Sentenza n. 196 del 1976
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SENTENZA N. 196

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 264 del codice penale militare di pace, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 20 febbraio 1974 dal giudice istruttore del tribunale di Trani nel procedimento penale a carico di Chimisso Vincenzo, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 dell'8 maggio 1974;

2) ordinanza emessa l'11 ottobre 1974 dal tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di Bendini Giancarlo, iscritta al n. 458 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 dell'11 dicembre 1974;

3) ordinanza emessa il 15 aprile 1975 dal giudice istruttore del tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di Tatone Oronzo, iscritta al n. 251 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 209 del 6 agosto 1975.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1976 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi i sostituti avvocati generali dello Stato Giorgio Azzariti e Giuseppe Gozzi, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con le tre ordinanze indicate in epigrafe sono state sollevate tre questioni di legittimità costituzionale dell'art. 264 del codice penale militare pace in riferimento agli artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione.

Nel primo dei tre giudizi conseguiti avanti questa Corte non v'é stata costituzione di parte né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; negli altri due vi é stato solo l'intervento di quest'ultimo.

2. - Il giudice istruttore presso il tribunale di Trani (ord. 20 febbraio 1974) rileva che l'art. 264 codice penale militare pace, nel disciplinare la connessione fra i procedimenti di competenza, rispettivamente, dell'autorità giudiziaria ordinaria e dell'autorità giudiziaria militare, connessione che comporta attrazione a favore della prima, non contempla l'ipotesi di concorso formale di reati, ammessa, invece, dall'art. 45 del codice di procedura penale.

Siffatta normativa concreterebbe una evidente disparità di trattamento tra imputati perché, a seconda che essi rivestano o meno la qualità di militare, sono privati o, per converso, godono del vantaggio di essere giudicati da un solo giudice. Disparità che si risolverebbe in una violazione dell'art. 3 della Costituzione, non sussistendo una obiettiva diversità di situazioni tra l'imputato militare e quello non militare, allorché entrambi violino con una medesima azione più disposizioni di legge.

La ripetuta disparità di trattamento si rivelerebbe, inoltre, irragionevole perché atta a creare il pericolo della contraddittorietà di giudicati in riferimento ad un medesimo fatto e ad esporre l'imputato militare ad un aggravio ingiustificato di spese processuali e defensionali.

3. - Con ordinanza 11 ottobre 1974, il tribunale militare territoriale di Padova deduce che contro il soldato Bendini Giancarlo pendono due procedimenti penali: uno avanti quel tribunale, per ritenzione di effetti militari (art. 166 del codice penale militare di pace) ed un altro avanti il pretore di Ficarolo, per la contravvenzione di detenzione abusiva di armi (art. 697 del codice penale). Rileva, quindi, che, per effetto dell'art. 81 del codice penale, così come modificato dal d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito con la legge 7 giugno 1974, n. 220, tra i due cennati reati, uno comune, l'altro militare, é ora compatibile la continuazione; la quale, da ritenersi sussistente nella specie, non comporta tuttavia alcun spostamento di competenza e, perciò, l'unificazione dei giudizi, atteso che l'art. 264 del codice penale militare di pace prevede la connessione devolutiva di competenza solo quando trattasi di più procedimenti relativi a delitti e non anche a delitti e contravvenzioni; e comunque, non contempla la continuazione come un caso di connessione. Dal che il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, risultando privilegiata la situazione dell'imputato di più reati comuni, rispetto a quella dell'imputato di reati comuni e militari, ove, in entrambi i casi, si possa riscontrare un mezzo atto a stabilire la continuazione: il primo sarà sottoposto soltanto alla giurisdizione del giudice ordinario, il secondo, invece, a quest'ultimo per i reati comuni e al giudice militare per i reati militari.

4. - Infine, il giudice istruttore presso il ripetuto tribunale militare territoriale di Padova - con ordinanza 15 aprile 1975 - rileva che, nella ipotesi di connessione conseguenziale, ovvero, ove si preferisca, per correità, tra un reato militare ascritto ad un militare (nella specie, favoreggiamento reale), ai sensi dell'art. 264 del codice penale militare di pace, é obbligatorio lo spostamento della competenza e il cumulo di tutti i procedimenti davanti al giudice ordinario, con conseguente sottoposizione a quest'ultimo di un appartenente alle Forze Armate dello Stato. Siffatta disciplina, osserva, appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto determina una disparità di trattamento processuale tra l'autore di un solo reato militare commesso all'infuori di ogni altra forma di concorso con estranei, ed il militare imputato dello stesso reato, ma connesso conseguenzialmente o teleologicamente o, comunque, in concorso con altri delitti realizzati con estranei. Ed appare in contrasto altresì con l'art. 25, primo comma, della Costituzione, perché sottrae, senza una congrua e rigorosa ragione logica, al tribunale militare - giudice naturale validamente precostituito ex lege - l'appartenente alle Forze Armate, coimputato con estranei, nei casi in cui il cumulo dei procedimenti non sembra in alcun modo giustificato.

