Sentenza n. 74 del 1978
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SENTENZA N. 74

ANNO 1978

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Leonetto AMADEI, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 29 r.d. 12 ottobre 1933, n. 1364 (approvazione del regolamento per la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti); dell'art. 4 della legge 13 ottobre 1969, n. 691 (norme integrative della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, relativa alla Corte dei conti), promosso con ordinanza, depositata il 12 febbraio 1976, della Corte dei conti - sezioni riunite -, sul ricorso di De Pascalis Tommaso, iscritta al n. 236 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 del 12 maggio 1976.

 

Visto l'atto di costituzione di De Pascalis Tommaso; udito nell'udienza pubblica del 28 giugno 1978 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

 

udito l'avv. Elio Clarizia, per De Pascalis.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Con ordinanza emessa il 12 febbraio 1976 nel giudizio promosso dal dott. Tommaso De Pascalis avverso i rapporti informativi relativi alla attività da lui svolta in qualità di primo referendario della Corte dei conti negli anni 1969, 1970 e 1974, le Sezioni riunite della Corte medesima hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale: a) dell'art. 29, r.d. 12 ottobre 1933, n. 1364 (Regolamento per la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti), per il quale "alla fine di ogni anno i presidenti di sezione, il procuratore generale e il segretario generale trasmettono al presidente un rapporto informativo riservato sull'attività dei magistrati da essi dipendenti"; b) dell'art. 4 legge 13 ottobre 1969, n. 691 (recante norme integrative della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, relativa alla Corte dei conti), il quale dispone che il rapporto informativo sopra menzionato deve essere comunicato integralmente all'interessato.

 

2. - Nell'ordinanza si osserva, preliminarmente, che il r.d. 12 ottobre 1933, n. 1364, é stato emanato in virtù della delega legislativa disposta con l'art. 32 legge 3 aprile 1933, n. 255, e disciplina una materia attinente all'ordinamento della Corte dei conti, la quale all'epoca in cui fu emanato era già coperta da riserva di legge in virtù di quanto stabilito dall'art. 1, secondo comma, legge 31 gennaio 1926, n. 100. Tali elementi, secondo il giudice a quo sarebbero più che sufficienti per ritenere che il decreto in questione, quantunque rechi nella intestazione la denominazione di "regolamento", sia dotato di forza di legge. Comunque, ogni dubbio in proposito, almeno per quanto attiene alla disposizione impugnata (art. 29), sarebbe superato dalla circostanza che detta norma é stata richiamata e recepita dall'art. 4 della legge 13 ottobre 1969, n. 691, assumendo così natura di legge ordinaria.

 

Nel merito, si assume che le norme denunziate impediscono - in concreto - ai referendari e ai primi referendari della Corte dei conti di avvalersi della tutela giurisdizionale la quale, a norma dell'art. 24, comma primo, della Costituzione, deve essere garantita a tutti; compromettono la formazione e l'espressione del libero convincimento da parte dei medesimi, in violazione dei principi sanciti negli artt. 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione; determinano, infine, una irrazionale discriminazione lesiva del principio di uguaglianza, in danno di tali categorie di magistrati rispetto ai Consiglieri e ai vice-procuratori generali della Corte dei conti, ai magistrati ordinari e a quelli addetti ai tribunali amministrativi, per i quali non é prevista la redazione di un rapporto informativo annuale.

 

3. - L'ordinanza é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 12 maggio 1976.

 

Nel giudizio si é costituito il dr. Tommaso De Pascalis, chiedendo che le norme denunziate siano dichiarate costituzionalmente illegittime.

 

Non é invece intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - La Corte é chiamata a decidere se l'art. 29 del Regolamento per la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti, approvato con il R.D. 12 ottobre 1933, n. 1364 (per il quale "alla fine di ogni anno i presidenti di sezione, il procuratore generale e il segretario generale trasmettono al presidente un rapporto informativo riservato sull'attività dei magistrati da essi dipendenti) e l'art. 4 della legge 13 ottobre 1969, n. 691, recante norme integrative della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, relativa alla Corte dei conti (il quale dispone che il rapporto informativo deve essere comunicato integralmente all'interessato) violino gli artt. 3, 24, primo comma, 101, secondo comma, 107, terzo comma, 108, secondo comma, della Costituzione.

