Sentenza n.106 del 1980
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SENTENZA N.106

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 15, 16 e 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), promossi con le seguenti ordinanze:

1.-ordinanza emessa il 10 aprile 1976 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Ferri Maria Cristina e l'INAM, iscritta al n. 468 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 dell'8 settembre 1976;

2.-ordinanza emessa il 29 aprile 1976 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra l'INAM e Di Canosa Maria, iscritta al n. 485 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 dell'8 settembre 1976;

3.-ordinanza emessa il 28 ottobre 1977 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Bozzi Pasqualina e l'INAM, iscritta al n. 114 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 115 del 26 aprile 1978;

4.-ordinanza emessa il 10 aprile 1978 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Giannini Florinda e l'INAM, iscritta al n. 332 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 27 settembre 1978;

5.-ordinanza emessa il 26 aprile 1979 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra l'Ente Nazionale Acli Istruzione Professionale-ENAIP-ed altra e l'INAM, iscritta al n. 479 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 230 del 22 agosto 1979;

6.-ordinanza emessa il 4 luglio 1979 dal Pretore di Trento nel procedimento civile vertente tra Ganarin Maria Gloria e la Cassa mutua provinciale di malattia di Trento, iscritta al n. 729 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 353 del 29 dicembre 1979.

Visti gli atti di costituzione dell'INAM, di Ferri Maria Cristina e di Ganarin Maria Gloria, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1980 il Giudice relatore Guido Astuti;

uditi l'avvocato Salvatore Cabibbo per Ganarin Maria Gloria, l'avvocato Michele Giorgianni per l'INAM e gli avvocati dello Stato Giorgio Azzariti e Vito Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Milano (Ord. n. 485/1976) solleva, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 31 e 37, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, < Tutela delle lavoratrici madri >, che testualmente dispone: < Le lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, sospese o assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero disoccupate, sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera di maternità di cui al primo comma dell'art. 15 purché tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di 60 giorni. Ai fini del computo dei predetti 60 giorni, non si tiene conto delle assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali >. Premesso che l'INAM nega l'attribuzione della anzidetta indennità alla lavoratrice che, prima dell'inizio del periodo di astensione obbligatoria per una nuova maternità abbia fruito, per oltre 60 giorni, dell'assenza facoltativa dal lavoro prevista dall'articolo 7, primo comma, della stessa legge, l'ordinanza di rimessione prospetta il contrasto della disposizione denunciata con l'art. 37, primo comma, della Costituzione, nonché < con gli ulteriori principi generali fissati negli artt. 31 e 3, primo comma >, e in particolare rileva che l'articolo 37, disponendo che le condizioni di lavoro devono consentire alla donna l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione, < mira a garantire alla madre una tutela di natura anche economica negli adempimenti predetti >.

La stessa questione, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali e con identica motivazione, sollevano due ordinanze del Pretore di Milano (nn. 114 e 332/1978), concernenti peraltro casi nei quali le lavoratrici avevano fruito, dopo il periodo di astensione facoltativa per una precedente maternità, anche di un congedo straordinario non retribuito di oltre 60 giorni, e, rispettivamente, di un permesso non retribuito di 10 mesi per malattia del bambino, ai sensi dell'art. 7, secondo comma, della legge n. 1204 del 1971.

La stessa questione è proposta dal Pretore di Trento (Ord. n. 729/1979), in altro caso in cui, nel periodo immediatamente anteriore all'astensione obbligatoria per un nuovo parto, la donna aveva goduto per più di 60 giorni dell'assenza facoltativa per precedente maternità, rilevando che se l'art. 7 riconosce alla madre il diritto di assentarsi dal lavoro per un periodo di sei mesi entro il primo anno di vita del bambino, appare contraddittorio negare l'indennità per una susseguente astensione obbligatoria dovuta a concepimento avvenuto durante la cosiddetta astensione facoltativa.

Infine, il Pretore di Torino (Ord. n. 479/1979) prospetta la medesima questione anche in relazione ad un diverso caso, nel quale la lavoratrice si trovava, all'inizio del periodo di astensione obbligatoria, in aspettativa per motivi di famiglia, senza retribuzione, da più di 60 giorni: osservando che la legge, in quanto impone l'obbligo di astensione dal lavoro nel periodo anteriore al parto, mentre subordina l'erogazione della relativa indennità alle condizioni previste dall'art. 17, secondo comma, determina disparità di trattamento sotto il profilo della irragionevolezza dei diversi effetti < pur in presenza di un identico status di lavoratrice madre >, e rifiuta inoltre la speciale adeguata protezione accordata alla maternità dagli artt. 31 e 37 della Costituzione.

