzianità), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 9 ottobre 1974 dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento civile vertente tra De Simone Bruno e la Fattoria Pavan di Antonio Mario Zaccheo, iscritta al n. 74 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 del 2 aprile 1975;

2) ordinanza emessa il 30 maggio 1975 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Spedicato Giuseppe e la S.a.s. Termil, iscritta al n. 496 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 del 3 dicembre 1975;

3) ordinanza emessa il 12 febbraio 1976 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Cadoni Antonio e l'E.N.E.L., iscritta al n. 394 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 30 giugno 1976;

4) ordinanza emessa il 22 settembre 1976 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Rosati Daniela e la American Express Bank, iscritta al n. 635 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 346 del 22 dicembre 1976;

5) ordinanza emessa il 25 maggio 1979 dal Pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Ruzzi Liliana e la S.p.a. W.I.N.A.C., iscritta al n. 655 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 325 del 28 novembre 1979.

Visti gli atti di costituzione di De Simone Bruno, della S.a.s. Termil, di Spedicato Giuseppe, di Cadoni Antonio e di Rosati Daniela e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1980 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

uditi gli avvocati Luciano Ventura per De Simone, Francesco Fornario per la Soc. Termil, Luciano Ventura per Rosati e Roberto Muggia per Cadoni e l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Le cinque ordinanze indicate in epigrafe hanno tutte per oggetto la disciplina del rapporto di lavoro con patto di prova nelle ipotesi di recesso durante il periodo di prova stesso. Di conseguenza, i giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La Corte di appello di Roma ed il Pretore di Genova (n. 74/1975 e 655/79) dubitano della legittimità costituzionale degli artt. 2096, terzo comma, prima parte e (il solo Pretore di Genova) dell'art. 2120 c.c., i cui disposti, secondo prassi e giurisprudenza consolidata, escludono, per i lavoratori assunti con patto di prova e licenziati durante il periodo di prova stesso, il diritto alla indennità di anzianità.

Secondo i giudici a quibus le norme in esame contrasterebbero con l'art. 3 Cost, per l'ingiustificata diversità di trattamento riservata ai lavoratori assunti in prova a seconda che l'imprenditore eserciti o meno la facoltà di recesso (Ord.74/75) ovvero perchè irrazionalmente verrebbe negata ai lavoratori assunti in prova e licenziati durante il periodo di prova l'indennità di anzianità o una voce retributiva equivalente che la legge (legge 18 aprile 1962, n. 230, art. 5) riconosce invece anche ai lavoratori assunti a tempo determinato (entrambe le ordinanze).

Sarebbe inoltre violato l'art. 36 Cost. perchè, riconosciuta la natura retributiva della indennità di anzianità, al prestatore di lavoro assunto in prova e licenziato durante il periodo di prova stesso verrebbe ad essere riconosciuta una retribuzione complessiva non più proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto.

3. - Questa Corte, con la sentenza n. 204 del 1976, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge n. 604 del 1966, nella parte in cui delimita l'applicabilità dell'art. 9 della stessa legge ai lavoratori assunti in prova dal momento in cui la loro assunzione diviene definitiva e in ogni caso quando siano decorsi sei mesi dalla loro assunzione, sollevata in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 Cost.

La motivazione della accennata decisione marca, da un lato, la < natura giuridica nettamente distinta > del contratto di lavoro con patto di prova, configurabile come contratto a tempo determinato, rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato e, dall'altro, la < funzione di sussidio patrimoniale > del l'indennità di anzianità, < la cui necessità deriva dalla cessazione di un contratto di lavoro, il cui termine finale non era stato predeterminato dalle parti >.

Riconsiderata ora la questione, la Corte ne ritiene la fondatezza.

Ai fini della decisione, invero, non occorre prender partito sulla natura se retributiva o indennitaria della indennità di anzianità né privilegiare alcuna delle tesi, sostenute in dottrina ed accolte in giurisprudenza, sulla qualificazione giuridica del contratto di lavoro con patto di prova, in particolare quella che considera il rapporto di lavoro in prova un rapporto tipica mente a termine, muovendo dalla quale la Corte di appello di Roma ed il Pretore di Genova denunciano la violazione dello art. 3 Cost., ponendo a raffronto le situazioni dedotte nei rispettivi giudizi con quella disciplinata dall'art. 5, ultimo comma, della legge 230 del 1962 che attribuisce al lavoratore, alla scadenza del contratto a termine, il diritto ad un < premio di fine lavoro > < pari alla indennità di anzianità prevista dai contratti collettivi >.

