Sentenza n.179 del 1980
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SENTENZA N.179

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 18 novembre 1975, n. 764, recante < Soppressione dell'ente 6 Gioventù Italiana 6 >, promosso con ricorso della Regione Lazio, notificato il 16 febbraio 1976, depositato in cancelleria il 26 successivo ed iscritto al n. 9 del registro ricorsi 1976.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice relatore Livio Paladin;

uditi l'avvocato Giuseppe Guarino per la Regione Lazio e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - La Regione Lazio ha promosso, impugnando la legge statale 18 novembre 1975, n. 764 (sulla soppressione dell'ente < Gioventù italiana >), tre ordini di questioni di legittimità costituzionale.

In primo luogo, il ricorso regionale censura le disposizioni che hanno trasferito alla Regione parte del personale già posto alle dipendenze dell'ente soppresso. Stando alle premesse del ricorso, l'impugnazione parrebbe coinvolgere tanto il primo quanto il secondo comma dell'art. 3, disciplinanti rispettivamente il trasferimento del personale in servizio presso le sedi periferiche e quello del personale pertinente alla sede centrale della < Gioventù italiana >; ma le argomentazioni del ricorso insistono in realtà sui soli dipendenti della sede centrale, considerando lesivo dell'art. 117 (nonché dell'ottava disp. trans. Cost.) il fatto che un tale personale sia stato trasferito, laddove lo Stato avrebbe trattenuto, con particolare riguardo alla Regione Lazio, i corrispondenti beni immobili elencati nella tabella A, allegata alla legge n. 764 del 1975.

In secondo luogo, il ricorso prospetta in via alternativa l'illegittimità del capoverso dell'art. 2, nella parte in cui riserva allo Stato < i beni individuati nella tabella A >. Da un lato, infatti, il mancato trasferimento dei beni stessi dalla < Gioventù italiana > alle Regioni si dimostrerebbe contrastante con l'art. 117 Cost., se correlato al trasferimento del rispettivo personale; d'altro lato, esso determinerebbe < una specifica causa di incostituzionalità, per disparità di trattamento e violazione dell'art. 3 Cost., nei confronti della Regione Lazio >, che sarebbe stata in questo senso privata dei mezzi materiali per far fronte ai compiti già svolti dall'ente soppresso.

In terzo luogo, il ricorso considera < autonomamente illegittime > per invasione della competenza regionale in tema di stato giuridico ed economico del personale della Regione le disposizioni degli artt. 6 e 7 della legge impugnata, sul trattamento assistenziale e di quiescenza del personale trasferito.

2. - Ma la prima questione deve ritenersi non fondata, sotto entrambi i suoi aspetti.

Circa il personale dipendente dalle sedi periferiche della < Gioventù italiana >, lo stesso ricorso riconosce che < il trasferimento può giustificarsi >, in vista del principio per cui < il personale segue i beni >. Né la difesa regionale ha approfondito l'assunto, adombrato ipoteticamente nella parte iniziale del ricorso, che l'ottava disposizione transitoria costituzionale debba essere  letteralmente riferita al solo passaggio di funzionari e dipendenti dello Stato inteso in senso stretto, ad esclusione degli altri enti pubblici. Piuttosto, le argomentazioni della Regione ricorrente sottolineano l'esigenza che il passaggio sia sorretto da un < idoneo fondamento >: riscontrabile per il personale delle sedi periferiche, ma invece carente per l'attribuzione del < personale centrale >, in quanto non collegata al trasferimento dei beni cui tali dipendenti sarebbero stati specificamente addetti.