2. - Un'ordinanza del Pretore di Bologna (n. 468/76) solleva, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 31, secondo comma, e 37, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 16 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, < nella parte in cui non prevede che l'indennità di maternità sia commisurata agli aumenti retributivi che possano verificarsi in pendenza del periodo di astensione obbligatoria o di assenza facoltativa dal lavoro >; e, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 37, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 15 della stessa legge, < nella parte in cui riduce al trenta per cento l'indennità di maternità nei confronti delle lavoratrici che si assentano facoltativamente dal lavoro >. Si denuncia nell'ordinanza la irrazionalità della scelta legislativa che commisura l'indennità di maternità alla retribuzione percepita dalla lavoratrice nel periodo immediatamente precedente alla astensione obbligatoria, escludendo ogni adeguamento della indennità stessa agli aumenti retributivi che possano derivare sia dagli scatti relativi all'anzianità di servizio, sia dal progressivo aumento dell'indennità di contingenza o da fenomeni di svalutazione monetaria; ne conseguirebbe una inadeguata protezione della maternità, in contrasto con la speciale tutela che la Costituzione intende assicurare alla madre e al bambino, mentre < fa carico alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico che di fatto impediscono la realizzazione dell'eguaglianza dei cittadini >. Incostituzionale sarebbe del pari il disposto dell'art. 15 circa la minore indennità accordata alle madri che fruiscono dell'assenza facoltativa, in quanto, riconoscendosi che tale assenza, ancorché dipendente dall'iniziativa della lavoratrice, sia determinata da fatti patologici comunque riconducibili al parto o al puerperio o alle condizioni di salute del neonato, < non vi è motivo di praticare alla madre alla quale la facoltà di assentarsi è imposta dalla sopravvenienza di tali fatti un trattamento diverso da quello previsto per il periodo di astensione obbligatoria >.

3. - Stante l'identità o la connessione delle questioni di costituzionalità concernenti le denunciate disposizioni della legge sulla tutela delle lavoratrici madri, le cause possono essere riunite e decise con unica sentenza.

Preliminarmente all'esame della prima questione, sollevata dalle ordinanze elencate al n. 1, si impone la soluzione del dubbio prospettato dalla difesa di una delle parti private circa l'esatta interpretazione del disposto dell'art. 17, secondo comma, della legge n. 1204 del 1971, determinante anche in ordine al controllo sul giudizio di rilevanza. Infatti i giudici a quibus ammettono concordemente che a norma dell'art. 17 debbano essere comprese, ai fini del computo dei 60 giorni immediatamente anteriori all'inizio del periodo di astensione obbligatoria delle lavoratrici gestanti, anche le assenze facoltative previste dall'art. 7, e proprio per questo sollevano la questione di costituzionalità; mentre alcune sentenze di altri giudici di merito hanno ritenuto che dette assenze facoltative non possano assimilarsi alle ipotesi di sospensione o assenza dal lavoro senza retribuzione ai sensi ed effetti dell'art. 17, e che pertanto, nel caso di assenza facoltativa, la lavoratrice madre abbia diritto all'indennità di maternità per una nuova gestazione, anche se assente dal lavoro per più di 60 giorni prima dell'inizio del relativo periodo di astensione obbligatoria.

Il tenore della formula legislativa: < lavoratrici... sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero disoccupate > appare, per la sua ampiezza e genericità, ben riferibile anche alle lavoratrici che abbiano fruito del periodo di assenza facoltativa prevista dalla legge, tanto più considerando che la stessa disposizione eccettua espressamente le sole assenze dovute a malattia o ad infortunio, senza far menzione delle assenze facoltative, che pur sono previste e autonomamente regolate nell'ambito dello stesso contesto normativo, e non possono essere assimilate, nel vigente sistema, alle malattie. Se vi fosse stato l'intento di escludere le assenze facoltative di cui all'articolo 7 dal computo dei 60 giorni, il legislatore non avrebbe mancato di farne espressa dichiarazione. Pertanto, di fronte al rifiuto dell'INAM e degli altri Istituti assistenziali di escludere tali assenze dal detto computo, e nel difetto di una giurisprudenza della Corte di cassazione sulla interpretazione dell'art. 17 secondo comma, per le considerazioni dianzi svolte questa Corte non può discostarsi dall'apprezzamento compiuto al riguardo dai giudici a quibus nella prospettazione della questione di legittimità, anche ai fini della sua rilevanza.

