Sentenza n.122 del 1980
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SENTENZA N.122

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 27, secondo comma, e 28 della legge 8 agosto 1977, n. 513 (Provvedimenti urgenti in materia di edilizia residenziale pubblica), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 gennaio 1978 dal tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra Amata Antonino ed altri e l'IACP della Provincia di Venezia, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 135 del 17 maggio 1978;

2) ordinanza emessa il 3 aprile 1978 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Cioli Mario ed altri e l'IACP della Provincia di Genova, iscritta al n. 418 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 327 del 22 novembre 1978;

3) ordinanza emessa il 3 aprile 1978 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Corosu Giovanni ed altri e l'IACP della Provincia di Genova, iscritta al n. 419 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 327 del 22 novembre 1978;

4) ordinanza emessa il 17 marzo 1978 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Salzano Gennaro ed altri e l'IACP della Provincia di Roma, iscritta al n. 424 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 327 del 22 novembre 1978;

5) ordinanza emessa il 14 dicembre 1978 dal tribunale di Pavia nel procedimento civile vertente tra Balderacchi Anna ed altri e l'IACP della Provincia di Pavia, iscritta al n. 213 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 9 maggio 1979;

6) ordinanza emessa il 5 dicembre 1978 dal tribunale di La Spezia nel procedimento civile vertente tra Misiano Chiarina ed altri e l'IACP della Provincia di La Spezia, iscritta al n. 284 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 20 giugno 1979;

7) ordinanza emessa il 1° marzo 1979 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Di Napoli Giovanni e l'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, iscritta al n. 463 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 210 del 1° agosto 1979;

8) ordinanza emessa il 1° marzo 1979 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Vanzillotta Franco ed altri e l'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, iscritta al n. 464 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 210 del 1° agosto 1979.

Visti gli atti di costituzione di Cioli Mario ed altri, Corosu Giovanni ed altri, Salzano Gennaro ed altri, Misiano Chiarina ed altri, e dell'IACP delle Provincie di Venezia, Genova e Roma nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 gennaio 1980 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

uditi gli avvocati Sergio La China, per Cioli Mario ed altri, Paolo Barile, per Misiano Chiarina ed altri, Lorenzo Acquarone, per l'IACP di Genova e Umberto Pototschnig, per l'IACP di Venezia e l'avvocato dello Stato Giacomo Mataloni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - I giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza in quanto sollevano analoghe questioni di legittimità costituzionale.

2. - La disciplina della cessione in proprietà a favore degli assegnatari di alloggi economici e popolari costruiti in regime di edilizia sovvenzionata si è sempre manifestata per il passato come risposta alla fondamentale esigenza di garantire, nei limiti del possibile, la disponibilità di una casa ai meno abbienti.

Attraverso una intensa attività legislativa, iniziata fin dai primi anni del secolo e confluita nel t.u. approvato con il r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, sull'edilizia economica e popolare, rimase acquisito il principio secondo cui era consentito agli Enti gestori oltre che locare, anche vendere o assegnare in locazione con patto di futura vendita gli stabili disponibili. E a tale principio corrispondeva, secondo la dottrina e la giurisprudenza, un diritto soggettivo dell'assegnatario ad ottenere la cessione in proprietà, concorrendo ovviamente le condizioni previste dalla legge ed attinenti alla natura degli alloggi, al rispetto di una quota limite delle cessioni rispetto al complesso degli alloggi esistenti, alla posizione soggettiva dei richiedenti (da ult. artt. 1/4 d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, e 61 legge 22 ottobre 1971, n. 865).

Per quanto riguarda in particolare il prezzo di cessione, i criteri di determinazione adottati fino all'entrata in vigore delle norme censurate, rispecchiavano sostanzialmente gli scopi sociali che il legislatore aveva inteso perseguire attraverso le numerose norme susseguitesi in materia, informate ad un fondamentale criterio di favore verso l'acquirente mediante il riferimento del prezzo stesso a livelli nettamente inferiori ai prezzi di mercato. Ed invero, in base all'art. 6 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, modificato dall'art. 4 della legge 27 aprile 1962, n. 231, il prezzo veniva ragguagliato al valore venale dell'alloggio al momento nel quale gli Enti interessati deliberavano la cessione, ridotto del 30%, nonché di un ulteriore 0,25% per ogni anno di effettiva occupazione.