Non può, infatti, dubitarsi che il patto di prova inerisce ad un rapporto di lavoro nel quale al lavoratore, di regola professionalmente già formato, si chiede l'adempimento di normali prestazioni di lavoro, uguali, per quantità e qualità a quelle fornite dagli altri lavoratori di pari qualificazione.

Ciò tanto è vero che, ove sia superato, senza esercizio della facoltà di recesso, il termine della prova e comunque decorsi sei mesi dalla assunzione, l'attività prestata durante il periodo di prova non si distingue, a tutti gli effetti retributivi, da quella di un lavoratore assunto a tempo indeterminato.

Si deve, allora, concludere restando assorbito ogni altro profilo che le disposizioni di legge, le quali negano al lavoratore assunto in prova, nei casi di recesso durante il periodo di prova stesso, l'indennità di anzianità, lo pongono in tal modo in una situazione ingiustamente deteriore rispetto al lavoratore assunto a tempo indeterminato e violano, in quanto prive di razionale giustificazione, il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo comma, Cost.

4. - Deve, a sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953 n . 87, dichiararsi la illegittimità conseguenziale dell'art. 10 della legge 604 del 1966, nella parte in cui esclude il diritto dei prestatori di lavoro che rivestono la qualifica di impiegato o di operaio ai sensi dell'art. 2095 cod. civ. a percepire l'indennità di cui all'art. 9 della legge 604 del 1966 medesima quando assunti in prova e licenziati durante il periodo di prova.

5. - Il Pretore di Genova (ord. n. 655/79) dubita anche della legittimità costituzionale degli artt. 2096, terzo comma e 2109 cod. civ. assumendone il contrasto con gli artt. 3 e 36, ultimo comma, Cost.

Anche questa questione appare fondata. Già con la sentenza n. 66 del 1963 questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima, dell'art. 2109 c.c., la disposizione che pone il decorso di un anno di ininterrotto servizio a presupposto del diritto del lavoratore ad un periodo annuale di ferie retribuite.

Motivando tale decisione, la Corte ha sostanzialmente rilevato che il periodo di riposo ritenuto necessario per ritemprare le energie psico-fisiche del lavoratore, se pur ragguagliato ad un anno ben può essere frazionato e quindi riconosciuto in proporzione alla quantità di lavoro da costui effettivamente prestata presso l'imprenditore che, avendolo assunto, procede al suo licenziamento anche prima che sia maturato un anno di ininterrotto servizio.

A conferma dell'esattezza di una tale piana argomentazione, si deve ricordare che il diritto alle ferie retribuite è garantito dall'art. 36, ultimo comma, Cost. ad ogni lavoratore senza distinzione di sorta, mentre sarà questione di fatto verificare nelle singole situazioni se sono e in che misura maturate le con dizioni per il soddisfacimento di un tale diritto.

6. - Le ordinanze del Pretore di Milano (n. 496/75) del Pretore di Roma (n. 394/76) e del Pretore di Napoli (n. 635/76) sollevano questione di legittimità costituzionale dell'art. 2096, terzo comma, cod. civ. e/o dell'art. 10 della legge 604 del 1966, nella parte in cui escludono l'obbligo dell'imprenditore di motivare il licenziamento del prestatore di lavoro assunto in prova, effettuato durante il periodo di prova.

