Sentenza n. 57 del 1976
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SENTENZA N. 57

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 842, primo comma, del codice civile, e dell'art. 30 del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016 (testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia), modificato dall'art. 9 della legge 2 agosto 1967, n. 799, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 6 novembre 1974 dal pretore di Civitanova Marche nel procedimento civile vertente tra Caruso Alfonso e Casas Arnaldo, iscritta al n. 532 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 del 12 febbraio 1975;

2) ordinanza emessa il 25 gennaio 1975 dal pretore di Civitanova Marche nel procedimento penale a carico di D'Amen Dante, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 159 del 18 giugno 1975.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 gennaio 1976 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Zagari, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 6 novembre 1974 il pretore di Civitanova Marche, nel procedimento civile promosso da Caruso Alfonso contro Casas Aldo, avente ad oggetto il preteso diritto dell'attore ad introdursi nel fondo agricolo non recintato del convenuto per ritrarre fotografie della selvaggina ivi esistente, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 842, primo comma, del codice civile, in quanto riconosce il diritto di entrare nel fondo altrui soltanto a chi eserciti la caccia.

Secondo il pretore, l'esistenza del diritto sancito dal menzionato art. 842 a favore dei cacciatori, inquadrabile fra le limitazioni al diritto di proprietà consentite dall'art. 42 della Costituzione per fini sociali, postulerebbe eguale diritto a favore di chi persegua in quel settore fini artistici, scientifici e culturali in genere, che rispondono anch'essi a ben precisi interessi sociali, senza di che dovrebbe configurarsi una violazione della libertà dell'arte e della scienza, garantite dagli artt. 9 e 33 della Costituzione.

Inoltre la denunziata carenza contrasterebbe sia con l'art. 2 Cost. che garantisce i diritti fondamentali dei cittadini, sia con l'art. 3 Cost. perché indurrebbe una discriminazione a danno del cittadino non cacciatore, ma portatore dei menzionati interessi sociali costituzionalmente rilevanti.

L'ordinanza, comunicata e notificata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 del 12 febbraio 1975.

Avanti a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva che l'art. 42, secondo comma, della Costituzione garantisce la proprietà privata entro determinati limiti, in relazione alla funzione sociale assegnata alla proprietà stessa. La lamentata, mancata previsione dell'art. 842 codice civile non costituirebbe una lacuna in relazione alla funzione suddetta che, in base a quanto desumibile dagli artt. da 41 a 46 Cost., non comprenderebbe il perseguimento di fini culturali, artistici o scientifici, né quindi prevederebbe l'imposizione di vincoli intesi a garantire consimili finalità. Né sarebbero poi invocabili nella specie i principi costituzionali di cui agli artt. 9 e 33 Cost. che, in via di massima, dovrebbero avere la loro attuazione al di fuori del sacrificio dei diritti della sfera privata.

Non sussisterebbe, infine, la denunziata violazione del principio di eguaglianza, perché le situazioni raffrontate, dei cacciatori, da un lato, e dai portatori di interessi artistici, scientifici o culturali, dall'altro, non sarebbero omogenee e sarebbero, quindi, suscettibili di una diversa disciplina.

In ogni caso, poi, secondo l'Avvocatura, la norma impugnata perseguirebbe l'intento di garantire il libero esercizio della caccia, in quanto avente per oggetto animali ritenuti res nullius, il che spiegherebbe la genesi della facoltà censurata.

2. - Con successiva ordinanza emessa il 25 gennaio 1975 lo stesso pretore, nel procedimento penale a carico di D'Amen Dante, imputato di contravvenzione all'art. 30 del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, modificato dall'art. 9 della legge 2 agosto 1967, n. 799, per avere abusivamente collocato sul suo terreno non recintato tabelle recanti la scritta "divieto di caccia - colture in atto" ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 842 cod. civ., nonché delle citate norme che puniscono, appunto, l'apposizione abusiva delle tabelle di divieto di caccia, per preteso contrasto con gli artt. 42, secondo e terzo comma, e 3 della Costituzione.

Al riguardo, il pretore osserva che la caccia non potrebbe oggi considerarsi fenomeno riflettente una funzione sociale apprezzabile, avendo perso i caratteri originari che la giustificavano come strumento di procacciamento alimentare, di difesa contro gli animali nocivi e, latamente, educativo. La caccia anzi tenderebbe, attraverso la compromissione del patrimonio faunistico, ad incidere negativamente sulla conservazione dell'habitat umano e, pertanto, le limitazioni previste dalle norme impugnate al diritto di proprietà urterebbero contro il disposto dell'art. 42, secondo comma, Cost. che consente consimili restrizioni solo in dipendenza di una funzione sociale positiva.