Sempre in base allo stesso articolo 6, modificato dall'articolo 5 della legge n. 231 del 1962, per gli edifici costruiti con il contributo dello Stato ed ultimati dopo il 1° luglio 1961, il valore venale degli alloggi doveva essere uguale al costo di costruzione, al netto dei contributi statali.

In base all'art. 22 del ripetuto d.P.R. n. 2 del 1959 così come modificato dall'art. 12 della citata legge n. 231 del 1962, il prezzo di cessione degli alloggi dell'ex IRCIS (Istituto Romano Cooperativo per le case degli impiegati dello Stato) era invece dato dal valore venale di essi al momento della domanda di cessione, ridotto del 40% nonché di un ulteriore 0,50% per ogni anno di effettiva occupazione; in base all'articolo 26 del citato d.P.R. n. 2 del 1959, gli alloggi costruiti o da costruire ai sensi della legge 9 agosto 1954, n. 640, e tutti gli altri alloggi costruiti a totale carico dello Stato per le categorie meno abbienti, nonché gli alloggi dell'UNRRA-Casa, venivano ceduti ad un prezzo pari al 50% del costo di costruzione di ogni singolo alloggio; secondo infine l'art. 23 del d.P.R. 30 dicembre l972, n. 1035, il prezzo di assegnazione in proprietà degli alloggi era determinato in base al costo di costruzione quale risultava dagli atti di contabilità finale e di collaudo, con l'aggiunta del valore dell'area o del corrispettivo della concessione del diritto di superficie, determinati ai sensi dell'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, nonché degli oneri di gestione e di preammortamento, dedotto il ricavato netto effettivo delle annualità del contributo statale, salve le condizioni eventualmente più vantaggiose previste da precedenti leggi per gli assegnatari che avessero presentato domanda di riscatto entro il 22 ottobre 197l.

Come appare evidente da tali riferimenti un dato costante in materia era costituito dalla dissociazione di questo tipo di operazione dalle regole economiche che informano il mercato immobiliare per quanto riguarda la determinazione del prezzo di vendita. E ciò appunto in funzione della scelta di politica economica e sociale nel settore, improntata, come si è detto, alla volontà di soddisfare un bisogno fondamentale dell'individuo come quello della casa attraverso l'assunzione degli oneri relativi, in certa misura, a carico della finanza pubblica e quindi, in ultima analisi, della collettività.

Sennonché l'art. 27 della legge 8 agosto 1977, n. 513, ha espressamente abrogato la disciplina precedentemente sancita dal citato d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, e successive modificazioni, dalla legge 14 febbraio 1963, n.60, concernente la cessione in proprietà degli alloggi del medesimo tipo appartenenti alla gestione INA-Casa ed assegnati in locazione con patto di futura vendita o in locazione semplice, nonché da tutte le disposizioni che comunque disciplinano il trasferimento in proprietà agli assegnatari di alloggi di edilizia pubblica residenziale già assegnati in locazione semplice >.

Dopo questa disposizione di carattere generale, abolitiva del precedente regime vigente in materia, col secondo comma dello stesso art. 27 è disposto in via transitoria che le domande per le quali non fosse stato stipulato il contratto di cessione in proprietà dovessero essere confermate entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, a pena di < decadenza dell'interessato da ogni diritto >.

Con l'ultima disposizione del ripetuto art. 27 inoltre, per quanto riguarda le condizioni per la cessione degli alloggi a coloro che avessero tempestivamente confermato le domande, si è fatto rinvio a quanto stabilito nel successivo art. 28, secondo il quale il prezzo di cessione risultava dal < valore venale degli alloggi stessi al momento dell'entrata in vigore della legge, determinato dall'Ufficio tecnico erariale tenendo anche conto dello stato di conservazione dell'immobile e della sua ubicazione > ridotto dello 0,25% per ogni anno di effettiva occupazione da parte del richiedente, e salvo uno sconto per il pagamento in contante del 30% per i titolari di redditi inferiori a L. 4.800.000 annue e del 20% nel caso di reddito superiore.

