SENTENZA N.26
ANNO 1980
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
composta
dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo
REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI
DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio
Prof. Virgilio ANDRIOLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
articoli 2, primo, secondo e terzo comma, 5 e 6, primo comma, del d.P.R. 11
gennaio 1956, n. 20 (Disposizioni sul trattamento di quiescenza del personale
statale), promosso con ordinanza emessa il 18 aprile 1973 dalla Corte dei
conti-Sezione III giurisdizionale per le pensioni civili sul ricorso di Rondoni
Giuseppe, iscritta al n. 271 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 132 del maggio 1976.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 3 maggio 1979 il
Giudice relatore Antonino De Stefano;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato
Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato
in diritto
1. - Con ordinanza emessa
contestualmente alla decisione interlocutoria di cui
in narrativa,
2. - Va innanzi tutto
premesso che il provvedimento con il quale
Peraltro, il terzo comma
dello stesso art. 256 dispone che la base pensionabile non possa essere
determinata in misura diversa da quella prevista dalle norme che erano
applicabili alla data in cui la base stessa deve essere riferita; e poiché le
norme denunciate, vigenti all'epoca del collocamento a riposo del ricorrente,
attengono appunto alla determinazione della base pensionabile, su di esse
Occorre poi precisare che
il riferimento all'art. 5 del decreto legislativo n. 20 del 1956 va inteso come
riferimento al testo sostituito dall'art. 3 della legge 11 luglio 1956, n. 734.
3. - L'Avvocatura dello
Stato ha preliminarmente eccepito che nel giudizio a quo, secondo risulta dagli atti, il ricorrente aveva, si, chiesto il
massimo della pensione, ma nella misura, appunto, dell'ottanta per cento del
trattamento economico da lui goduto al momento della cessazione dal servizio:
donde la inammissibilità per difetto di rilevanza della dedotta questione.
L'eccezione va disattesa.
Nel provvedimento di rimessione esplicitamente si afferma che la domanda del
ricorrente va < interpretata > come richiesta del massimo spettante a
tenore di una normativa che pone un limite invalicabile, la cui conformità ai
parametri costituzionali viene posta in dubbio; e
4. - Nel merito, la
questione non è fondata.
La denunciata normativa
prevede che, ai fini della liquidazione dei trattamenti ordinari di quiescenza del personale statale, si consideri, quale
base pensionabile, l'ottanta per cento dell'ultimo stipendio integralmente
percepito (oltre gli eventuali altri assegni utili a pensione), e su tale
porzione si applichi al personale in attività di servizio la ritenuta in conto
entrate Tesoro. All'atto della cessazione dal servizio, la pensione normale spettante
ai dipendenti che abbiano almeno venti anni di servizio effettivo, è pari al
quarantaquattro per cento dello stipendio e degli altri assegni utili a
pensione; per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo, la pensione è
aumentata dell'1,80 per cento dello stipendio e degli assegni predetti, fino a
raggiungere il massimo dell'ottanta per cento degli emolumenti stessi, in
corrispondenza ad un massimo di servizio utile di anni
quaranta.
Oggetto del dubbio di
costituzionalità prospettato dal giudice a quo, non è il limite massimo dei
quaranta anni di servizio utile, per cui a differenza
degli anni compresi tra i ventuno ed i quaranta quelli oltre il quarantesimo,
pur normalmente ipotizzabili, non comportano alcun aumento dell'aliquota; ma
l'altro massimo, e cioè il limite della stessa aliquota dell'ottanta per cento,
che preclude al dipendente in possesso della massima anzianità di servizio
presa in considerazione dal legislatore (la quale, ripetesi,
non è sotto tale profilo messa in discussione), di conseguire una pensione pari
all'ultimo stipendio goduto. In ciò si ravvisa contrasto con i principi di
tutela previdenziale affermati dagli artt. 36 e 38 della Costituzione.
Ora, dagli invocati
precetti, congiuntamente considerati, innegabilmente scaturisce, secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, una particolare protezione per il
lavoratore, nel senso che il suo trattamento di quiescenza al pari della
retribuzione in costanza di servizio, della quale
costituisce sostanzialmente un prolungamento a fini previdenziali deve essere
proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, e deve in ogni
caso assicurare al lavoratore medesimo ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle
loro esigenze di vita, per un'esistenza libera e dignitosa. Proporzionalità ed
adeguatezza, che non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a
riposo, ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della
moneta. Ma ciò non comporta automaticamente che, nella fase della liquidazione,
il livello della pensione , in progressiva puntuale
concomitanza con il servizio prestato, debba poter attingere il traguardo della
integrale coincidenza con la retribuzione goduta all'atto della cessazione dal
servizio. Obiettivo indubbiamente ottimale, questo (ovviamente in quei rapporti
di lavoro in cui, come in quelli dell'impiego statale, l'ultima retribuzione
non possa essere quanto meno inferiore a quelle
precedenti). Ad esso il legislatore può, però, con
gradualità avvicinarsi (come ha poi operato, sempre nell'ambito del sistema
pensionistico statale, aumentando la base pensionabile con gli artt. 43 e 53
del citato t.u. n. 1092 del 1973, nel testo sostituito dagli artt. 15 e 16
della legge 29 aprile 1976, n. 177), nell'esercizio di una discrezionalità, che
faccia pur sempre salvi gl'inderogabili criteri di
proporzionalità e di adeguatezza sopra indicati; e valgono in proposito i
principi già affermati da questa Corte nelle sentenze n. 124 del 1968,
n.57 del 1973, n. 92 del 1975, n.
275 del 1976.
5. - Le norme in esame
sono state denunciate anche per violazione del principio d'eguaglianza, in
quanto creerebbero una sperequazione in subiecta
materia tra i dipendenti statali, i cui trattamenti di quiescenza sono
direttamente amministrati dallo Stato, e quei dipendenti pubblici, il cui fondo
pensioni è gestito da apposite Casse amministrate
dagl'Istituti di Previdenza nell'ambito del Ministero del Tesoro: per i primi,
infatti, il limite superiore della base pensionabile non può travalicare, come
detto, l'ottanta per cento, mentre per i secondi è possibile che la pensione
eguagli l'ultima retribuzione percepita in servizio.
Nemmeno sotto questo profilo la questione è fondata. Come esattamente dedotto dall'Avvocatura dello Stato, non
sussiste, sia riguardo al trattamento economico in attività di servizio, sia
riguardo al sistema contributivo preordinato al trattamento di quiescenza,
quella parità di situazioni che è il presupposto per la valutazione della
legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, di
una diversità di disciplina.
Diversità
che nel caso in esame (a differenza della questione oggetto della sentenza di
questa Corte n.
15 del 1980) va rapportata appunto ad elementi specifici, quali sopra
indicati, dei due sistemi pensionistici. Il che non impedisce, peraltro, di sottolineare
anche in questa occasione l'esigenza di procedere ad un riordino dell'intera
materia, nel segno di una sostanziale perequazione, onde agguagliarne
gl'istituti al meglio.
PER
QUESTI MOTIVI
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 2, primo, secondo e terzo comma, 5 e 6, primo comma,
del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20 (Disposizioni sul trattamento di quiescenza
del personale statale), come modificato dalla legge 11 luglio 1956, n. 734,
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, primo e secondo comma, della
Costituzione, dalla Corte dei conti, Sezione III giurisdizionale per le
pensioni civili, con ordinanza del 18 aprile 1973.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 06/03/80.
Leonetto AMADEI – Giulio
GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA
– Guido ASTUTI – Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO – Leopoldo ELIA – Guglielmo ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI – Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE – Antonio
Giovanni VITALE – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 13/03/80.