4. - Ciò premesso, la questione, nei limiti che qui saranno specificati, deve ritenersi fondata. Per vero, l'art. 7 della legge del 1971, che ha sensibilmente migliorato le forme di tutela delle lavoratrici madri, ha riconosciuto a queste il diritto di assentarsi dal lavoro, dopo trascorso il periodo di astensione obbligatoria anteriore e posteriore al parto, per altri sei mesi, frazionabili, entro il primo anno di vita del bambino (primo comma), nonché successivamente, in caso di malattie del bambino di età inferiore a tre anni, provate con certificato medico (secondo comma). Questi periodi di assenza, computati nell'anzianità di servizio ed utili agli effetti del diritto a pensione (art. 9 del regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026), non vengono retribuiti, e per il solo periodo di assenza facoltativa previsto dal primo comma è stata riconosciuta alle lavoratrici madri, a partire dall'1 gennaio 1973, una indennità giornaliera pari al trenta per cento della retribuzione, mentre nel caso di malattie del bambino non è accordata alla madre alcuna indennità.

Trattandosi di un diritto, e di un diritto il cui esercizio è pur sempre connesso alla speciale situazione della madre e dell'infante nei primi anni di vita, appare ingiustificato considerare questa particolare ipotesi di assenza sullo stesso piano delle altre assenze di carattere volontario, estranee alle esigenze proprie della maternità, e colpire la lavoratrice che incorra in una nuova gestazione con la sanzione della perdita dell'indennità durante il successivo periodo di astensione obbligatoria, solo per essersi avvalsa di quel diritto per più di 60 giorni prima dell'inizio di detto periodo. Siffatta esclusione integra indubbiamente una irrazionale discriminazione e penalizzazione per la lavoratrice madre, in palese contraddizione con le finalità perseguite dall'art. 7 della stessa legge mediante l'istituto della astensione o assenza facoltativa, e confligge con i principi costituzionali sia sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle altre ipotesi in cui l'art. 17 riconosce il diritto all'indennità di maternità, sia in relazione alla speciale adeguata protezione che l'art. 37 Cost. vuole assicurata alla madre e al bambino.

Nei termini dianzi precisati dovrà pertanto riconoscersi la fondatezza della questione, con la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione dell'art. 17, secondo comma, nella parte in cui non esclude dal computo dei 60 giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro l'assenza facoltativa non retribuita cui la lavoratrice gestante abbia diritto, ai sensi dell'art. 7, primo e secondo comma, della stessa legge, in relazione ad una prece dente maternità.

5. - La declaratoria non può invece essere estesa agli altri casi di assenza dal lavoro a titolo di aspettativa, congedo o permesso senza retribuzione, pur giustificati da motivi di famiglia o da altra ragione personale. Il pretore di Torino ha prospettato la disparità di trattamento che in tali casi si avrebbe, pur essendo identico lo stato di lavoratrice madre: ma la gestazione non costituisce l'unico requisito per la concessione della indennità di maternità, che la legge attribuisce soltanto nel concorso di altri presupposti, con riguardo alla situazione del rapporto di lavoro subordinato all'inizio del periodo di astensione obbligatoria, nelle diverse ipotesi puntualmente determinate dalle analitiche disposizioni dell'art. 17.

Occorre anzitutto che sia in atto un rapporto di lavoro l'indennità viene tuttavia corrisposta nei casi di risoluzione del rapporto previsti dall'art. 2 lett. b) e c), che si verifichino durante i periodi di interdizione obbligatoria dal lavoro (articolo 17, primo comma). Le lavoratrici sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, o disoccupate, possono fruire della indennità purché non si trovino in tale situazione da oltre 60 giorni prima dell'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro (salvo il caso di assenze dovute a malattia o infortunio: secondo comma). Quando invece l'astensione obbligatoria dal lavoro abbia inizio dopo 60 giorni dalla data di risoluzione del rapporto di lavoro, ovvero della sospensione, le lavoratrici possono conseguire l'indennità di maternità in luogo dell'indennità ordinaria di disoccupazione, o, rispettivamente, del trattamento di integrazione salariale, alle condizioni stabilite dal terzo, quarto e quinto comma dell'art. 17.

La legge contiene dunque una precisa ed articolata regolamentazione delle diverse ipotesi di interruzione dell'attività di lavoro anteriormente all'inizio del periodo di astensione obbligatoria, e in relazione alle loro cause variamente disciplina il diritto delle lavoratrici gestanti al godimento della indennità giornaliera di maternità.