Sennonché, su questo punto, il ricorso cade in un equivoco interpretativo, dal momento che il personale della sede centrale dell'ente < Gioventù italiana > trasferito per effetto dell'art. 3, secondo comma differiva nettamente dal personale addetto ai singoli beni, che era comunque al servizio delle sedi periferiche, sia che si trattasse del patrimonio passato alle Regioni, sia che venissero in questione i beni individuati nella tabella A. Di più: disponendo che il personale della sede centrale < viene trasferito alle regioni in misura proporzionale a quello delle sedi periferiche addetto ai beni ceduti >, il secondo comma dell'art. 3 (letto in collegamento con il primo comma) non contraddice ma anzi riafferma il principio di eguaglianza nel trasferimento del personale statale, o di altri enti pubblici, alle amministrazioni regionali: quanto minore è la quota dei beni ceduti, della quale ciascuna Regione sia destinataria, di tanto si riduce infatti la quota del personale della sede centrale, che va trasferita alla Regione stessa.

In altre parole, l'art. 3, secondo comma, della legge numero 764 del 1975 non ha nulla in comune con l'art. 18, quinto comma, del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036 (sullo scioglimento di enti operanti nel settore edilizio).

Quest'ultima disposizione è stata annullata dalla Corte con la sentenza n. 243 del 1974 appunto perchè individuava nella Regione Lazio l'unica Amministrazione regionale destinata a vedersi trasferire il personale degli enti edilizi. Viceversa, alla base della disposizione attualmente impugnata sta l'intento messo in evidenza nel corso dei lavori preparatori di suddividere proporzionalmente fra tutte le Regioni interessate i vantaggi inerenti al trasferimento dei beni e gli oneri determinati dal trasferimento del personale addetto alla sede centrale della < Gioventù italiana >.

3. - L'infondatezza della premessa sulla quale si regge l'impugnativa dell'art. 3, secondo comma, svuota la parallela impugnativa promossa alternativamente quanto alla tabella A di cui al capoverso dell'art. 2. In questo stesso senso, infatti, non è sostenibile la tesi che il mancato trasferimento di determinati beni sia stato accompagnato dal passaggio del relativo personale, e debba perciò ritenersi illegittimo.

Tuttavia, la Regione Lazio ha impugnato la tabella A (contenente l'elenco dei < beni immobili di proprietà della Gioventù italiana trasferiti allo Stato ai sensi dell'art. 2 >), anche in vista della pretesa discriminazione cui sarebbe stata ingiustamente sottoposta, al confronto con i trasferimenti del patrimonio immobiliare della < Gioventù italiana >, operati a favore di altre Regioni. Ma tale motivo del ricorso, così formulato, si rivela inammissibile.

Vero è che ben undici dei quattordici beni (o complessi di beni), individuati nella tabella A, sono localizzati nel Lazio, ed anzi situati nella città di Roma. Ma si tratta di beni eterogenei, le cui destinazioni erano molto diverse, già prima che l'ente in questione fosse stato soppresso: basti pensare da un lato alle attività musicali che si svolgevano e si svolgono mediante l'Auditorium presso il Foro italico e d'altro lato alle attività sportive organizzate dal CONI, cui sono strumentali lo Stadio olimpico, le piscine del Foro italico, gli attigui campi di tennis, e via discorrendo. Ora, la Regione ricorrente non precisa sotto quali profili la riserva di simili beni a favore dello Stato verrebbe a porla in una situazione d'ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle altre Regioni; e meno ancora chiarisce a quali titoli, e con quali conseguenze, il legislatore statale avrebbe invece dovuto trasferirle i beni stessi, in applicazione dell'art. 117 Cost. Perciò va dichiarata l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, specificamente proposta nei riguardi della tabella A, allegata alla legge n. 764 del 1975.

4. - Fondata si palesa, invece, l'impugnazione degli artt. 6 e 7 della legge che ha soppresso la < Gioventù italiana >.

