Sentenza n.155 del 1980
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SENTENZA N.155

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente  

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzional dell'art. 209, comma secondo, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) promossi con ordinanze emesse il 10 maggio 1975 dal Tribunale di Roma ed il 29,l'8 e il 22 gennaio (numero due ordinanze), il 18 marzo, il 28 e il 21 ottobre 1976 ed il 21 aprile 1977 dal Tribunale di Milano, rispettivamente iscritte al n. 389 del registro ordinanze 1975, ai nn. 454, 651, 652 e 653 del registro ordinanze 1976 ed ai nn. 4, 144, 145 e 428 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 del 1975, nn. 232, 333 e 340 del 1976 e nn. 59, 113 e 306 del 1977.

Visti gli atti di costituzione della Compagnia Mediterranea di Assicurazioni, di Bonfanti Carlo e della Banca Privata Italiana in liquidazione coatta amministrativa;

udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;

uditi l'avv. Michele Costa per Bonfanti, l'avv. Renato Scognamiglio per la Compagnia Mediterranea di Assicurazioni in liquidazione coatta amministrativa e l'avv. Giuseppe Guarino per la Banca Privata Italiana in liquidazione coatta amministrativa.

Considerato in diritto

1. - Per l'art. 207 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, il commissario liquidatore di impresa in l.c.a. entro un mese dalla nomina, effettuata con il provvedimento ordinatario della liquidazione ovvero con altro successivo (art. 198), comunica a ciascun creditore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento le somme risultanti a credito secondo le scritture contabili e i documenti dell'impresa (comunicazione fatta con riserva delle eventuali contestazioni); i creditori entro quindici giorni dalla ricezione della raccomandata possono far pervenire al commissario mediante raccomandata le loro osservazioni e istanze (analogo trattamento è praticato dal secondo comma dell'art. 207 a coloro che possono far valere domande di rivendicazione, restituzione e separazione su cose mobili possedute dall'impresa).

Per l'art. 208 dello stesso decreto, i creditori (e le altre persone indicate nell'art. 207, secondo comma), che non hanno ricevuto la comunicazione prevista nell'art. 207 possono chiedere mediante raccomandata, entro sessanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento di liquidazione, il riconoscimento dei loro crediti (e la restituzione dei loro beni).

L'art. 209 salvo il maggior termine stabilito in leggi speciali fissa il termine di novanta giorni dalla data del provvedimento di liquidazione entro il quale il commissario liquidatore a) forma l'elenco dei crediti ammessi o respinti (e delle domande indicate nell'art. 207, secondo comma, accolte o respinte), b) lo deposita nella cancelleria (del tribunale) del luogo dove l'impresa ha la sede principale, c) dà notizia del deposito, con raccomandata con avviso di ricevimento, a coloro la cui pretesa non sia stata in tutto o in parte ammessa (primo comma).

Il secondo comma dello stesso art. 209 statuisce che le opposizioni dei creditori esclusi (art. 98) e le impugnazioni dei crediti ammessi (art. 100) sono proposte, entro quindici giorni dal deposito dell'elenco, con ricorso al presidente del tribunale, nel quale il creditore non domiciliato nel comune in cui ha sede l'impresa deve eleggere domicilio nel comune stesso, pena l'esecuzione delle posteriori notificazioni presso la cancelleria del tribunale.

Il presidente del tribunale nomina un giudice per l'istruzione e i provvedimenti ulteriori osservate (prosegue il terzo comma dell'art. 209) le disposizioni dell'art. 203 sostituiti al giudice delegato il giudice istruttore e al curatore il commissario liquidatore.

Sulla base della riassunta normativa il Tribunale di Roma non ha giudicato inammissibile l'opposizione dall'assicurato depositata lo stesso giorno in cui gli era pervenuta la notizia del deposito dell'elenco ma a termine di quindici giorni dalla data del deposito scaduto, perchè ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 209, secondo comma per violazione (non dell'art. 3 ma) dell'art. 24, secondo comma, Cost., ravvisata nella identificazione deldies a quo con la data del deposito e non con la ricezione della notizia del deposito stesso e della parziale esclusione della pretesa dall'elenco.