5. - Per l'Avvocatura dello Stato, la questione sollevata dal tribunale militare territoriale di Padova - con ordinanza 11 ottobre 1974 - é irrilevante, perché i reati ascritti all'imputato, e che si assume unificabili nella continuazione, sono un delitto ed una contravvenzione e perciò puniti con pene diverse e di differente gravità. Onde la inapplicabilità, in concreto, della speciale regola di determinazione della pena complessiva, dettata dall'art. 81 del codice penale.

Per quanto attiene all'ordinanza del 15 aprile 1975 del giudice istruttore presso il tribunale territoriale di Padova, l'Avvocatura dello Stato osserva che, se per la sentenza n. 29 del 1958 di questa Corte la giurisdizione ordinaria é da considerare "normale e prevalente" nella ipotesi di connessione, legittimo deve ritenersi che il giudice ordinario - chiamato a decidere del reato di favoreggiamento a carico di due civili - abbia cognizione anche del reato militare imputato all'appartenente alle Forze Armate.

Ed é da escludere l'asserita disparità di trattamento, perché l'ipotesi del reato militare, commesso al di fuori di ogni forma di concorso con estranei, dà luogo ad una situazione circoscritta nell'ambito della legislazione penale militare, mentre, ove si verifichi il concorso di civili nel reato militare o il concorso fra reato militare e reato comune, realizzato l'uno dall'appartenente alle Forze Armate e l'altro da civile, si ha una situazione obiettivamente del tutto diversa. E, quindi, non é costituzionalmente illegittimo il differenziato trattamento conseguentemente praticato.

Ed é da ritenere, altresì, che non sussiste neppure la eccepita violazione dell'art. 25 della Costituzione, atteso che, come affermato nella sentenza n. 29 del 1958, la giurisdizione ordinaria deve essere considerata, nella ipotesi di connessione, come quella normale e prevalente in tempo di pace.

Considerato in diritto

1. - Le questioni proposte con le ordinanze indicate in epigrafe, essendo analoghe, sono state trattate congiuntamente e vengono decise con unica sentenza.

2. - Il giudice istruttore del Tribunale di Trani deduce l'illegittimità costituzionale dell'art. 264 del codice penale militare di pace nella parte in cui - a differenza di quanto previsto nell'art. 45 del codice di procedura penale - non viene contemplata l'ipotesi, fra le cause di connessione, del concorso formale di reati.

La illegittimità é dedotta in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione e sarebbe determinata dalla differenza di trattamento che, dalla diversità fra le indicate norme, deriverebbe, fra soggetti che si trovano nella stessa situazione giuridico-penale, di avere, con una sola azione od omissione, violato diverse disposizioni di legge.

In tal caso - secondo il giudice a quo - mentre il militare sarebbe costretto a subire due processi da parte di giudici diversi, il non militare ne subirebbe uno solo da parte di un unico giudice.

La questione non é fondata.

Va innanzi tutto ritenuta inesatta l'affermazione che il militare, quando compie più reati in concorso formale, deve sempre subire due processi da parte di due giudici diversi. Egli, infatti, subisce questo trattamento solo se ha, con la stessa azione od omissione, compiuto reati militari congiuntamente a reati non militari perché se, in concorso formale, ha compiuto più reati soltanto militari, egli subisce un solo processo da parte del giudice militare perché, in tal caso, per l'art. 261 del codice penale militare di pace, l'art. 45 del codice di procedura penale si applica a lui e nella sua totalità.

In altri termini, il legislatore ha distinto secondo che la connessione importi deroga alla normale competenza o piuttosto deroga alla giurisdizione: nella prima ipotesi, tanto il codice di procedura penale (art. 45) quanto il codice penale militare di pace (art. 261), prevedono gli stessi casi di connessione.

Ben diversa situazione é quella dello spostamento di giurisdizione, che il legislatore ha limitato ad alcuni soltanto dei detti casi di connessione.

Le situazioni comparate sono quindi diverse, in quanto l'una riguarda la connessione tra reati che siano tutti di competenza del giudice ordinario o speciale, e l'altra invece reati la cui cognizione sia devoluta ad organi di giurisdizione diverse.

Né é esatto che il non militare abbia, nella identica situazione, un trattamento diverso.

Il vero é che la situazione in cui viene a trovarsi il militare che, in concorso formale, compie reati militari e reati non militari, é peculiare a lui solo, perché il non militare che, sempre in concorso formale, e cioé con una sola azione od omissione, compie diverse violazioni di legge, consuma soltanto più reati comuni, essendo escluso dall'art. 103, comma terzo, della Costituzione che il non militare possa essere soggetto attivo di reati militari.