Per meglio dire, alcune fra le disposizioni contenute in questi articoli non si prestano ad esser censurate, per invasione della competenza regionale sullo stato giuridico ed economico del personale addetto alla Regione: sia perchè si tratta di una disciplina che riguarda il trattamento assistenziale e di quiescenza dei dipendenti trasferiti dalla < Gioventù italiana >, quanto al periodo precedente il trasferimento (come si verifica per la seconda frase dell'art. 6, primo comma, ovvero per l'ultima parte del capoverso dell'art. 7); sia perchè si tratta di norme concernenti l'avvenire, ma riferite al solo personale trasferito allo Stato (come si riscontra per esempio nel secondo comma dell'art. 6). Ma altre disposizioni concernono invece senza dubbio il trattamento di pensione, l'assistenza malattie e l'indennità di buonuscita, relativi al periodo di servizio da prestare presso ciascuna Regione, successivamente al passaggio dei dipendenti interessati. E questo, in particolar modo, il caso della prima frase del comma iniziale dell'art. 6 (< Il personale trasferito alle regioni è iscritto, ai fini del trattamento di pensione, alla C.P.D.E.L. >), come pure della prima frase del comma iniziale dell'art. 7 (< Il personale trasferito alle regioni è iscritto, ai fini dell'assistenza malattie e della buonuscita, allo I.N.A.D.E.L. >): dove il legislatore non ha avuto cura di fare testualmente salva l'ipotesi che le singole Regioni disponessero diversamente, nell'esercizio della potestà legislativa sull'ordinamento dei propri uffici e sul trattamento del proprio personale.

Ciò che più conta, gli artt. 6 e 7 della legge n. 764 del 1975 non hanno eccettuato nemmeno l'ipotesi che le Regioni avessero già legiferato in materia, dettando apposite norme relative al regime assistenziale e di quiescenza di tutto il personale regionale, suscettibili dunque di applicarsi anche in termini diversi da quelli previsti nelle disposizioni impugnate allo stesso personale loro trasferito dalla < Gioventù italiana >. Ma precisamente in questa situazione si trovava la Regione Lazio, almeno per quanto riguarda l'art. 80 primo comma della legge regionale 29 maggio 1973, n. 20, sostituito dall'art. 3 della legge regionale 20 febbraio 1974, n. 17: che nel testo originario prevedeva genericamente l'iscrizione del personale regionale, < ai fini del trattamento di quiescenza, delle prestazioni assistenziali e previdenziali, ad idonei Enti >, con i quali sarebbe stata stipulata < apposita convenzione >; mentre il testo inserito dalla legge n. 17 del 1974 dispone in modo specifico che il personale stesso venga iscritto alla C.P.D.E.L., < ai fini del trattamento pensionistico >, all'E.N.P.D.E.D.P., < ai fini della erogazione dell'assistenza malattie >, all'I.N.A.D.E.L., < ai fini del trattamento di fine servizio >.

Su tutti questi punti, allorché la legge n. 764 del 1975 é entrata in vigore, la legislazione del Lazio dettava pertanto una compiuta disciplina, la fonte della quale non poteva e non può essere legittimamente novata dal legislatore statale ordinario, non solo nella parte in cui le norme dettate dalla legge stessa si discostano dalle corrispondenti norme regionali già vigenti, ma anche nella parte in cui sostanzialmente esse ne ripetono le disposizioni. Di conseguenza, va dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 6 e 7 della legge che ha soppresso la < Gioventù italiana >, in quanto regolano il periodo di servizio che il personale trasferito dall'ente in questione è destinato a prestare presso la Regione Lazio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo e secondo comma, della legge 18 novembre 1975, n.764 (sulla soppressione dell'ente < Gioventù italiana >), promossa dalla Regione Lazio con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, e della tabella A (sui < beni immobili di proprietà della Gioventù italiana trasferiti allo Stato >) della legge n. 764 del 1975, promossa dalla Regione Lazio con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 6 e 7 della legge n. 764 del 1975, nella parte in cui non fanno salva l'ipotesi che sia autonomamente disposto dalla Regione Lazio ai fini del trattamento di pensione, dell'assistenza malattie e della buonuscita circa il periodo di servizio che il personale trasferito presti alle dipendenze della Regione medesima.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/12/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA -  Edoardo  VOLTERRA – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22/12/80.