2. - Gli altri otto incidenti di costituzionalità, sollevati tutti dal Tribunale di Milano nei confronti di imprese creditizie (Banca Privata Italiana, Banco di Milano, Interfinanza s.p.a. Generale Finanziaria), sollecitavano l'interpretazione e l'applicazione dell'ultimo comma dell'art. 209 (< Restano salve le disposizioni delle leggi speciali relative all'accertamento dei crediti chirografari nella liquidazione delle imprese che esercitano il credito >). Ma la conformità di detta disposizione ai dettami costituzionali non è sottoposta al giudizio di questa Corte perchè il giudice a quo non l'ha ritenuta applicabile alle otto fattispecie svolgendo motivazioni, la cui fondatezza, sebbene non quadri in tutto con l'interpretazione del quarto comma dell'art. 209 accolta dalla Corte di cassazione in tempo successivo al rilievo dell'incidente ultimo in ordine di data, sfugge al sindacato di questa Corte. Né la Corte può prendere in esame le critiche rivolte dalla difesa del commissario liquidatore della Banca Privata Italiana alla giuridica correttezza dell'apprezzamento di rilevanza, compiuto dal Tribunale di Milano, vuoi perchè l'apprezzamento è stato pur effettuato, vuoi perchè la motivazione, di cui è materiato, s'intreccia con quel l'interpretazione dell'art. 209, quarto comma, la cui conformità alle direttive segnate nell'art. 12 disp. prelim. cod. civ. sfugge lo si ripete al giudizio della Corte.

E' appena il caso di avvertire che, stante la forma di ordinanza di cui i provvedimenti di rimessione alla Corte sono rivestiti, ben potranno le sottostanti questioni essere riproposte nei giudizi di merito se e nei limiti, in cui non ne sarà il riesame precluso dalla presente sentenza che la Corte va a pronunciare (in tali sensi sent. 142/1980).

Un ultimo rilievo sui limiti obiettivi della disamina: dei due rimedi procedurali, indicati nell'art. 209, secondo comma, viene in considerazione la sola opposizione del creditore in tutto o in parte escluso, e non anche l'impugnazione dei crediti ammessi, e, ancor meno, la opposizione al provvedimento di rigetto delle domande, di cui all'art. 207, secondo comma.

Ciò premesso, in tutto giustificata è la riunione dei nove procedimenti, ad ostacolare la quale non giova la non assoluta coincidenza dei parametri di costituzionalità, provocata da ciò che il Tribunale di Milano non si è affiancato al Tribunale di Roma nel disattendere il richiamo dell'art. 3, primo comma, Cost., sin troppo noto essendo che la continenza non meno della identità giustifica la riunione di più cause in unico procedimento.

Semmai, la divergenza tra i due tribunali spiega perchè la Corte stia per riservare la precedenza allo scrutinio di legittimità, nei termini obiettivi precisati, dell'art. 209, secondo comma, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost. nella cui invocazione i due tribunali sono stati concordi.

3. - Il secondo e il terzo comma dell'art. 209 di cui si è esposto il contenuto, sono espressione di una scelta che non è sostenuta dalle ragioni, che hanno indotto il legislatore ad operare, nel campo della opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, analoga scelta dando vita all'art. 18, primo comma dello stesso r.d. 267/1942.

La Corte, con sent. 151/1980, ha giudicato lesivo del diritto di difesa in giudizio, garantito dall'art. 24, secondo comma, l'art. 18, primo comma, nella parte in cui indica nella data dell'affissione il dies a quo per proporre avverso la sentenza di fallimento l'opposizione del solo debitore e non di interessato diverso dal fallito, perchè l'estrema difficoltà di identificare coloro, in danno dei quali si produrranno gli effetti della sentenza di fallimento non appena pronunciata (effetti, che neppure la sua revoca tocca nei limiti segnati dall'art. 21, primo comma, r.d. 267/1942), non soccorre per il fallito e, pertanto, non fornisce, nel gioco di compensazione dei contrapposti interessi, persuasivo dato di bilanciamento rispetto all'offesa, che alla sostanziale tutela dei diritti infligge l'utilizzazione dell'affissione quale mezzo di propalazione dell'atto (o dell'evento) che ne costituisce oggetto.

Nel solco, dunque, aperto con la or menzionata sentenza, con la quale si registra, nel campo dominato dall'art. 18, primo comma, mutamento giurisprudenziale che rinviene giustificazione anche in sentenze dichiarative dell'illegittimità di altre norme procedurali (da ultimo, sent. 14 e 15/1979), la Cortesanziona l'illegittimità, per violazione dell'art. 24, secondo comma Cost. dell'art. 209, secondo comma, nella parte, in cui fa decorrere il termine di quindici giorni per proporre le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi, dal deposito dell'elenco dei creditori ammessi o respinti nella cancelleria del tribunale del luogo della sede principale dell'impresa in liquidazione coatta amministrativa.

Ma le ragioni, che hanno indotto la Corte a non ravvisare nel tessuto dell'art. 17 r.d. 267/1942 meccanismi di propalazione idonei a sostituire l'affissione quale dies a quo per l'opposizione del debitore non soccorrono nella specie, perchè lo stesso art. 209 delinea nella comunicazione della notizia del deposito dell'elenco effettuata mediante raccomandata con avviso di ricevimento ai creditori in tutto o in parte esclusi un mezzo, che la qualità dell'organo, alla cui diligenza è la comunicazione affidata, consente di utilizzare senza far ricorso al codice di procedura civile e alle disposizioni di sua attuazione, che disciplinano le comunicazioni di cancelleria.