Così posta la questione - nei suoi termini esatti - é ovvio che tra le due situazioni giuridiche prospettate rispetto al concorso formale di reati, non vi é affatto identità e che dalla diversità della rispettiva normativa non può perciò indursi violazione del principio di eguaglianza.

3. - Il tribunale militare territoriale di Padova, nel giudicare un militare imputato di ritenzione di effetti militari, ha rilevato che, contro lo stesso militare, pendeva presso la Pretura di Ficarolo procedimento penale per la contravvenzione di cui all'art. 697 del codice penale (detenzione abusiva di armi).

Lo stesso tribunale, dopo aver considerato che, per l'articolo 264 del codice penale militare di pace - che regola la connessione tra procedimenti di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria e procedimenti di competenza dell'autorità giudiziaria militare - non é previsto né il caso della connessione tra delitti e contravvenzioni né quello della connessione per il titolo della continuazione, ha ravvisato una ingiustificata differenza di trattamento tra il militare che non può e il non militare che invece può giovarsi dei benefici che discendono dall'applicazione dell'art. 81 modificato, in tema di reati continuati, e quindi una violazione dell'art. 3 della Costituzione.

La questione non é rilevante.

Tra le questioni sorte in giurisprudenza dopo che la legge ha modificato l'originario testo dell'art. 81, ampliandone l'applicazione anche a chi, con un medesimo disegno criminoso, compie più violazioni anche di diverse disposizioni di legge, si é agitata quella della configurabilità della continuazione tra reati importanti pene eterogenee. Tale questione é stata risolta dalla Cassazione negativamente, sì che ne é rimasta esclusa la configurabilità della continuazione tra delitti e contravvenzioni.

Ciò posto, e poiché lo scopo unico, che il giudice a quo si é proposto con la questione sollevata, é quello di pervenire all'applicazione delle norme della continuazione tra il reato militare, che é delitto, e il reato non militare, che é invece una contravvenzione, palese appare la irrilevanza della detta questione.

4. - Il giudice istruttore del tribunale militare territoriale di Padova solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 264 del codice penale militare di pace in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione.

Detta norma sarebbe illegittima perché, prescrivendo in ogni caso che tra reati militari, ovviamente compiuti da militari, e reati comuni ad essi connessi, compiuti in correità con essi da non militari, debba seguire sempre un solo giudizio - salvo la separazione dei giudizi operabile dalla Corte di cassazione - avanti l'autorità giudiziaria ordinaria, violerebbe sia il principio di uguaglianza (art. 3, comma primo) e sia quello del giudice naturale (art. 25, comma primo).

Ciò perché tratterebbe in modo differenziato l'autore di un reato militare, secondo che l'abbia commesso da solo ovvero in concorso con estranei, e inoltre perché sottrarrebbe al giudice militare un giudizio che appartiene alla sua competenza naturale. La questione non é fondata.

Nonostante che l'ordinanza di rimessione affermi che la questione ora sollevata sia diversa da quella decisa con la sentenza n. 29 del 1958, ed in cui le norme di riferimento erano gli artt. 103 e 25 della Costituzione, deve in realtà affermarsi che trattasi di questione pressoché identica e, comunque, risolubile in base agli stessi principi allora enunciati.

Non può esser dubbio, infatti, che l'art. 103 della Costituzione, disponendo che i tribunali militari hanno, in tempo di pace, giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate, abbia inteso di escludere sia che essi possono giudicare di reati comuni, anche se commessi da militari, e sia che possono sottoporre a giudizio soggetti non militari.

In materia di connessione tra reati militari e comuni e tra reati commessi da militari e non militari in concorso fra loro, la norma costituzionale nulla dispone e il legislatore ha creduto di risolvere il problema articolando nell'art. 264 (nel testo risultante dalla legge 23 marzo 1956, n. 167) norme che hanno ammesso la connessione in casi più ristretti di quelli previsti dal codice di procedura penale nell'art. 45, deferendo i processi riuniti alla competenza del giudice ordinario ed ammettendo un giudizio della Cassazione sulla possibile separazione dei giudizi connessi.

Così operando il legislatore - che ha attuato, nella formulazione della norma, un coordinamento tra principi della Costituzione e principi generali del processo penale - ha fatto uso della sua discrezionalità in modo che appare del tutto razionale e perciò tale da non meritare censure.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

a) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 264 del codice penale militare di pace, sollevata dal tribunale militare territoriale di Padova, in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

b) non fondate le questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 264 del codice penale militare di pace, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione dal giudice istruttore presso il tribunale di Trani e dal giudice istruttore presso il tribunale militare territoriale di Padova.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1976.