In particolare: il Pretore di Milano ritiene, che il primo capoverso del terzo comma dell'art. 2096 c.c. consente, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, al datore di lavoro di risolvere il rapporto di lavoro ad nutum, senza obbligo cioè di indicare i motivi del recesso e per qualunque motivo, ancorché diverso da quelli indicati nella legislazione sui licenziamenti individuali. É ben vero che il giudice a quo riconosce una diversità della situazione giuridica del lavoratore assunto con patto di prova rispetto a quella del lavoratore assunto a tempo indeterminato, ma ritiene ingiustificato che il licenziamento del lavoratore in prova possa essere effettuato dal datore di lavoro senza indicazione dei motivi che l'hanno determinato o per motivi che nulla hanno a che vedere con le cause del patto di prova e che l'ordinamento oggi considera ragione di nullità del recesso medesimo.

Il Pretore di Roma, a sua volta, riconosce anch'egli giustificata la diversità di disciplina normativa, purché < limitata a quanto è necessario per consentire all'istituto della prova di assolvere tale sua funzione >. Anch'egli ravvisa nella mancanza dell'obbligo per l'imprenditore di motivare il recesso durante il periodo di prova un vizio di legittimità e più precisamente una violazione del principio di uguaglianza, essendo possibile che il lavoratore in prova venga licenziato per motivi che nulla hanno a che fare con l'esperimento e persino per motivi contrari alla legge e all'ordine pubblico. In questa situazione normativa egli ravvisa inoltre una lesione degli artt. 4, 35 e 41, secondo comma, Cost.

La sua denunzia involge anche l'art. 10 della legge 604/66.

Il pretore di Napoli, viceversa, ritiene manifestamente infondata la censura riguardante l'art. 2096, terzo comma, c.c., trattandosi di norma a suo avviso, oggettivamente < neutra > e dubita invece della legittimità costituzionale solo dell'art. 10 legge 604 del 1966.

Le questioni così poste non sono fondate.

7. - Va anzitutto ricordato che nel sistema del codice civile (libro V, titolo II, sez. III) non è previsto l'obbligo del l'imprenditore di motivare il recesso dal contratto a tempo indeterminato e che tale obbligo (a richiesta del lavoratore) e stato introdotto con l'art. 2 della legge 604 del 1966, nei rapporti di lavoro di cui agli artt. 10 e 11 della legge medesima.

Ne deriva che la disposizione del c.c. (art. 2118) sul recesso dal contratto a tempo indeterminato, non essendo stata dedotta nuova questione di legittimità in ordine ai predetti artt. 10 e 11 legge 604 del 1966 per la parte che qui interessa, ha tutt'ora un suo campo di applicazione e che pure l'art. 2096, terzo comma, c.c., al di fuori dell'ambito di operatività della legge 604/66, non sembra confliggere con gli invocati parametri costituzionali, non essendo adombrata alcuna illegittimità del disposto che esclude l'obbligo del preavviso e delle indennità sostitutive.

La questione posta in relazione al solo art. 2096, terzo comma, c.c. appare quindi infondata.

8. - Viene, dunque, in discussione l'art. 10 della legge 604/66 nella parte in cui esclude l'applicazione delle norme della legge medesima, sussistendo le altre condizioni di cui al medesimo art. 10 ed al successivo art. 11, con le modificazioni introdotte dalla legge 300 del 1970 e dalla sentenza n. 174/1972 di questa Corte agli impiegati ed operai assunti in prova.

Invero, dalla lettura delle ordinanze di rimessione non sembra potersi dedurre con sicurezza che della legge 604 si vogliano applicabili anche al rapporto di lavoro con patto di prova tutte le norme, in particolare quelle dell'art. 1 e dell'art. 3, che consentono il licenziamento soltanto per giusta causa o giustificato motivo. Ciò che i giudici a quibus ritengono confliggente con parametri costituzionali è la mancanza dell'obbligo per l'imprenditore di motivare il licenziamento del lavoratore in periodo di prova, paventando che l'assoluta discrezionalità in tal modo garantita al datore di lavoro possa dar luogo da parte sua a < comportamenti vessatori e lesivi della dignità del lavoratore >.

La questione, anche così posta, non è fondata.