Nelle ipotesi di assenza volontaria dal lavoro, protratta oltre due mesi, la esclusione dal godimento dell'indennità di maternità non può dirsi ingiustificata, né discriminatoria rispetto al regime fatto nei casi di astensione involontaria, per disoccupazione, sospensione o risoluzione non imputabile dei rapporti di lavoro; mentre per esse non ricorrono le ragioni che suffragano una doverosa eccezione per le assenze facoltative dipendenti da una precedente maternità.

Non appare pertanto possibile ravvisare disparità di trattamento costituzionalmente rilevanti, sia perchè trattasi di situazioni diverse sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, sia soprattutto perchè la loro disciplina è necessariamente frutto di scelte di natura politico-legislativa, non sindacabili, quindi, nemmeno in riferimento ai principi enunciati negli artt. 31 e 37, primo comma, della Costituzione, la cui concreta attuazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario.

6. - Infondata è del pari la questione sollevata dal pretore di Bologna con l'ordinanza menzionata al n. 2. La circostanza che il legislatore abbia assunto come base, per la determinazione delle indennità giornaliere di maternità, la retribuzione media globale percepita dalle lavoratrici gestanti nel periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto e immediatamente anteriore a quello nel corso del quale ha inizio l'astensione obbligatoria dal lavoro, non comporta che l'indennità in oggetto debba essere corrisposta in misura eguale alla retribuzione, né che debba seguirne gli eventuali incrementi, né che debba essere la stessa per i periodi di astensione obbligatoria e di assenza facoltativa.

L'ordinanza di rimessione dimentica che non si tratta di retribuzione, bensì di indennità assicurative, accordate dalla legge alle lavoratrici gestanti e madri per periodi relativamente ampi di interruzione della loro attività lavorativa.

La determinazione della misura di queste indennità, corrisposte dagli enti assistenziali presso i quali le lavoratrici sono assicurate contro le malattie, senza particolari requisiti contributivi o di anzianità assicurativa, è oggetto di una tipica scelta discrezionale di politica legislativa, e i parametri costituzionali ai quali il giudice a quo ha creduto di far richiamo non giustificano le sue illazioni circa i presunti vizi di legittimità, che nella specie non sussistono sicuramente. t infatti pienamente ragionevole la corresponsione di un'indennità pari all'ottanta per cento della retribuzione, durante l'intero periodo dell'astensione obbligatoria prevista dagli artt. 4 e 5 della legge, e non può certo dirsi che tale indennità sia irrisoria o assolutamente inidonea a soddisfare le particolari esigenze della madre e del bambino. Sono del pari ben comprensibili i motivi che hanno indotto il legislatore ad accordare l'indennità nella minore misura del trenta per cento in relazione agli eventuali periodi di assenza facoltativa dal lavoro, consentiti dal primo comma dell'art. 7 per l'assistenza agli infanti entro il primo anno di vita.

Ingiustificata appare infine la pretesa che le dette indennità debbano essere adeguate agli eventuali aumenti retributivi che possano verificarsi per le lavoratrici in attività di servizio, durante i periodi di assenza obbligatoria o facoltativa dal lavoro delle gestanti o madri. La legge stabilisce con puntuali disposizioni i limiti entro i quali i periodi di astensione obbligatoria e rispettivamente di assenza facoltativa dal lavoro debbono essere computati agli effetti della anzianità di servizio, nonché delle ferie, della tredicesima mensilità o della gratifica natalizia (artt. 6 e 7, terzo comma).

Anche qui si tratta di scelte legislative che sfuggono a censura in questa sede, perchè non integrano alcuna disparità di trattamento, né violazione dei principi enunciati negli artt. 31, secondo comma, e 37, primo comma, della Costituzione. La speciale protezione che la legge assicura oggi alla madre e al bambino non può ritenersi inadeguata, per palese insufficienza o irrisorietà, e non può nemmeno pretendersi che questa indennità, non avente natura retributiva né sostitutiva della retribuzione, debba essere soggetta agli incrementi propri del meccanismo delle retribuzioni, tanto più avendo riguardo alla relativa brevità, nel tempo, dei periodi di assenza dal lavoro.

Né giova infine il richiamo all'art. 3, secondo comma, della Costituzione, le cui enunciative non impongono allo Stato l'immediata integrale attuazione di un programma di piena sicurezza sociale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui non esclude dal computo dei 60 giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro l'assenza facoltativa non retribuita di cui la lavoratrice gestante abbia fruito in seguito ad una precedente maternità, à sensi dell'art. 7, primo e secondo comma, della stessa legge;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 15 e 16 della stessa legge, sollevata dal pretore di Bologna con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 31, secondo comma, e 37, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/07/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo  VOLTERRA – Guido  ASTUTI – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 07/07/80.