 

Secondo il giudice a quo le norme impugnate:

 

a) priverebbero, in concreto, i referendari e i primi referendari della Corte dei conti della possibilità di avvalersi della tutela giurisdizionale che a norma dell'art. 24, comma primo, della Costituzione, deve essere garantita a tutti. Ciò in quanto, i giudizi e gli apprezzamenti contenuti nei rapporti informativi potrebbero essere formulati facendo ricorso ad espressioni dal significato assai dubbio e tali, comunque, da non consentire agli interessati di intendere il loro esatto valore. E non essendo prevista impugnazione di merito, ne risulterebbe menomato il diritto di difesa;

 

b) comprometterebbero la formazione e l'espressione del libero convincimento dei referendari e dei primi referendari, i quali verrebbero a trovarsi in una posizione di subordinazione rispetto ai magistrati cui é demandata la redazione del rapporto informativo sull'attività da essi svolta;

 

c) determinerebbero una situazione di ingiustificata disparità di trattamento tra i consiglieri e i vice procuratori generali della Corte dei conti (che non sono assoggettati al rapporto informativo) e i referendari e i primi referendari della Corte medesima (cui, invece, le disposizioni denunziate sono pienamente applicabili), nonché tra questi ultimi, i magistrati ordinari e quelli addetti ai Tribunali Regionali Amministrativi, per i quali neppure é prevista la redazione di un rapporto informativo annuale.

 

2. - Preliminarmente, va identificata la natura giuridica dell'art. 29 del già citato R.D. 12 ottobre 1933, n. 1364, al fine di stabilire se esso abbia o meno forza di legge e sia di conseguenza soggetto al sindacato di legittimità costituzionale.

 

La disposizione in disamina é compresa nel R.D. 12 ottobre 1933, n. 1364 che contiene l'approvazione del regolamento per la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti, emanato in base all'art. 32 della legge 3 aprile 1933, n. 255, il quale appunto disponeva che, con decreto reale, a relazione del Capo del Governo e su proposta della Corte dei conti, dovevano essere stabilite le norme per la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti.

 

Pur se qualificato regolamento dal provvedimento che lo approva, quel complesso normativo non ne presenta i requisiti formali, difettando la deliberazione del Consiglio dei Ministri ed il parere del Consiglio di Stato, necessari in base all'art. 1 della legge 31 gennaio 1926, n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche. Pertanto non appare infondato il dubbio che tale denominazione non sia stata adottata in senso tecnico ma soltanto per indicare il complesso delle disposizioni volte a disciplinare quella materia.

 

Inoltre la forma del regolamento non sarebbe stata idonea allo scopo, trattandosi di regolare un settore coperto da riserva di legge. Infatti l'art. 1, ultimo comma, della legge 31 gennaio 1926, n. 100, disponeva che fossero stabilite per legge le norme concernenti l'ordinamento del Consiglio di Stato e della Corte dei conti nonché le guarentigie dei magistrati. E la dottrina ha inteso in senso lato tale precetto comprendendovi organi, funzioni e attribuzioni. Né consta che la legge n. 255 del 1933 abbia inteso degradare la disciplina della materia già riservata alla legge a livello regolamentare.

 

Già per queste ragioni l'anzidetto decreto n. 1364 del 1933 può essere considerato come espressione di una potestà legislativa sia pure anomala, conferita al potere esecutivo con l'art. 32 della legge 3 aprile 1933, n. 255.

 

Né sembra decisivo in contrario il rilievo che difetti la deliberazione del Consiglio dei Ministri, necessaria per l'art. 3 della legge n. 100 del 1926. La citata legge n. 255 del 1933 (di natura costituzionale, agli effetti dell'art. 12 della legge 9 dicembre 1928, n. 2693) contiene infatti l'attribuzione di una potestà normativa primaria del tutto sui generis, operata al di fuori degli schemi indicati dalla legge n. 100 del 1926, quanto all'esercizio della funzione legislativa da parte del potere esecutivo; non può pertanto contestarsi che gli atti previsti dall'art. 32 della legge n. 255 del 1933 siano assimilabili a quelli aventi forza di legge.

