Sentenza n. 161 del 1977
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SENTENZA N. 161

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, modificato dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria), promossi con le ordinanze emesse il 14 aprile 1977 dalla Corte di cassazione - sezioni unite civili - nei procedimenti civili vertenti tra Cirillo Antonietta e Fusco Clotilde e tra Mancini Vittoria e Condominio di Via Imperia n. 6, iscritte ai nn. 345 e 395 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 230 del 24 agosto 1977 e n. 244 del 7 settembre 1977.

Visto l'atto di costituzione di Mancini Vittoria, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con due distinte ordinanze - aventi medesimo contenuto - emesse in data 14 aprile 1977, ed iscritte rispettivamente ai nn. 345 e 395 del registro ordinanze 1977, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno prospettato il dubbio che l'art. 429, terzo comma, c.p.c., come modificato dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533 "violi l'art. 3 della Costituzione, per il trattamento ingiustificatamente più favorevole riservato ai crediti di lavoro, rispetto agli altri crediti pecuniari, quanto alla possibilità di decorrenza del diritto alla rivalutazione anche da data anteriore a quella di entrata in vigore della indicata legge".

La Corte di cassazione prende le mosse dalla sentenza n. 13 del 1977 di questa Corte e rileva che in tale sentenza venne esaminata la questione di legittimità costituzionale del terzo comma del citato art. 429, c.p.c., e si pervenne alla dichiarazione di infondatezza.

Secondo la Corte di cassazione la pronuncia di questa Corte deve essere intesa nel senso che, pur prospettandosi la problematica relativa alla efficacia retroattiva o meno della norma in quella sede denunciata, la questione fu dichiarata non fondata sotto il profilo che, ritenuta non retroattiva la norma, fosse razionale la diversificazione operata dal legislatore tra crediti di lavoro e altri crediti pecuniari.

Ciò premesso, la Corte di cassazione, dopo avere ampiamente argomentato per dimostrare la rilevanza della questione, anche sotto il profilo che la rivalutazione dei crediti di lavoro deve essere effettuata dal giudice di ufficio, allorché manchi espressa istanza della parte, affronta il merito della questione. Osserva la stessa Corte che secondo un indirizzo ormai prevalente l'art. 429, comma terzo, c.p.c., deve essere interpretato nel senso che la norma in esso contenuta si riferisca anche ai crediti di lavoro maturati prima della entrata in vigore della legge n. 533 del 1973. E rileva che codesta interpretazione si inserisce nel sistema normativo concernente la tutela del lavoratore e non contrasta con il principio generale di irretroattività della legge proprio in considerazione della peculiarità del credito per prestazione di lavoro. Peraltro l'indicato principio di irretroattività, pur rappresentando espressione di civiltà giuridica, non può considerarsi nel nostro sistema applicabile in via assoluta né coperto da garanzia costituzionale. Sotto il primo profilo, infatti, esso risulta ampiamente derogato in molteplici fattispecie e segnatamente proprio con riferimento alla efficacia dei codici; sotto il secondo profilo non può non rilevarsi che la Costituzione ha escluso la retroattività delle leggi solo in materia penale.

Così inquadrata la questione, la Corte di cassazione dubita che secondo la sentenza n. 13 del 1977 di questa Corte la attribuzione di efficacia retroattiva all'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, possa determinare la illegittimità della norma in detta disposizione contenuta e, di conseguenza, prospetta la relativa questione.

2. - Le ordinanze venivano ritualmente notificate, comunicate e pubblicate. Davanti a questa Corte si costituiva Vittoria Mancini - parte nel giudizio di cui alla ordinanza n. 395 del 1977 - e spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

3. - Vittoria Mancini conclude per la infondatezza della questione, aderendo alla tesi della retroattività dell'art. 429, comma terzo, c.p.c. e rilevando che tale retroattività trova razionale giustificazione in considerazione della particolare natura dei crediti per prestazioni di lavoro e della tutela agli stessi accordata in aderenza alla Costituzione.

4. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, nell'atto di intervento, chiede che la questione sia dichiarata infondata.

