Sentenza n. 89 del 1977
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SENTENZA N. 89

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI,

ha pronunciato la seguente

   SENTENZA               

nel giudizio promosso con ricorsi dei Presidenti delle Regioni Emilia - Romagna, Toscana e Lombardia, notificati rispettivamente l'8 e il 22 agosto 1975, depositati in cancelleria il 26 agosto, il 4 e il 9 settembre 1975 ed iscritti ai nn. 26, 28 e 29 del registro 1975, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Ministro per l'industria 26 maggio 1975, recante "condizioni per il riconoscimento dei corsi professionali abilitanti previsti dagli artt. 5 e 6 della legge 11 giugno 1971, n. 426, sulla disciplina del commercio".

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1977 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

uditi gli avvocati Francesco Galgano per la Regione Emilia - Romagna, Enzo Cheli per la Regione Toscana, Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con decreto in data 26 maggio 1975 (in G.U. 25 giugno 1975, n. 165), il Ministro per l'Industria, Commercio e Artigianato ha stabilito "condizioni per il riconoscimento dei corsi professionali abilitanti, la cui frequenza con esito positivo é prevista dagli artt. 5, n. 3, e 6, n. 3, della legge 11 giugno 1971, n. 426 (in alternativa al superamento ed allo svolgimento di attività in proprio o prestazione di opera per un dato periodo ed entro un certo tempo dalla domanda: ex nn. I e 2 degli artt. 5 e 6 citati) come requisito per l'iscrizione nel registro degli esercenti il commercio, di cui all'art. 1 della stessa legge n. 426 del 1971.

2. - Avverso tale decreto hanno sollevato conflitto di attribuzione le Regioni Emilia - Romagna, Toscana e Lombardia (con ricorsi notificati l'8 ed il 22 agosto 1975), deducendo la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione all'art. 1 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10 ("Trasferimento alle Regioni a Statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di istruzione artigiana e professionale"), in quanto la disciplina dei corsi in questione rientrerebbe tra le funzioni, appunto, trasferite, come risulterebbe dalla lett. h dell'art. 1 in connessione all'art. 7 del d.P.R. 1972 citato.

3. - Nei giudizi innanzi alla Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri ed ha preliminarmente dedotto la inammissibilità dei ricorsi, sul rilievo che il d.m. 26 maggio 1975 denunziato sarebbe meramente esecutivo del precedente decreto dello stesso Ministro 14 gennaio 1972 (contenente "regolamento di esecuzione della legge 1971, n. 426, sulla disciplina del commercio"), avverso il quale le Regioni non avevano proposto impugnazione.

Nel merito ha contestato, comunque, che la regolamentazione dei corsi per esercenti commerciali abbia attinenza alla materia dell'istruzione artigiana e professionale, di competenza regionale.

4. - Con successive memorie, le Regioni hanno replicato alle deduzioni dell'Avvocatura di Stato; ed, in particolare, la Lombardia ha ribadito di aver, da parte sua, già provveduto a disciplinare i corsi in discussione con proprie leggi n. 21 del 17 luglio 1972 e n. 93 del 16 giugno 1975.

Considerato in diritto

1. - In quanto i ricorsi hanno ad oggetto il medesimo provvedimento governativo, può disporsi la riunione dei relativi giudizi al fine della decisione con unica sentenza.

2. - Le Regioni Emilia - Romagna, Toscana e Lombardia sollevano - come in narrativa detto - conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Ministro per l'Industria e Commercio in data 26 maggio 1975, che stabilisce "condizioni per il riconoscimento dei corsi professionali previsti dagli artt. 5, n. 3, e 6, n. 3, della legge 11 giugno 1971, n. 426, sulla disciplina del commercio".

Motivo fondamentale a tutti i ricorsi é la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 1 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10, che ha trasferito alle Regioni a Statuto ordinario "le funzioni amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di istruzione artigiana e professionale".

Sostengono, infatti, le ricorrenti che, tra le funzioni trasferite (ex d.P.R. 1972 cit.), rientrano sicuramente anche quelle relative alla disciplina dei corsi professionali per il commercio previsti dagli artt. 5 e 6 della legge 1971, n. 426.

