Sentenza n.186 del 1980
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SENTENZA N.186

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente  

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 12, commi primo e terzo, della legge 3 agosto 1978, n. 405 (delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia e d'indulto e disposizioni sull'azione civile in seguito ad amnistia) promossi dal tribunale di Avezzano con ordinanze emesse in data 12 e 23 ottobre, 16 e 27 novembre, 14 dicembre 1978, e 25 gennaio 1979, nei procedimenti penali a carico di Di Micoli Domenico, Ciaglia Alessandro, Tarquini Enrico, Guarracini Orante Carmine ed altro, Giovannone Virgilio, Dei Fiaschi Antonio, e con ordinanza emessa il 23 ottobre 1978 nel procedimento penale a carico di Scognamiglio Walter ed altro, iscritte ai numeri da 49 a 54 e 332 del registro ordinanze 1979, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 87 del 28 marzo, 175 del 27 giugno e 310 del 13 novembre 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1980 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Con le ordinanze in epigrafe il tribunale di Avezzano ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni:

A) se sia costituzionalmente illegittimo per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione il primo comma dell'art. 12 della legge 3 agosto 1978, n. 405, in quanto prescrive che, quando nei confronti dell'imputato sia stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, qualora dichiarino il reato estinto per amnistia, debbano egualmente decidere sull'impugnazione, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gl'interessi civili. In virtù di tale disposto, si entra nel merito del giudizio pur non ricorrendo le condizioni del secondo comma dell'art. 152 del codice di procedura penale: esistenza di prove le quali rendano evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non è preveduto dalla legge come reato, o assoluta mancanza della prova che l'imputato abbia commesso il reato. Secondo il giudice a quo l'imputato verrebbe così privato di almeno un grado di giudizio, e ne verrebbero conseguentemente limitati i diritti della difesa (ordinanze del 12 e 23 ottobre, 16 e 27 novembre, 14 dicembre 1978, e del 25 gennaio 1979).

B) se sia costituzionalmente illegittimo  sempre per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione il terzo comma del già citato art. 12 della legge n. 405 del 1978, < nella parte in cui consente al pretore, al giudice istruttore od al tribunale, nel corso di giudizio di primo grado, di emettere sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato in seguito ad amnistia, ma di emanare egualmente un provvedimento di assegnazione di una somma alla parte civile ai sensi dell'art. 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) >. Anche per questa norma (che secondo la interpretazione accolta nella ordinanza di rinvio sarebbe applicabile non solo nella ipotesi che al sopravvenire della amnistia tale provvedimento sia stato già emanato, ma anche nel caso che il giudice provveda in momento successivo, ovviamente non dopo che sia intervenuta la declaratoria) il giudice a quo, richiamato il secondo comma dell'art. 152 del codice di procedura penale, ha ritenuto la questione non manifestamente infondata sotto il profilo della privazione per l'imputato dei due gradi di giudizio, con conseguente lesione dei diritti della difesa (altra ordinanza del 23 ottobre 1978).

2. - Stante la connessione delle sollevate questioni, i giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. - Entrambe le questioni non sono fondate.

L'art. 12 della legge n. 405 del 1978 persegue come ha posto in evidenza il Guardasigilli nel presentare il relativo disegno di legge una duplice finalità: impedire che il provvedimento di clemenza ridondi in pregiudizio del danneggiato dal reato, e soddisfare esigenze di economia processuale in modo da consentire una definizione della controversia civile, nonostante il sopravvenire dell'amnistia, con la utilizzazione degli atti del procedimento penale nell'ambito dello stesso, senza costringere le parti ad iniziare un nuovo processo in altra sede. La norma che, pur essendo inserita nella legge che ha delegato la concessione dell'amnistia di cui al d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, è autonoma (come anche si pone in risalto nella già citata relazione governativa) rispetto alle disposizioni concernenti la delega stessa, e, valendo anche per l'avvenire, ha una portata generale si colloca, pertanto, in una linea evolutiva < diretta a rimuovere quei rigidi schematismi che, subordinando totalmente l'azione civile all'azione penale, davano luogo ad una ingiustificata lesione dei diritti del danneggiato >.

Linea, che prende le mosse dalle pronunce di questa Corte, n. 1 del 1970 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 195 del codice di procedura penale < nella parte in cui pone limiti a che la parte civile possa proporre ricorso per cassazione contro le disposizioni della sentenza che concernono i suoi interessi civili >), e n. 29 del 1972 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 23 del codice di procedura penale < nella parte in cui esclude che il giudice penale possa decidere sull'azione civile anche quando, concluso il procedimento penale con sentenza di proscioglimento, l'azione della parte civile, a tutela dei suoi interessi civili, prosegua in sede di cassazione ed eventuale giudizio di rinvio >).