Dopo aver ampiamente richiamato le indicazioni contenute nella più volte citata sentenza n. 13 del 1977 di questa Corte, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che nelle ordinanze di rinvio non é contenuta alcuna autonoma valutazione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione. Sottolinea, anzi, che la Corte di cassazione richiama il proprio indirizzo secondo cui non sussisterebbe alcun dubbio circa la piena conformità della norma impugnata, pure interpretata in senso retroattivo, con i principi della Costituzione. In sostanza, in tanto la Corte di cassazione ha affermato che l'articolo 429 c.p.c. ha effetto retroattivo in quanto ha ritenuto che sussistono valide ragioni che giustificano la deroga al principio generale della irretroattività della legge, con la conseguenza che non é ipotizzabile alcuna violazione del principio di eguaglianza.

In realtà deve ritenersi che la questione é stata sollevata non già perché la Corte di cassazione abbia dubitato della legittimità della norma, bensì per il fatto che la stessa Corte ha ritenuto che dalla sentenza n. 13 del 1977 di questa Corte costituzionale potesse non essere esclusa la possibilità di una dichiarazione di incostituzionalità della norma se interpretata in senso retroattivo. A parere del Presidente del Consiglio la ripetuta sentenza della Corte costituzionale non autorizza siffatta interpretazione e pertanto deve ritenersi che attribuire o meno all'art. 429 c.p.c. efficacia retroattiva é problema che concerne la interpretazione della norma e non già la valutazione di essa sotto il profilo della legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze delle Sezioni Unite della Cassazione di cui in epigrafe hanno contenuto identico e propongono giudizi che, pertanto, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza. Esse sono state pronunziate in cause che avevano per oggetto la rivalutazione dalla data di loro maturazione, precedente all'entrata in vigore della legge 11 agosto 1973, n. 533, di crediti di lavoratori verso i loro datori di lavoro. La Cassazione doveva decidere se l'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, come modificato dalla detta legge, accordasse la rivalutazione dalla data della nascita dei crediti, anche se precedente all'entrata in vigore della stessa legge n. 533.

Di questo tema del diritto alla rivalutazione, e della sua decorrenza, si era, tra l'altro, occupata questa Corte nella sentenza n. 13 del 1977, essendo stata chiamata da alcune ordinanze a decidere se l'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, nel nuovo testo, stabilendo che "il giudice, quando pronuncia sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare oltre gli interessi, nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto", non fosse in contrasto con l'art. 3 della Costituzione per il diverso trattamento accordato ai crediti di lavoro rispetto agli altri crediti pecuniari.

La Corte, affermata la razionalità della diversificazione, quanto al diritto alla rivalutazione, tra crediti di lavoro ed altri crediti pecuniari, e la conseguente legittimità costituzionale della norma impugnata, affrontò poi - chiamatavi da alcune delle ordinanze di rimessione - la questione della decorrenza della rivalutazione. Le dette ordinanze, infatti, affermando che l'art. 429, comma terzo, c.p.c., accorda la rivalutazione da data anteriore alla entrata in vigore della legge n. 533, ponevano il quesito se la norma impugnata non fosse, anche per questo, incostituzionale, sempre a causa del non ragionevole trattamento differenziato dei crediti di lavoro rispetto agli altri crediti pecuniari.

E la Corte ritenne che questa questione di costituzionalità non si ponesse perché, a suo avviso, la norma impugnata non aveva efficacia retroattiva rispetto all'entrata in vigore della legge.

Ora le Sezioni Unite della Cassazione nelle due ricordate ordinanze di rimessione hanno, con larga motivazione, accolto e fatto propria una diversa interpretazione della normativa entrata in vigore con la legge n. 533 dell'11 agosto 1973, nel senso cioé che il giudice deve determinare il maggior danno per la diminuzione di valore del credito del lavoratore con decorrenza dalla data di maturazione del credito, anche per il periodo anteriore all'entrata in vigore della citata legge. E hanno, in conseguenza, risollevato la questione di legittimità costituzionale della legge.