E ciò argomentano:

a) dalla dizione generica della lett. h dell'art. 1 del detto d.P.R. che trasferisce, oltre a quelle esemplificativamente elencate nelle precedenti lettere a-g, "ogni altra funzione in ordine alla formazione ed addestramento professionale attualmente svolta dagli organi centrali e periferici dello Stato" (e non da quelli soltanto facenti capo al Ministero del Lavoro e della previdenza sociale);

b) dalla lettera, inoltre, del successivo art. 7 dello stesso decreto che, tra le competenze statuali mantenute "ferme", non include la disciplina della formazione professionale degli esercenti il commercio.

3. - É preliminare l'esame dell'eccezione di inammissibilità dei ricorsi formulata dall'Avvocatura dello Stato, in base al rilievo che il d.m. 26 maggio 1975 impugnato sia atto meramente esecutivo del precedente d.m. 14 gennaio 1972, dalle Regioni, a suo tempo, non impugnato.

L'eccezione é destituita di fondamento.

Il d.m. 14 gennaio 1972 (contenente regolamento di esecuzione della legge 1971, n. 426), con l'unica disposizione concernente i corsi per gli esercenti il commercio (art. 20) - prescindendo da qualsiasi riferimento a competenze dello Stato o della Regione in ordine alla istituzione ed organizzazione dei corsi predetti - si limitava, infatti, ad enunciare (il che non contestano le ricorrenti che il Governo potesse fare) il principio secondo cui "i corsi debbono avere per oggetto materie idonee al conseguimento della qualificazione professionale".

Il successivo d.m. 26 maggio 1975 ha introdotto, invece, una compiuta ed analitica regolamentazione (con indicazione, tra l'altro, diretta e tassativa delle "materie di insegnamento") dei corsi in questione e soprattutto ha attribuito al Ministro il potere del relativo riconoscimento.

L'autonomia (rispetto al precedente d.m. 14 gennaio 1972) e la novità di contenuto del d.m. 26 maggio 1975 é, pertanto, innegabile: onde i ricorsi avverso tale ultimo provvedimento proposti sono, senz'altro, ammissibili.

4. - Nel merito l'Avvocatura contesta - come detto - che i corsi previsti dalla legge 426 del 1971, ai fini della iscrizione nel registro degli esercenti il commercio, possano rientrare nella materia, di competenza regionale, della "istruzione artigiana e professionale".

L'affermazione non può essere condivisa.

Occorre, invero, considerare la portata della "materia" in argomento, avendo riguardo al concetto di "istruzione professionale", quale presente al legislatore all'atto del trasferimento alle Regioni delle funzioni relative, in adempimento del precetto costituzionale.

Il nucleo essenziale di tale concetto emerge, con sufficiente chiarezza, dal dibattito sviluppatosi in sede dottrinale e nelle varie occasioni di progettazioni normative.

In sostanza, deve ritenersi che l'istruzione in parola superi l'ambito del concetto comunemente accolto in precedenza, in quanto ora si caratterizza per la diretta finalizzazione all'acquisizione di nozioni necessarie sul piano operativo per l'immediato esercizio di attività tecnico-pratiche, anche se non riconducibili ai concetti tradizionali di arti e mestieri.

E sotto tale profilo si distingue dalla istruzione in senso lato, attinente all'ordinamento scolastico e - tranne le limitate e transitorie competenze regionali ex art. 4 d.P.R. 1972, n. 10 -, di competenza statale; la quale, pur se impartisce conoscenze tecniche utili per l'esercizio di una o più professioni, ha come scopo la complessiva formazione della personalità.

Tale, dunque, essendo la portata della materia "istruzione professionale" di competenza regionale, é evidente come non possa considerarsi ad essa estranea la regolamentazione dei corsi ex lege 1971, n. 426; i quali, appunto, non risultano rivolti ad una formazione culturale di tipo generale, sibbene a fornire precisamente quelle cognizioni tecnico-pratiche (come le conoscenze merceologiche) necessarie per l'esercizio dell'attività di commerciante.

