Sentenza n. 131 del 1976
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SENTENZA N. 131

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 140, 142, secondo comma, e 143, primo e secondo comma, del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 (ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari), promosso con ordinanza emessa il 20 luglio 1973 dal tribunale dell'Aquila nel procedimento civile vertente tra Pezza Armando ed altri e il Ministero di grazia e giustizia, iscritta al n. 101 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 dell'8 maggio 1974.

Visti gli atti di costituzione del Ministro di grazia e giustizia e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 1976 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Ministro di grazia e giustizia e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con atto di citazione del 22 maggio 1972, Armando Pezza ed altri due aiutanti ufficiali giudiziari dell'ufficio unico di Teramo esponevano di avere eseguito nell'interesse dello Stato numerose notificazioni, per le cui spese ed indennità il recupero in molti casi non é consentito ovvero é ripartito nell'ambito dell'ufficio unico, anziché tra coloro che ebbero ad eseguirle; e chiamavano in giudizio, dinanzi al tribunale dell'Aquila, il Ministro di grazia e giustizia, per il pagamento delle relative somme, previa dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 140, 142 e 143 dell'Ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari, di cui al d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229.

Con ordinanza 20 luglio 1973 il tribunale ha ritenuto non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 140, 142, secondo comma (fino alla parola "procedimenti") e 143, primo comma (limitatamente all'inciso "i diritti spettanti all'ufficiale giudiziario sono prenotati a debito") e secondo comma, del citato d.P.R.

Dopo aver precisato che le norme denunziate, pur concernendo gli ufficiali giudiziari, si applicano, per l'art. 167, terzo comma, dell'Ordinamento, anche agli aiutanti, il tribunale, in via preliminare, afferma essere pacifico che sia gli uni sia gli altri non sono né impiegati dello Stato né lavoratori autonomi assimilabili ai liberi professionisti, ma organi dipendenti dalla pubblica amministrazione, investiti di poteri certificativi ed esecutivi.

Nel merito il tribunale osserva che la non ripetibilità dei diritti e delle indennità di trasferta, rappresentanti la retribuzione delle notificazioni a cui si riferiscono, renderebbe il compenso non proporzionato alla quantità del lavoro svolto. Trattandosi, poi, non di insufficienza della retribuzione, ma della sua non proporzionalità al lavoro effettivamente prestato, non si potrebbe tener conto dell'indennità integrativa della retribuzione, prevista dall'art. 169 dell'Ordinamento.

Per quanto concerne, infine, i diritti e le indennità recuperate (art. 140), il tribunale censura che il loro ammontare non sia ripartito tra coloro che hanno espletato la relativa attività.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si é costituito il Ministro di grazia e giustizia, rappresentati e difesi entrambi dall'Avvocatura generale dello Stato.

Deduce l'Avvocatura che il tribunale avrebbe omesso qualsiasi cenno sulla rilevanza, non essendosi preventivamente dato carico di pronunziarsi sulla sua giurisdizione, la cui carenza, peraltro, risulterebbe implicitamente dal riconoscimento che gli ufficiali giudiziari e gli aiutanti sono da considerare dipendenti dalla pubblica amministrazione.

Nel merito sostiene che il compenso degli aiutanti sarebbe da considerare con riferimento all'intero sistema retributivo, costituito, oltre che dai proventi, dalla corresponsione dell'indennità integrativa e da una serie di altri interventi economici (l'assegno integrativo speciale, l'aggiunta di famiglia, l'indennità di sede, i contributi per le pensioni).

Per quanto concerne le somme recuperate, l'Avvocatura osserva che se queste non vengono corrisposte al soggetto che ha notificato l'atto non sono neppure computate ai fini del minimo garantito. Ed aggiunge che il criterio di ripartizione seguito consegue al fatto che la liquidazione delle somme recuperate avviene a distanza di molti anni, quando non é agevole o addirittura non é possibile stabilire chi abbia eseguito la notificazione, dato che il personale può non essere più in servizio nell'ufficio.

Considerato in diritto

1. - Vengono sottoposte alla Corte le seguenti questioni:

a) se nelle ipotesi di non ripetibilità di diritti, spese ed indennità di trasferta per notificazioni in materia penale, civile e amministrativa, gli artt. 142, secondo comma, e 143, primo comma (limitatamente all'inciso "i diritti spettanti all'ufficiale giudiziario sono prenotati a debito") e secondo comma, del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, violino l'art. 36, primo comma, della Costituzione, per la non proporzionalità della retribuzione al lavoro prestato;

b) se contrasti con lo stesso precetto costituzionale l'art. 140 del citato d.P.R., il quale non prevede che l'importo, eventualmente recuperato, dei diritti e delle indennità sia ripartito tra coloro che abbiano svolto la relativa attività.

2. - Va preliminarmente esaminata la richiesta, avanzata dall'Avvocatura generale dello Stato, di restituzione degli atti al giudice a quo, che avrebbe omesso di pronunziarsi sulla propria giurisdizione.