Per il caso di pagamento rateale, invece, è stata fissata una quota minima di acconto del 40% del prezzo e l'interesse del 6% all'anno per dieci anni sul residuo debito per i percettori di redditi maggiori ed un acconto del 25% con interesse del 0,50% sul residuo debito da estinguere in 15 anni per i percettori di redditi inferiori.

Tale disciplina è poi stata ancora modificata con l'art. 52 della legge 5 agosto 1978, n. 457. In particolare, dirimendo difficoltà interpretative insorte al riguardo, è stato chiarito che < si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l'Ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all'assegnatario il relativo prezzo di cessione, se non previsto per legge >. E stato poi prorogato il termine di conferma delle domande ed è stato modificato il sistema di determinazione del prezzo di cessione stabilendosi che, fermo restando il riferimento al valore venale come sopra determinato, lo stesso va però ridotto dall'l,50% per ogni anno di effettiva occupazione dell'alloggio da parte del richiedente, fino a un limite massimo di venti anni, con una ulteriore riduzione del 10% da applicarsi nel caso in cui il richiedente fruisca di reddito non superiore a L. 4.800.000 annue.

Altre modifiche sono pure state apportate per quanto riguarda la detrazione del prezzo delle migliorie eventualmente apportate dall'assegnatario, la riduzione al 15oo6 della quota in contami da versare per il caso di acquisto rateale da parte dei titolari di redditi inferiori alla misura predetta ed al 30% per i percettori di redditi superiori.

Quanto testè riferito rappresenta il punto di arrivo di una revisione dei principi di favore precedentemente accolti in materia, ritenuta necessaria dal legislatore, come risulta dai lavori preparatori, in vista della crisi economica e strutturale del settore manifestatasi a seguito sia delle gravi carenze di disponibilità per il finanziamento dell'edilizia economica e popolare, le cui necessità assurgevano a valori elevatissimi, sia delle disfunzioni dei meccanismi di base dell'investimento e della produzione edilizia nel settore.

3. - Poste tali premesse, si osserva in merito alla contestazione che, secondo quanto emerge dalle ordinanze di rinvio, le controversie sono state tutte promosse da pretesi titolari del diritto alla cessione degli alloggi in questione reclamanti i benefici derivanti dalle norme di favore sopra richiamate e poi abrogate.

Le censure lamentano che l'applicazione della nuova disciplina dei prezzi sancita dal combinato disposto degli artt. 27, secondo comma e 28 della legge n. 513 del 1977 istituirebbe una disparità di trattamento a danno degli aventi diritto che, pur avendo presentato a suo tempo regolare domanda sono esclusi dal regime più favorevole, unicamente in dipendenza della mancata stipula del contratto, cioè, secondo quanto affermato dai giudici a quibus, in dipendenza di una condizione rimessa alla discrezionalità degli Enti interessati dalla cui inerzia sarebbe dipesa la mancata stipula dei contratti prima della modifica del sistema normativo. Si tratterebbe quindi di una disparità di trattamento istituita irrazionalmente fra categorie omogenee di soggetti, e come tale in contrasto con l'art. 3 Cost.

4. - Ciò premesso passando all'esame delle eccezioni di irrilevanza formulate nei giudizi provenienti dai tribunali di Venezia, Genova e Roma, che hanno emesso le ordinanze di rinvio prima della entrata in vigore della citata legge n. 457 del 1978, deve escludersene la fondatezza.

Se infatti è vero che, nel caso in cui sopravvenga una nuova legge che regoli la stessa materia oggetto della norma sottoposta a giudizio di legittimità costituzionale, il giudice del merito, cui spetta il giudizio circa la sussistenza del nesso di pregiudizialità fra la questione sollevata e la decisione del giudizio principale, deve essere posto in condizioni di rivalutare la situazione alla luce delle nuove norme, attraverso la restituzione degli atti da parte della Corte, per un nuovo esame della rilevanza, deve anche affermarsi che tale criterio è valido soltanto nel caso in cui la nuova legge comporti una sostanziale diversità di disciplina rispetto a quella inizialmente impugnata, almeno per quanto riguarda i punti sottoposti a giudizio di legittimità.