2. - La Corte non può non prendere atto che la giurisprudenza dei giudici ordinari, dopo esitazioni e divergenze, si é venuta affermando nel senso di attribuire efficacia retroattiva alla norma della quale si tratta. A questa interpretazione con le due identiche ordinanze di rimessione le Sezioni Unite della Cassazione (pur rilevando la diversità delle motivazioni sulle quali essa era stata fondata, in particolare nelle sentenze della Sezione del Lavoro della stessa Cassazione) hanno impresso il suggello della loro adesione e della loro autorità. Il che impone (come fu già fatto in situazioni analoghe: sentenze n. 52 del 1965 e n. 198 del 1972) di considerare ormai - per usare una espressione altre volte usata dalla Corte - come "norma vivente" quella definita dalla detta interpretazione e di affrontare, partendo da essa, la questione di costituzionalità proposta.

3. - Si deve peraltro rilevare che l'Avvocatura dello Stato ha sollevato riserve sul modo in cui la questione di costituzionalità é stata proposta dalle Sezioni Unite della Cassazione. Nelle ordinanze di rinvio - afferma l'Avvocatura -"non é contenuta alcuna autonoma valutazione, da parte del giudice a quo, della non manifesta infondatezza della questione medesima"; la questione "é stata sollevata non già perché (il giudice) l'ha ritenuta non manifestamente infondata; bensì perché dalla sentenza n. 13 del 1977 le Sezioni Unite hanno desunto che nel pensiero dei giudici costituzionali non era esclusa la possibilità di ipotizzare una dichiarazione di incostituzionalità della norma, se interpretata in senso retroattivo".

Se questa riserva fosse fondata, essa porterebbe alla declaratoria di inammissibilità della questione e non alla dichiarazione della sua infondatezza, come invece chiede l'Avvocatura.

Senonché l'eccezione, ove si considerino nel loro complesso e nella loro correlazione le motivazioni delle ordinanze di rinvio, non appare fondata.

É vero che le Sezioni Unite hanno, in materia, ragionato partendo dalla loro lettura della citata sentenza n. 13 della Corte; e tuttavia, sia pure derivandolo da essa, hanno constatato ed affermato che tale dubbio esiste; che il giudice "non possa fare a meno di considerare senz'altro non manifestamente infondata la questione di costituzionalità sopra riferita, anche se in passato non avesse avuto dubbi in proposito": le quali ultime parole confermano che al presente i dubbi li ha.

Che a tale dubbio le Sezioni Unite siano pervenute partendo dalla sentenza della Corte nulla rileva, non essendo, appunto, rilevante la fonte del dubbio quando questo esiste.

Pertanto la eccezione dell'Avvocatura non é fondata, e si deve considerare ritualmente proposta la questione di legittimità costituzionale.

4. - Ma la questione non é fondata.

La Corte, nella più volte citata sentenza n. 13 del 1977, aveva affermato la legittimità costituzionale della diversità di trattamento, quanto alla rivalutazione, dei crediti di lavoro rispetto agli altri crediti. Aveva, cioé, dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, comma terzo, in relazione all'art. 3 della Costituzione, affermato che c'erano decisive ragioni (delle quali la Corte rileva, anche in questa occasione, la piena validità) che giustificavano la scelta del legislatore di privilegiare i crediti di lavoro accordando loro la rivalutazione, mentre le stesse ragioni valevano ad escludere che il legislatore fosse tenuto ad estendere tale trattamento agli altri crediti pecuniari.

Ma allora é evidente che, una volta riconosciuta la legittimità costituzionale della norma che esclude la rivalutazione dei crediti pecuniari non di lavoro - e la esclude da ogni e qualsiasi data -, non può sorgere una questione di costituzionalità per la mancata retroattività di una rivalutazione (che non esiste), sempre relativamente a tali crediti non di lavoro.

In altri termini, per porre un dubbio di costituzionalità ex art. 3 della Costituzione bisognerebbe che i crediti di lavoro e non di lavoro, fossero entrambi rivalutabili in virtù dell'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile ma, sempre in virtù della detta norma, fossero gli uni (quelli di lavoro) rivalutabili dall'origine, gli altri (quelli non di lavoro) rivalutabili solo dall'entrata in vigore della legge n. 533 del 1973.

Ma poiché invece (sempre ragionando sul piano della legittimità costituzionale), i crediti non di lavoro sono legittimamente esclusi dalla rivalutazione, ne consegue l'impossibilità di ipotizzare una incostituzionalità dipendente dal fatto che gli stessi crediti non godono di una rivalutazione retroattiva.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, proposta con le ordinanze di cui in epigrafe in relazione all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1977.