 

La deroga agli schemi tipici é probabilmente dovuta alla tradizione legislativa, in quel tempo operante, di attribuire in materia una potestà di proposta alla Corte dei conti, la quale sin dalla sua istituzione ha provveduto con norme proprie a regolare l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi (articolo 50 legge 14 agosto 1862, n. 800), conservando tale attribuzione sino all'emanazione del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3084, il cui art. 8, modificando il precedente sistema, prevedeva che le norme sulla carriera e disciplina del personale della Corte dei conti dovevano essere approvate con decreto reale, sulla proposta delle sezioni riunite della stessa Corte. Tale potestà é stata confermata sia dall'art. 32 della legge n. 255 del 1933 per quanto riguarda le norme sul personale e sia dall'art. 35 della stessa legge - con l'espresso richiamo dell'art. 32 - per quanto concerne la riunione in un testo unico delle norme riguardanti l'ordinamento della Corte dei conti con l'introduzione delle disposizioni complementari e integrative necessarie.

 

L'attribuzione di tale ultima facoltà, indubbiamente conferisce al potere esecutivo una funzione legislativa. E la previsione che l'esercizio di essa avvenisse nei modi previsti dall'art. 32, conferma che anche con questa disposizione si é voluta conferire una potestà legislativa per quanto riguarda la carriera e la disciplina del personale, fuori degli schemi tipici previsti dall'ordinamento in quel tempo vigente.

 

Deve di conseguenza ritenersi che la norma denunziata abbia forza di legge e come tale sia soggetta al sindacato di questa Corte, a termini dell'art. 134 Cost. E d'altra parte significativo che l'obbligo di comunicare all'interessato il contenuto del rapporto informativo abbia successivamente trovato la sua disciplina in una disposizione di una legge formale (art. 4 legge 13 ottobre 1969, n. 691), sul presupposto che anche nel vigente ordinamento la materia va regolata con legge.

 

3. - Nel merito, i dubbi sollevati dal giudice a quo circa la legittimità costituzionale delle disposizioni denunziate non sono fondati. Ciò vale, innanzitutto, per quelli prospettati con riferimento all'art. 24, comma primo, della Costituzione a norma del quale "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi".

 

Al riguardo si deduce, nell'ordinanza di rimessione, che il difetto totale di criteri di valutazione per la compilazione dei rapporti informativi legittimerebbe il ricorso ad espressioni stereotipate e di incerto significato, le quali non consentirebbero agli interessati di coglierne il reale valore e, quindi, di tutelare nel modo più appropriato i propri interessi in sede giurisdizionale. Possibilità, quest'ultima, che sarebbe ulteriormente compromessa dalla mancata previsione di un gravame che consenta un riesame, nel merito, delle valutazioni espresse nei rapporti informativi.

 

Tali affermazioni non possono essere condivise.

 

Infatti, con l'entrata in vigore dell'art. 4 della legge 13 ottobre 1969, n. 691, che ne ha prescritto l'integrale comunicazione agli interessati, il rapporto informativo annuale relativo all'attività svolta dai referendari e dai primi referendari della Corte dei conti ha perso ogni carattere di segretezza.

 

La nuova disciplina ha inteso così assicurare l'effettiva e completa conoscenza delle valutazioni e degli apprezzamenti ai soggetti cui essi direttamente si riferiscono. Pertanto non v'ha dubbio che la presenza, nel rapporto, di giudizi contraddittori o non sufficientemente motivati o affetti da altri vizi comunque costituenti eccesso di potere, lungi dall'essere consentita dalla legge, si pone in specifico contrasto con il fine da essa perseguito e costituisce motivo di impugnazione del rapporto medesimo, il quale, rivestendo carattere di atto amministrativo definitivo, é impugnabile in sede giurisdizionale con i mezzi e le forme stabiliti dalle disposizioni relative ai ricorsi del personale della Corte dei conti attinenti al rapporto di impiego.

 

É vero che l'impugnazione é prevista solo per motivi di legittimità e non anche di merito, ma a tacer d'altro ciò non comporta certo violazione del principio enunciato nel primo comma dell'art. 24 della Costituzione, il cui rispetto non esclude - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - che il legislatore ordinario possa disciplinare i mezzi di tutela dei diritti e degli interessi legittimi, ampliando o restringendo le relative facoltà, in funzione delle peculiari caratteristiche dei diversi tipi di procedimento e dei superiori interessi di giustizia cui sono rispettivamente preordinate.

 

Appare quindi evidente l'insussistenza, sotto i profili considerati, di ogni motivo di contrasto tra le norme denunziate e l'art. 24 della Costituzione.