Nella specie, come si è detto, la censura si incentra su quella parte degli artt. 27 e 28 della legge n. 513 del 1977 che collega la diversità del regime di cessione all'elemento dell'avvenuta stipula del contratto di cessione dell'alloggio, ritenuta casuale perchè rimessa alla discrezionalità dell'Ente. La legge sopravvenuta, peraltro, pur precisando alcuni elementi di fatto ai fini della identificazione del momento della stipula del contratto, non ha innovato su tale punto essenziale prospettato in giudizio come viziato di illegittimità, né ha sostanzialmente modificato il regime di cessione in relazione ai profili di illegittimità dedotti salvo che per aspetti secondari che non attengono in nessun modo alla essenza dei criteri stabiliti in precedenza. Manca quindi la condizione fondamentale per far luogo al rinvio degli atti ai giudici à quibus che hanno emesso le ordinanze prima dell'entrata in vigore della nuova legge.

A maggior ragione lo stesso criterio va adottato per quanto riguarda l'eccezione analogamente formulata nel giudizio proveniente dal tribunale di Pavia, che ha emesso l'ordinanza di rinvio dopo l'entrata in vigore della legge n. 457 del 1978.

Né maggiormente fondato appare il particolare motivo di irrilevanza prospettato dalla difesa dell'IACP di Roma, secondo cui, essendo intervenuta nel corso del giudizio la stipula del contratto a norma dell'art. 52 della legge n. 457 del 1978 per alcuni degli assegnatari attori, la norma impugnata non dovrebbe più trovare applicazione.

Invero, in base a quanto la stessa difesa afferma, la dedotta circostanza non riguarda la totalità dei partecipanti al giudizio, per alcuni dei quali, quindi, permane evidentemente la possibilità di applicazione del censurato regime dei prezzi di cessione.

Va altresì esclusa la fondatezza della eccezione preliminarmente formulata dall'Avvocatura nel giudizio proveniente dal tribunale di Venezia secondo cui l'avere proposto la questione solo con riferimento al secondo comma dell'art. 27 della legge n. 513 del 1977, prescindendo dal primo comma, che dispone l'abrogazione della precedente normativa, inciderebbe sulla fondatezza della censura perchè le aspettative degli assegnatari sarebbero, se mai, lese dall'abrogazione del sistema di cessione in proprietà, venuto meno appunto in virtù del primo e non del secondo comma del ripetuto art. 27. Ma è agevole obiettare che le questioni sollevate, così come si è già precisato in precedenza, attengono non alla abrogazione del sistema di cessione in proprietà degli assegnatari di determinate percentuali di alloggi, ma solo ed esclusivamente al diverso prezzo di cessione in quanto generatore di pretese discriminazioni; e tale aspetto ha ovviamente una sua autonomia logica e sostanziale che legittima l'impugnazione nei limiti enunciati.

Nello stesso giudizio la difesa del locale IACP ha pure osservato che, essendo la censura rivolta, appunto, contro l'ultima disposizione del secondo comma dell'art. 27, concernente i criteri di applicabilità dei nuovi prezzi di cessione, la richiesta di dichiarazione di illegittimità dell'intero secondo comma andrebbe oltre il contenuto della motivazione dell'ordinanza di rinvio.

Ma anche su tale punto è agevole obiettare che il nesso logico e sostanziale che unisce la materia trattata nel secondo comma in esame, con cui si pongono condizioni procedurali per beneficiare del diritto al riscatto (conferma entro un certo termine delle domande per le quali non sia stato stipulato il relativo contratto) e la importanza che tale criterio assume nell'economia generale del provvedimento in relazione ai prezzi da praticare, rende evidente l'unitarietà della normativa enunciata nel secondo comma e quindi l'infondatezza dell'argomentazione riferita.

5. - Quanto alla fondatezza delle censure, la Corte ritiene che la pretesa violazione dell'art. 3 Cost. non sussista.

Come si è detto, la nuova disciplina, dettata dalle norme impugnate, è la risultante di una scelta legislativa di politica economica e come tale rientrante nella discrezionalità del legislatore; ne, d'altra parte, come pure si è detto, la censura investe la scelta in se, bensì la sua operatività per quanto riguarda il momento indicato ai fini di stabilire l'applicabilità delle due diverse discipline.