Vero é, per altro, che nell'ordinanza di rimessione si é tenuto espressamente conto, disattendendola, della eccezione di carenza di giurisdizione: ed il problema esula dal sindacato di questa Corte (sentenze n. 65 del 1962, n. 1 del 1963, nn. 124 e 201 del 1975).

3. - É da avvertire che alcune modifiche sono state apportate all'Ordinamento di cui al d.P.R. n. 1229 del 1959, con successive norme legislative, tra le quali, da ultimo, le leggi 29 novembre 1971, n. 1048, 12 giugno 1973, n. 349, 15 novembre 1973, n. 734, e 12 luglio 1975, n. 322.

Tuttavia, le innovazioni non spostano i termini delle sollevate questioni.

4. - Le norme censurate concernono specificamente spese, indennità di trasferta e diritti per notificazioni in materia penale (art. 142), civile ed amministrativa (art. 143), a richiesta del pubblico ministero, di un'amministrazione dello Stato, di una parte ammessa al gratuito patrocinio, e la ripartizione delle somme, nel caso che siano recuperate (art. 140).

Si lamenta che questa disciplina sia costituzionalmente illegittima in riferimento al ridetto art. 36, primo comma, Cost. sotto il profilo della non proporzionalità della retribuzione al lavoro prestato.

Tali questioni, nei termini in cui sono proposte, non sono fondate.

5. - Per quanto attiene all'art. 142 dell'Ordinamento, é da precisare che, in materia penale, non restano senza rimborso di spese le comunicazioni che, a norma del codice di procedura penale, devono aver luogo a mezzo del servizio postale; e non restano senza compenso (diritti e indennità) gli atti richiesti dalle parti private non ammesse al gratuito patrocinio (art. 419 cod. proc. pen.) e gli atti relativi al rinvio concesso (a carico della parte) prima del dibattimento.

6. - Quanto agli atti in materia civile ed amministrativa (art. 143):

a) le indennità di trasferta oppure le spese di posta, se la notificazione avviene a mezzo del servizio postale, vengono anticipate dallo Stato, allorché richiedenti siano il pubblico ministero o un amministrazione dello Stato o una parte ammessa al gratuito patrocinio (o un'autorità estera); solo i diritti sono prenotati a debito;

b) i diritti e le indennità di trasferta non sono dovuti per atti compiuti nell'interesse dello Stato, ma sono ripetibili a carico dei privati che vengano condannati alle spese del giudizio.

La lettera e la logica della legge, dunque, distinguono gli atti richiesti da un organo dello Stato (o da un privato ammesso al beneficio della gratuita clientela o da un'autorità estera), per i quali é previsto il pagamento delle trasferte e il rimborso delle spese di posta (con l'eventuale recupero per i diritti), e gli atti compiuti nell'interesse dello Stato che vanno eseguiti gratuitamente (salvo l'eventuale recupero per i diritti e anche per le indennità di trasferta): si ha un differente trattamento, sul piano retributivo delle prestazioni, per le due categorie di atti.

7. - In sostanza, v'è, sì, un'alea per il realizzo di taluni diritti e spese, ma quest'alea - preventivamente accettata da chi si dedica all'attività di aiutante ufficiale giudiziario - é compensata, come ha rilevato l'Avvocatura, sia dall'indennità integrativa che é a carico dell'erario, allorché con i diritti effettivamente percepiti non sia raggiunto lo stipendio e l'assegno perequativo dell'impiegato statale della carriera esecutiva amministrativa avente qualifica di coadiutore (art. 169, primo comma, dell'Ordinamento, modificato dall'art. 4 della legge n. 1048 del 1971); sia da altre provvidenze (aggiunta di famiglia, contributo pensioni ecc.).

Sussistono, indubbiamente, nella vigente disciplina, delle anomalie, ma non sono di entità tale da ledere il precetto costituzionale di cui si assume in questa sede la violazione: anomalie che é auspicabile siano eliminate ad opera del legislatore.

8. - Ancor meno pertinente, in riferimento all'art. 36 Cost., é la censura all'art. 140 dell'Ordinamento, che, per comprensibili ragioni d'ordine pratico, istituisce per gli aiutanti ufficiali giudiziari (e per gli ufficiali giudiziari) una specie di pool delle somme relative a spese e a proventi recuperati, ammettendo al riparto chi é in attualità di servizio, con esclusione degli altri: il che comporta che taluni percepiscano, all'inizio del servizio in una sede, la percentuale per un'attività non espletata, mentre la perdono, al termine del servizio nella stessa sede, per un'attività espletata. Si tratta di un espediente pratico, a carattere forfettario, che risulta plausibile; e la norma che lo prevede non va contro il precetto costituzionale invocato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 140, 142, secondo comma, e 143, primo e secondo comma, del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 (Ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari), sollevate, in riferimento all'art. 36, primo comma, della Costituzione, dal tribunale dell'Aquila, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 26 maggio 1976.