Inoltre, la denunciata carenza di rilievo sociale comporterebbe il contrasto delle limitazioni in esame anche con il terzo comma dell'art. 42 Cost., perché si risolverebbero in servitù imposte al proprietario in ipotesi non giustificate da interesse generale.

Infine, il libero accesso ai fondi solo se non recintati e la correlativa esclusione dei fondi recintati, indipendentemente dall'uso dei terreni e dalla eventuale incompatibilità di detto uso con l'esercizio della caccia, realizzerebbero un trattamento diverso di cittadini che si trovano in situazioni non sostanzialmente diversificate, ed in violazione, quindi, del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

L'ordinanza é stata ritualmente comunicata e notificata ed é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 159 del 18 giugno 1975.

Anche in questa causa é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva che, contrariamente all'assunto del pretore, l'esercizio del diritto di caccia sarebbe un diritto di libertà individuale, qualificabile giuridicamente come diritto pubblico soggettivo, in funzione del quale spetterebbero al cacciatore le facoltà previste dalla legge come coessenziali alla attuazione del diritto stesso, fra cui appunto l'introduzione nel fondo altrui, con le opportune salvaguardie e cautele circa il modo in cui l'esercizio stesso viene effettuato, onde limitare al massimo gli eventuali danni conseguenziali. Né potrebbe contestarsi la funzione sociale della caccia, giacché le pur innegabili trasformazioni degli scopi o dei caratteri del fenomeno venatorio, ricollegabili alle modificazioni della vita economico sociale, non escluderebbero la rilevanza in tal senso del fenomeno stesso. Né le pur apprezzabili preoccupazioni di carattere ecologico prospettate dal pretore avrebbero rilievo in questa sede, ma andrebbero riferite alla valutazione delle disposizioni legislative e amministrative che disciplinano in concreto l'esercizio della caccia.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze di rimessione, sopra menzionate, dello stesso pretore di Civitanova Marche, riguardano questioni in parte comuni, e, pertanto, é opportuno procedere alla riunione dei relativi giudizi, onde pervenire a contestuale decisione.

2. - Va esaminata, anzitutto, la questione sollevata nell'ordinanza del 25 gennaio 1975, sotto il profilo della violazione dell'art. 42 Cost., poiché dalle considerazioni che ora verranno svolte, discende anche la decisione di altra questione sollevata con l'ordinanza precedente.

Seguendo quest'ordine di esame, si rileva che il giudice a quo, dopo aver negato il valore sociale della caccia, afferma che l'imposizione, al proprietario di fondi, dell'obbligo sancito dall'art. 842 cod. civ. di consentire l'ingresso a terzi a scopo venatorio, costituirebbe violazione dell'art. 42 Cost. perché si risolverebbe in una limitazione della proprietà privata, imposta in difetto dei fini, previsti, invece, al riguardo, dalla norma costituzionale predetta.

Deve osservarsi che il fenomeno della caccia, pur se indubbiamente presenta oggi caratteri socialmente diversi da quelli originali, non per questo può essere considerato privo di positivo rilievo sì da essere ritenuto non idoneo a giustificare eventuali limitazioni della proprietà che il legislatore ritenga di imporre per renderne possibile l'esercizio, a norma dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione.

Se può ammettersi, invero, che non sono più attuali le finalità e gli scopi primordiali di ordine essenzialmente economico e di difesa che caratterizzarono l'attività venatoria nelle sue origini, come esercizio di un diritto naturale, deve altresì darsi atto che, successivamente, ne é stata sempre riconosciuta la rilevanza sociale, pur se progressivamente restringendone e condizionandone l'ambito in vista della necessaria coordinazione con altre esigenze ed altri diritti. Si é così giunti alla precisazione della sua natura di diritto di libertà individuale, opportunamente disciplinato, come é reso palese dall'analitica regolamentazione posta in essere a cominciare dalla legge 24 giugno 1923 n. 1420 fino al testo unico n. 1016 del 1939, modificato dalla legge n. 799 del 1967, con cui si é progressivamente pubblicizzato il settore, inserendo definitivamente la caccia fra le libere manifestazioni sportivo-agonistiche ad interesse nazionale (sentenze nn. 69 del 1962, 59 del 1965, 93 del 1973) salvi il rispetto dell'incolumità delle persone, la doverosa protezione della fauna e dell'ambiente nonché la tutela dei prodotti e delle coltivazioni agricole. E mentre é noto che lo sport é un'attività umana cui si riconosce un interesse pubblico tale da richiederne la protezione e l'incoraggiamento da parte dello Stato, deve ricordarsi che l'ingresso nei fondi altrui regolato dall'art. 842 cod. civ. é elemento essenziale per l'esercizio del diritto di caccia, costituendone un necessario presupposto, giacché é evidente che non sarebbe possibile cacciare senza la facoltà di spostarsi alla ricerca della selvaggina. Trattasi, d'altra parte, di una facoltà limitata ai fondi non recintati, esercitabile cioè solo nei confronti di quei proprietari i quali non abbiano ritenuto di avvalersi dello jus prohibendi, connaturale al diritto di proprietà, e manifestato, qualora si tratti di terreni "in attualità di coltivazione", mediante l'apposizione di particolari tabelle di divieto (art. 30 r.d. n. 1016 del 1939 modificato dall'art. 9 legge n. 799 del 1967): il che costituisce espressione di un ragionevole contemperamento fra la tutela del diritto dominicale di cui viene lasciata la piena disponibilità al titolare, a condizione che manifesti la sua volontà in un determinato modo, e la garanzia del diritto di libertà di cacciare.