Ma a tal riguardo occorre rilevare che la determinazione del legislatore risponde a criteri di razionalità. Va considerato infatti che essa fa riferimento al momento in cui la volontà delle parti (assegnatari ed Enti) aveva dato vita ad un rapporto obbligatorio avente ad oggetto appunto il trasferimento della proprietà dell'alloggio, cioé ad una circostanza fondamentale nello svolgimento del rapporto fra le parti, idonea a mutare la loro situazione giuridica e tale da costituire un oggettivo punto di riferimento per l'applicazione della nuova disciplina. E ad un criterio parallelo risponde altresì l'obbligo imposto di confermare le domande già presentate per i casi in cui il contratto non fosse ancora intervenuto, offrendo così in sostanza una possibilità di tutela di situazioni non ancora definitive, ma ritenute meritevoli di considerazione per l'avvenuta manifestazione di volontà della parte privata di acquisire la proprietà dell'alloggio.

Devono d'altra parte respingersi le considerazioni diffusamente svolte nelle ordinanze di rinvio e dalla difesa delle parti private circa la pretesa casualità del verificarsi della condizione dell'avvenuta stipula del contratto. Ed infatti è da escludere che la stipula possa considerarsi un atto rimesso alla discrezionalità dell'Ente poiché, come pure si è detto, in base alla precedente legislazione era riconosciuto all'assegnatario un vero e proprio diritto soggettivo alla cessione in proprietà dell'alloggio, e tale natura indubbiamente permane anche sotto l'impero della nuova legge, sia pure nel rispetto delle nuove condizioni che ne regolano il contenuto e l'esercizio.

Pertanto gli Enti si trovavano e si trovano a dovere svolgere una attività non meramente discrezionale ma legata alla realizzazione di un diritto soggettivo ad essi affidata e suscettibile, come tale, di ogni controllo e tutela ammessi dall'ordinamento ivi compreso 1 risarcimento del danno eventualmente arrecato.

Le disfunzioni in relazione alle quali si sarebbero verificate le censurate disparità di trattamento, d'altra parte, non possono ovviamente collegarsi con nesso di conseguenzialità alla normativa impugnata, per cui anche in questo caso deve escludersi ogni loro influenza sul giudizio di costituzionalità, in conformità di quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in analoghe fattispecie (v. sent. 40/1970, 167/1973, 54 e 110/1974).

Deve aggiungersi che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, non può ritenersi contrastante con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato ad una stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, in relazione al verificarsi di circostanze di fatto che debbono ritenersi una inevitabile conseguenza della successione delle norme (v. sentt. nn. 109/71; 69/75; 63/77).

Né può condurre a diverse conclusioni l'osservare, come fa la difesa delle parti private Misiano ed altre, che le norme impugnate introdurrebbero retroattivamente una discriminazione ingiustificata in contrasto con l'esigenza di rispettare gli impegni precedentemente assunti verso gli assegnatari. Invero, a parte la considerazione che la Costituzione non esclude la retroattività delle leggi non penali (v. sentenze nn. 118/57; 19/70; 194/76; 13/77 ed altre), è evidente che, nella specie, la legge impugnata non riveste tale natura. Essa invero, operando con effetto dalla sua entrata in vigore (18 agosto 1977), non incide sui rapporti già perfezionati e, con la regolamentazione del regime transitorio, sottopone a nuova disciplina le situazioni pendenti, lasciando intatti i rapporti già esauriti, con l'effetto normale della successione delle leggi nel tempo. E d'altra parte la già dimostrata razionalità della detta regolamentazione la rende valida, anche se può avere lese talune posizioni soggettive correlate al precedente regime.

6. - Non fondato è anche il particolare profilo di illegittimità prospettato nell'ordinanza del tribunale di Genova per quanto riguarda gli assegnatari di alloggi in locazione con patto di futura vendita.

Si lamenta infatti che costoro sarebbero esclusi dalla possibilità di ottenere l'assegnazione dell'alloggio in proprietà in quanto la norma impugnata non fa menzione della loro posizione e impedirebbe che essi possano beneficiare della rimessione in termini ivi prevista per le < locazioni semplici >.