Si afferma nelle ordinanze di rimessione che per effetto della denunciata norma l'imputato verrebbe ad essere privato di almeno un grado di giudizio, con conseguente limitazione dei diritti della difesa, in violazione dei precetti, congiuntamente richiamati, dell'art. 3 e dell'art. 24 della Costituzione.

In proposito, va preliminarmente richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il doppio grado di cognizione di merito non è riconosciuto dalla Costituzione quale necessaria garanzia di difesa (dalle sentenze n. 110 del 1963, n. 41 del 1965, n. 54 del 1968 e dall'ordinanza n. 9 del 1971, alle sentenze nn. 22 e 117 del 1973, n. 274 del 1974

 e n. 25 del 1976).

Siffatti precedenti già di per sè conforterebbero la dichiarazione di non fondatezza della questione sottoposta all'esame della Corte. Ma ad essi non occorre far riferimento, ove si rifletta che, contrariamente all'assunto del giudice a quo, l'imputato non deve affatto subire la perdita di un grado di giurisdizione per effetto del denunciato primo comma dell'art. 12, atteso che per l'applicazione di tale norma si presuppone testualmente che sia già intervenuta, almeno in prima istanza (ed anche in seconda, ove sia la Corte di cassazione a dichiarare il reato estinto per amnistia), una sentenza di condanna, anche generica, dell'imputato alle restituzioni ad al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile. Come avverte, infatti, la ricordata relazione del Guardasigilli, la deroga rispetto al disposto dell'art. 23 del codice di procedura penale è stata volutamente limitata < al caso di decisione nel giudizio di impugnazione, quando cioè l'attività probatoria, almeno di regola, è stata esaurita e già vi è una pronuncia sull'azione civile >.

Nè maggior pregio può riconoscersi, poi, ai fini dell'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione, al richiamo che viene fatto nelle ordinanze al secondo comma dell'art. 152 del codice di procedura penale, che prevede in quali casi il giudice debba prosciogliere nel merito, anziché dichiarare estinto il reato.

Appare evidente come, ove tali casi ricorrano, non possa trovare applicazione il disposto del primo comma del citato art. 12, che, nel dettare norme esclusivamente riguardo all'azione civile, in base al principio sancito dall'articolo 198 del codice penale, in forza del quale la estinzione del reato non comporta la estinzione delle obbligazioni civili che ne derivano, presuppone invece la dichiarazione di estinzione del reato per amnistia. Le situazioni disciplinate dalle due norme sono nettamente diverse, e si rivela perciò priva di fondamento la doglianza della disparità di trattamento.

Non fondata e, dunque, in relazione agl'invocati parametri, la questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 12 della legge n. 405 del 1978.

4. - Del pari non è fondata l'altra questione, relativa al terzo comma dello stesso art. 12, anch'esso denunciato per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, sempre sotto il profilo della limitazione dei diritti della difesa a motivo della privazione del doppio grado della cognizione di merito.

A differenza dei due precedenti commi dell'art. 12, il terzo prende in considerazione l'applicazione dell'amnistia nel corso dell'istruzione o del giudizio di primo grado, ed opera esclusivamente nell'ambito della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, sempre a tutela della parte civile. E previsto, infatti, che l'eventuale provvedi mento di assegnazione di una somma in suo favore, ai sensi dell'art. 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, rimanga efficace, malgrado la intervenuta dichiarazione di estinzione del reato per amnistia, a condizione che venga proposta l'azione in sede civile entro il termine perentorio di sei mesi dal giorno in cui sia stata pronunciata la sentenza non più soggetta ad impugnazione. Una volta riattivato in quella sede il giudizio di risarcimento, competerà al giudice civile il riesame della ordinanza di assegnazione della < provvisionale >, con conseguente possibilità di revoca della stessa nell'ambito della decisione del merito: avverso la quale, poi, sono ovviamente esperibili gli ordinari mezzi di impugnazione.

Non si vede, pertanto, in qual guisa restino vulnerati, sotto il profilo dedotto dall'ordinanza di rimessione, i diritti della difesa per effetto della denunciata norma.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 12 della legge 3 agosto 1978, n. 405 (delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia e d'indulto e disposizioni sull'azione civile in seguito ad amnistia), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con le ordinanze del 12 e 23 ottobre, 16 e 27 novembre, 14 dicembre 1978, e 25 gennaio 1979 del tribunale di Avezzano;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 12 della citata legge 3 agosto 1978, n. 405, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con altra ordinanza del 23 ottobre 1978 del tribunale di Avezzano.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/12/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA -  Edoardo  VOLTERRA – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI – Giuseppe FERRARI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22/12/80.