Tutto ciò premesso, é lecito ravvisare la presenza di giustificati motivi di ordine sociale alla limitazione a carico del proprietario prevista dall'art. 842 cod. civ., il che esclude il lamentato contrasto con l'art. 42 Cost. sotto il profilo delineato nell'ordinanza di rinvio del 25 gennaio 1975.

3. - Vanno ora esaminate le censure sollevate dal giudice a quo nell'ordinanza del 6 novembre 1974 con riferimento agli artt. 2; 3, 9, 33 e 42 Cost., nel presupposto che la implicita esclusione della facoltà di introdursi nei fondi altrui da parte di chi intenda svolgervi attività artistico - culturali (fotografie di animali vaganti) costituisca violazione dei diritti dell'uomo, della parità di trattamento, del promovimento della ricerca scientifica, della libertà dell'arte e della scienza, nonché del contenuto del diritto di proprietà.

Sotto tali profili, deve anzitutto osservarsi che le libertà invocate, come tutti i diritti di libertà, nascono limitate, essendo il concetto di limite insito nel concetto dì diritto, come questa Corte ha affermato fin dalla sent. n. 1 del 1956, il che, appunto, sta a significare la possibilità della determinazione della sfera di azione dei vari soggetti entro condizioni tali che ne risultino garantiti i diritti altrui egualmente meritevoli di protezione costituzionale.

Richiamando a questo punto la già illustrata essenzialità della facoltà di spostamento ai fini dell'esercizio effettivo del diritto di caccia e la riconosciuta utilità sociale che all'esercizio stesso é connaturata, é evidente che, mentre la facoltà suddetta si palesa razionalmente insopprimibile, l'eventuale facoltà di ingresso in un fondo altrui per esercitarvi, invece, le attività artistico - culturali in esame, non investe un parallelo carattere di essenzialità, restando pur sempre le libertà invocate suscettibili di attuazione con diverse modalità, data la loro complessa e multiforme sostanza di ricerca ed elaborazione scientifica, mista all'esercizio di attività tendenti al raggiungimento di fini di carattere prevalentemente estetico. L'esclusione lamentata trova indubbio fondamento nel rispetto del diritto di proprietà, quale costituzionalmente garantito.

Anche il riferimento alla pretesa violazione del principio di uguaglianza non é fondato. Come é noto, il rispetto dell'art. 3 Cost. richiede che vengano attribuiti trattamento eguali a situazioni omogenee mentre le situazioni raffrontate nella specie non presentano tale requisito se, come sopra si é detto, diversa, ai fini del diritto alla tutela della proprietà e in relazione alla disciplina in esame, é la situazione del cacciatore e quella del portatore di altri interessi.

Parimenti non fondato é il richiamo all'art. 33 della Costituzione. Questo articolo va inteso ed interpretato nella sua autentica portata, che é quella di consentire all'arte ed alla scienza di esteriorizzarsi, senza subire orientamenti ed indirizzi univocamente e autoritativamente imposti. Sotto tale esclusivo profilo, questa esteriorizzazione non può considerarsi tutelata fino al punto di pregiudicare altri interessi costituzionalmente garantiti.

Infine, per quanto riguarda la censura sollevata sotto il profilo della presunta violazione dell'art. 2 Cost., deve rilevarsi che tale norma, nel garantire i diritti dell'uomo in genere, necessariamente si riporta alle norme successive in cui tali diritti sono particolarmente presi in considerazione: per cui, una volta esclusa la violazione di tali specifiche garanzie, il generico richiamo all'art. 2 Cost., formulato dal giudice a quo senza ulteriori riferimenti ad altri diritti fondamentali eventualmente lesi oltre quelli specificamente posti in evidenza nella ordinanza di rinvio, rimane senza rilievo ai fini del presente giudizio di legittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 842, primo comma, del codice civile, dell'art. 30 del r.d. 5 giugno 1939, n. 1016 (testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia), e dell'art. 9 della legge 2 agosto 1967, n. 799 (modificativa del predetto testo unico), sollevate, con le ordinanze in epigrafe, dal pretore di Civitanova Marche in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 33 e 42 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 25 marzo 1976.