 

4. - A conclusioni non diverse deve giungersi per quanto attiene al prospettato contrasto con gli artt. 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, relativi all'indipendenza della funzione giurisdizionale.

 

A riguardo non può non rilevarsi che questa Corte ha, con reiterate pronunzie, statuito (e proprio con riferimento ai magistrati ordinari) che le disposizioni sopra ricordate comportano il riconoscimento di una posizione di assoluta parificazione fra i magistrati solo per quanto riguarda l'esercizio delle funzioni istituzionali e degli atti ai quali esse si ricollegano (i quali debbono essere emanati in base alla legge e sono sottratti a qualsiasi sindacato che non sia quello espressamente preveduto da leggi processuali) ma non anche per quel che concerne la posizione che, al di fuori delle predette funzioni, essi assumono nell'ordinamento giudiziario (sent. nn. 168 del 1963; 80 del 1970 e 143 del 1973). Dette disposizioni, pertanto, non escludono una differenziazione delle posizioni soggettive dei singoli appartenenti all'ordine giudiziario né l'esistenza, nel suo ambito, di uffici direttivi (sent. nn. 80 del 1970 e 143 del 1973). D'altra parte, l'esigenza di assicurare la continuità della funzione giurisdizionale richiede che le persone investite del suo esercizio siano soggette a specifici doveri che si collocano in rapporto di strumentalità rispetto a quello, fondamentale, di interpretare e applicare le leggi.

 

In questo quadro pienamente si giustifica l'istituto del rapporto informativo annuale previsto dalle disposizioni denunziate, il quale va visto non già come espressione di un potere gerarchico idoneo ad influire sul contenuto delle decisioni dei singoli magistrati (il che sarebbe certamente incompatibile con il dettato costituzionale) ma, invece, come strumento di valutazione delle attitudini professionali dei predetti, a garanzia del miglior andamento dell'attività cui essi sono preposti.

 

5. - Le sopra esposte considerazioni rendono evidente che le norme denunziate non violano neppure il principio di uguaglianza. Per quanto si é detto, il rapporto informativo in questione non solo non comporta alcuna menomazione della tutela giurisdizionale e dell'indipendenza dei referendari e dei primi referendari della Corte dei conti, ma risponde alla esigenza, costituzionalmente apprezzabile, di assicurare il miglior svolgimento dell'attività cui tali soggetti sono preposti; tanto più che detto rapporto, sebbene redatto annualmente, é soprattutto diretto ad acquisire elementi obiettivi sulla base dei quali possa essere effettuato, ogni qualvolta occorra, il giudizio sulla promovibilità di ciascun interessato.

 

Dal punto di vista dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, la tutela del principio di eguaglianza in tema di rapporti informativi va coordinata con la salvaguardia dei sistemi di valutazione dei magistrati della Corte dei conti ai fini della progressione nelle funzioni, che fondamentalmente trovano riscontro in analoghe disposizioni per la magistratura ordinaria.

 

Ciò dispensa dal considerare in quale misura, in relazione alla posizione e ai compiti istituzionalmente attribuiti alle diverse categorie di tali magistrati, difetti nelle situazioni poste a raffronto quella equivalenza di condizioni che costituisce il presupposto per l'applicazione dell'art. 3; il quale - come é noto - non corrisponde peraltro ad un criterio di mera uguaglianza formale e perciò consente al legislatore di dettare norme diverse per regolare situazioni che egli ritenga diverse, entro un margine di discrezionalità che giustifichi sostanzialmente il criterio di differenziazione adottato.

 

6. - Corrispondentemente spetterà al legislatore valutare se la parità di trattamento tra le varie categorie di magistrati della Corte dei conti non sarebbe più compiutamente assicurata da " un globale riesame della progressione nelle funzioni", con particolare riguardo alle modalità temporali di redazione dei rapporti informativi, secondo i criteri indicati da questa Corte nella sentenza n. 1 del 1978.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 29 R.D. 12 ottobre 1933, n. 1364 (Regolamento per la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti) e dell'art. 4 legge 13 ottobre 1969, n. 691 (Norme integrative della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, relativa alla Corte dei conti) sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, comma primo, 101, comma secondo, 107, comma terzo, e 108, comma secondo, della Costituzione, dalle sezioni riunite della Corte dei conti con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1978.

 

 

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO -  Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE -  Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA

 

 

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 luglio 1978.