9. - Affermato l'obbligo delle parti < a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova > (art. 2096, secondo comma, c.c.), ne discende un primo limite alla discrezionalità dell'imprenditore, nel senso che la legittimità del licenziamento da lui intimato durante il periodo di prova può efficacemente essere contestato dal lavoratore quando risulti che non è stata consentita, per la inadeguatezza della durata dell'esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato. Più in generale, si può affermare che la < discrezionalità > dell'imprenditore si esplica nella valutazione delle capacità e del comportamento professionale del lavoratore, così che il lavoratore stesso il quale ritenga e sappia dimostrare il positivo superamento dello esperimento nonché l'imputabilità del licenziamento ad un motivo illecito ben può eccepirne e dedurne la nullità in sede giurisdizionale.

Così definiti i termini della questione, la norma impugnata è immune da censure di costituzionalità.

Non appare, infatti, vulnerato il principio di uguaglianza, non essendo equiparabili, sotto l'aspetto che qui interessa, le situazioni poste a confronto, del lavoratore in prova e del lavoratore assunto a tempo indeterminato, mentre il riferimento ai pubblici dipendenti assunti in prova ed all'obbligo di motivazione del decreto ministeriale che li estrometta dall'Amministrazione, (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 10 e d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, art. 14, comma secondo) ignora le ben diverse modalità di assunzione di questi ultimi, che comportano, già attraverso l'esperimento del concorso, una prima valutazione della loro idoneità professionale.

Neppure è prospettabile lesione degli artt. 4 e 35 Cost., vuoi per la portata del principio di cui all'art. 4, primo comma, Cost., che, < come non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di una occupazione, così non garantisce il diritto alla conservazione del posto di lavoro, (che nel primo dovrebbe trovare il suo logico e necessario presupposto) > (sent. n. 3 del 1957; 81 del 1969; 45 del 1965; 194 del 1970), vuoi perchè l'art. 35 Cost., esaminato appunto in relazione all'art. 4, primo comma, Cost., non impone < una applicazione indiscriminata del principio della giusta causa, e del giustificato motivo nei licenziamenti, ma < lascia > al legislatore ampia discrezionalità in materia > (sent. 129 del 1976).

Quanto, infine, all'art. 41, secondo comma, Cost., che riguarda lo svolgimento del rapporto di lavoro, invocato dai Pretori di Roma e di Napoli, non si ravvisa nelle disposizioni di legge censurate alcun attentato alla libertà e alla dignità del lavoratore, soprattutto quando si riconosca la sindacabilità nei limiti anzidetti, del concreto esercizio del recesso operato dal l'imprenditore in costanza del periodo di prova e l'annullabilità dell'atto nel quale si esprime, tutte le volte che il lavoratore (in assenza di una motivazione o anche in presenza di una diversa motivazione apparente) lo provi illecitamente motivato.

Quanto infine alla denunziata inversione dell'onere della prova rispetto al sistema della legge 604/66, vanno ricordati, da un lato, la portata generale delle disposizioni di cui all'art. 4 legge 604/66, che torna pacificamente applicabile anche al di fuori dell'ambito di operatività fissata dai precitati artt. 10 e 11 della legge medesima, e dall'altro la costante incidenza sul lavoratore dell'onere della prova nei giudizi di nullità dei licenziamenti determinati da motivi politici, religiosi e sindacali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1.- dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2096, terzo comma, cod. civ. nella parte in cui non riconosce il diritto alla indennità di anzianità di cui agli artt. 2120 e 2121 stesso codice, al lavoratore assunto con patto di prova nel caso di recesso dal contratto durante il periodo di prova medesimo.

2.- ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 nella parte in cui esclude il diritto del prestatore di lavoro, che riveste la qualifica di impiegato o di operaio a sensi dell'art. 2095 cod. civ., a percepire l'indennità di anzianità di cui all'art. 9 della medesima legge 604 del 1966, quando assunto in prova è licenziato durante il periodo di prova medesimo.

3.- dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2109 cod. civ. nella parte in cui non prevede il diritto a ferie retribuite anche per il lavoratore assunto in prova in caso di recesso dal contratto durante il periodo di prova medesimo.

4.- dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2096, terzo comma, cod. civ. e dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 sollevate, con riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 4, 35 e 41, secondo comma, Cost., con le ordinanze dei Pretori di Milano, Roma e Napoli di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/12/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA -  Edoardo  VOLTERRA – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI – Giuseppe FERRARI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22/12/80.