Al riguardo deve osservarsi che l'art. 27 della legge 513 del 1977 fa riferimento espresso alla cessione in proprietà di alloggi < già assegnati in locazione semplice > ed è lecito dedurre, quindi, che il legislatore abbia voluto regolare soltanto il tipo di contratto cui fa cenno esplicitamente. Altrimenti non avrebbe mancato di menzionare i contratti di locazione con patto di futura vendita, i quali hanno una loro precisa individualità giuridico-sociale e normativa.

Deve altresì considerarsi che, come si è detto, il momento cui la legge fa riferimento per determinare l'applicabilità del nuovo regime è quello in cui la volontà delle parti (assegnatari ed Enti) aveva dato vita ad un rapporto avente ad oggetto appunto il trasferimento della proprietà dell'alloggio. Una parallela situazione già si era verificata nel caso della cessione in locazione dell'alloggio con patto di futura vendita, con la particolarità che, mentre al momento della entrata in vigore della nuova normativa potevano, e di fatto erano, pendenti numerose domande di cessione in proprietà, il cui iter poteva avere raggiunto vari stadi, (v. art. 52 legge 5-8-1978 n. 457 concernente, appunto, la determinazione legislativa dei casi in cui il contratto deve considerarsi < stipulato >), i rapporti di cessione in locazione con patto di futura vendita, obbligatori anche in relazione alla sia pure futura cessione in proprietà, potevano ragionevolmente essere ritenuti ormai già perfezionati e da ricomprendere, pertanto, nell'ambito di quelle situazioni che il legislatore aveva considerato definitive e non più suscettibili di nuova e diversa regolamentazione. Il che chiarisce la mancata espressa menzione dei rapporti in esame nelle norme transitorie.

E che questo fosse l'intento del legislatore risulta dalla relazione al Senato sul disegno di legge divenuto poi la legge n. 513 del 1977, in cui chiaramente si afferma che < l'abrogazione non riguarda minimamente le assegnazioni avvenute con patto di futura vendita o in proprietà con ipoteca legale e quindi non appare giustificato l'allarme che si è diffuso al riguardo tra gli assegnatari di alloggi con questa forma di riscatto >.

A ciò si aggiunge un argomento esegetico di notevole rilievo, ricavabile dall'art. 52 della legge n. 457 del 1978. Il terzo comma di detto articolo, invero, dispone che la cessione degli alloggi realizzati in base alla legge 17 maggio 1952 n. 619 (relativa al risanamento del rione dei Sassi di Matera) < continua ad essere regolata dalle norme contenute nella detta legge >.

Queste norme prevedono la possibilità di cessione in proprietà degli alloggi mediante contratto da stipularsi dopo il pagamento dell'ultima rata del prezzo dell'alloggio ragguagliata al costo di costruzione e lo stesso terzo comma dell'art. 52 citato dà ragione espressa del mantenimento della precedente disciplina là dove testualmente precisa che seguita ad applicarsi la detta legge 619 del 1952 < essendo la disciplina ivi prevista assimilabile alla locazione con patto di futura vendita >.

Pertanto è da escludere che le norme impugnate possano essere interpretate nel senso prospettato dal giudice a quo, e la censura va quindi disattesa.

7. - Non ha infine fondamento neppure la censura prospettata nell'ordinanza del tribunale di Milano secondo cui le norme impugnate violerebbero l'art. 3 Cost. in quanto, stabilendo condizioni di prezzo diverse secondo che il pagamento avvenga per contanti o a rate, indurrebbero una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che conseguono la proprietà dopo l'entrata in vigore della legge n. 513 del 1977 e coloro che l'abbiano invece già conseguita.

E' infatti evidente che le condizioni di maggior favore previste per i pagamenti in contanti (sconto variabile in misura inversamente proporzionale all'ammontare del reddito dell'assegnatario) rispondono ad un criterio di razionalità, dovendosi le condizioni stesse inquadrare nella carente disponibilità di fondi nel settore dell'edilizia economica e popolare, e nella funzione per quanto possibile correttiva svolta al riguardo dalla riscossione dei prezzi in contanti piuttosto che a mezzo di lunghe rateazioni.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 27, secondo comma, e 28 della legge 8 agosto 1977, n. 513, come in epigrafe sollevate dai tribunali di Venezia, Genova, Roma, Pavia, La Spezia e Milano con riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/07/80.

Leonetto AMADEI – Edoardo  VOLTERRA – Guido  ASTUTI – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 23/07/80.