Così giudicando, la Corte non si pone in contrasto con la sent. 157/1971, con la quale ebbe a dichiarare infondata la questione di costituzionalità dell'art. 9S, primo comma, che fissa nella data del deposito dello stato passivo fallimentare in cancelleria il dies a quo per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi.

Non soccorre, per vero, tra l'art. 98, primo comma e l'art. 201, secondo comma, la identità di ratio, che valga a trasferire a questo le ragioni di conformità di quello al precetto costituzionale.

Invero il difetto di natura giurisdizionale della fase riservata alla formazione dell'elenco affidata al liquidatore, non si risolve in diatriba definitoria vuoi perchè per un verso l'atto d'insinuazione al passivo fallimentare produce, a sensi dell'art. 94 r.d. 267/1942, gli effetti della domanda giudiziale, a produrre i quali sono inidonee le domande dei creditori dell'impresa in l.c.a., cui l'art. 207, primo comma, riconosce soltanto il significato di mere denunce, vuoi perchè il procedimento amministrativo di formazione dello stato passivo, descritto nel combinato disposto degli artt. 207 e 209, primo comma, è privo delle garanzie del contraddittorio orale, che assistono l'accertamento del passivo, il quale si articola nella prima fase della formazione dello stato passivo provvisorio (art. 95) e dell'adunanza di sua verificazione (art. 96).

Il fatto si è che le opposizioni (e le impugnazioni) di cui all'art. 209, secondo comma a differenza delle opposizioni e delle impugnazioni allo stato passivo fallimentare, la cui affinità con taluni processi a cognizione sommaria è stata sottolineata non rappresentano il secondo stadio di un procedimento uno ed unico, nè possono essere inquadrate nello schema della giurisdizione condizionata per non essere l'inserzione nell'elenco subordinata ad un atto del creditore, ma si definiscono come l'unica sollecitazione dell'esercizio della funzione giurisdizionale a garanzia dei creditori dell'impresa in l.c.a., che si caratterizza per il potere attribuito, in deroga all'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, al giudice ordinario di annullare atti dell'autorità amministrativa lesivi di diritti.

La circostanza che il mancato esercizio giudiziale del diritto di credito finirebbe con l'attribuire all'atto dell'autorità amministrativa, che lo comprime, efficacia estintiva del diritto stesso, conferma l'esigenza che non all'affissione dell'elenco, ma alla notizia della esclusione totale o parziale del credito comunicata al singolo creditore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, sia riservata la capacità di porre in moto il termine, alla cui inosservanza è alla fin fine collegata la perdita del diritto.

D'altro canto, la sostituzione di una pluralità di dies a quibus all'unico dies a quo, indicato nell'art. 209, secondo comma, non soffoca l'aspirazione del legislatore a riunire la pluralità di opposizioni in unico processo, perchè, a differenza delle opposizioni di interessati diversi dal fallito alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, che si sperimentano mediante atti di citazione ad udienza fissa che pongono le opposizioni stesse a contatto prima dei legittimati passivi (curatore e, se vi siano, creditori istanti) e poi dell'autorità giudiziaria competente, le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi dall'elenco hanno forma di ricorso al presidente del tribunale, al quale ammonisce il terzo comma dell'art. 209 compete la nomina di un giudice per l'istruzione e per i provvedimenti ulteriori, nel rispetto degli articoli 98 e 103 in quanto applicabili. Forma del ricorso, che consentirà al presidente di tribunale di procedere alla nomina del giudice istruttore sol dopo la restituzione alla cancelleria del tribunale degli avvisi di ricevimento.

Certo non se lo dissimula la Corte il dispositivo, che si va ad enunciare, potrà dar luogo a non lievi difficoltà nella ipotesi, nella specie non ricorrente, di opposizioni e di impugnazioni, per le quali ultime rimane ferma la data del deposito come dies a quo del termine di quindici giorni, ma il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e il rispetto delle prerogative del potere legislativo inibiscono di escogitare i rimedi alla Corte, la quale, peraltro, non può non segnalare i non tanto eventuali inconvenienti al legislatore perchè ponga mano agli opportuni rimedi.

La constatata violazione dell'art. 24, secondo comma, rende superfluo il raffronto tra l'art. 3, primo comma, Cost. e la norma impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 389/1975,454,651,652, 653/1976, e 4, 144, 145 e 428/1977, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 209, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui prevede che il termine per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi decorra dalla data del deposito, nella cancelleria del tribunale del luogo dove l'impresa in liquidazione coatta amministrativa ha la sede principale, dell'elenco dei crediti ammessi o respinti, formato dal commissario liquidatore, anziché dalle date di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento, con le quali il commissario liquidatore dà notizia dell'avvenuto deposito ai creditori le cui pretese non sono state in tutto o in parte ammesse.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/11/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA -  Edoardo  VOLTERRA – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 02/12/80.