Sotto altro profilo, non rileva, poi, che i corsi suddetti si rivolgano a "soggetti che sono imprenditori autonomi": giacché la tesi, sostenuta dalla Avvocatura dello Stato, che vuole accolta, dal decreto di trasferimento 1972, n. 10, menzionato, una nozione restrittiva della "istruzione professionale", nel senso che sia riferibile ai soli lavoratori dipendenti, é smentita dalle disposizioni del decreto stesso che testualmente attribuiscono alle Regioni "ogni altra funzione in ordine alla formazione ed addestramento professionale" (art. 1 lett. h) e comunque non includono, tra le competenze mantenute ferme allo Stato (art. 7), la disciplina della formazione professionale degli esercenti di commercio.

5. - Un limite alla competenza delle Regioni relativamente alla regolamentazione dei corsi di che si discute, tuttavia, sussiste; ed attiene precisamente alla fase della valutazione del risultato della frequenza ai corsi stessi.

Tale valutazione, infatti, pur ponendosi come momento terminale del procedimento formativo, esorbita dall'ambito della istruzione professionale (analogamente a quanto é stato ritenuto per l'accertamento di idoneità che conclude il tirocinio di conduttori di generatori di vapore: cfr. sentenza Corte 1976, n. 216), inserendosi, con carattere di diretta strumentalità, nell'ambito, invece, di materia non compresa nell'art. 117 della Costituzione: in particolare, nella specie, nella materia del "commercio", di competenza statuale.

Ciò in quanto la verifica dell'esito di positiva frequenza ai corsi anzidetti si risolve nella attribuzione di un titolo, che (al pari del superamento dell'esame presso le Camere di Commercio di cui al n. 1 degli stessi artt. 5 e 6 della legge n. 426 del 1971) abilita - per la via mediata dell'iscrizione nel registro (che non comporta, per altro, ulteriori controlli) - all'esercizio dell'attività commerciale nell'intero territorio dello Stato.

6. - Consegue dalle premesse innanzi poste che il decreto ministeriale in discussione - in quanto, appunto (con la riserva allo Stato del potere di riconoscimento dei corsi per esercenti il commercio e la diretta disciplina della relativa organizzazione) incide sulla materia della "istruzione professionale" di cui all'art. 117 della Costituzione - debba essere annullato.

Eccezion fatta per le disposizioni che esorbitano dalla materia sopraddetta, per inserirsi in quella del "commercio": quali sono, appunto, la disposizione, contenuta nell'art. 5, concernente la composizione della commissione che deve procedere al colloquio finale con il candidato, e quella contenuta nell'art. 2, relativa alla previa comunicazione del programma di svolgimento dei corsi - con la facoltà del Ministro di chiederne modifiche od integrazioni - la quale rende possibile allo Stato di controllare preventivamente che le materie di insegnamento, che spetta alle Regioni stabilire, siano, per quel che si é in precedenza precisato, "idonee al conseguimento della qualificazione professionale".

7. - Ciò vale, per altro, limitatamente alla Regione Lombardia; la quale, dopo l'attuato trasferimento ex d.P.R. 1972, n. 10, citato, ha concretamente legiferato nella materia della istruzione artigiana e professionale, anche per quanto attiene ai corsi de quibus.

Nei confronti delle altre Regioni, che non hanno ancora esercitato la potestà normativa, il decreto impugnato continua, invece, a spiegare i suoi effetti, tranne che per il capoverso dell'art. 1, concernente il potere amministrativo di istituzione e riconoscimento dei corsi in oggetto: in relazione al quale la competenza dell'organo regionale si sostituisce a quella dell'organo statale (indipendentemente dall'emanazione di leggi, da parte della Regione) per effetto del trasferimento di funzioni operato dal d.P.R. n. 10 del 1972 citato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta alle Regioni ricorrenti la istituzione e il riconoscimento dei corsi professionali di cui agli artt. 5, n. 3, e 6, n. 3, della legge 1971, n. 426, sulla disciplina del commercio; ed alla Regione Lombardia, nei limiti di cui in motivazione, anche la organizzazione dei detti corsi;

annulla, di conseguenza, il decreto del Ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato in data 26 maggio 1975 ("Condizioni per il riconoscimento dei Corsi abilitanti previsti dagli artt. 5 e 6 della legge 11 giugno 1971, n. 426"), nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 30 maggio 1977.