Sentenza n. 222 del 1975
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SENTENZA N. 222

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 506 del codice penale, in relazione all'art. 505 dello stesso codice, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 febbraio 1973 dal pretore di Paternò nel procedimento penale a carico di Asero Angelo, Ranno Salvatore ed altri, iscritta al n. 178 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 176 dell'11 luglio 1973;

2) ordinanza emessa il 5 giugno 1974 dal pretore di Pontedera nel procedimento penale a carico di Ferretti Stefano ed altri, iscritta al n. 374 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 289 del 6 novembre 1974.

Visto l'atto di costituzione di Ranno Salvatore ed altri;

udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 1975 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa il 19 febbraio 1973 nel corso del procedimento penale a carico di Asero Angelo ed altri, rinviati a giudizio per rispondere del reato previsto e punito dagli art. 506 e 505 cod. pen. per avere sospeso collettivamente il lavoro di panificatori per protesta contro l'esistenza di panificatori abusivi, il pretore di Paternò, in accoglimento dell'eccezione sollevata dalla difesa degli imputati, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale delle indicate norme in riferimento agli artt. 35 e 41 della Costituzione.

Si osserva nell'ordinanza che nei termini indicati la questione non risulta esaminata dalla Corte la quale in precedenti occasioni ha avuto modo di escludere l'incostituzionalità dell'art. 506 cod. pen., in riferimento agli artt. 40 e 41 Cost., per l'ipotesi di serrata collettiva effettuata da piccoli esercenti per fini di coazione all'autorità (sent. n. 47/1958); e successivamente, esaminando l'ipotesi di serrata per protesta di cui all'art. 505 cod. pen., escluse l'illegittimità costituzionale di detta disposizione sul rilievo che l'art. 41 Cost. non risultava invocato, mentre il richiamo all'art. 35 non poteva ritenersi pertinente giacché questo precetto riguarda il lavoratore e non già il datore di lavoro nella cui categoria rientrano i piccoli esercenti (sent. n. 141/1967).

Nel presente caso le norme impugnate vengono censurate in relazione ai precetti costituzionali che tutelano sia l'iniziativa economica privata che il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e ciò in quanto i piccoli esercenti di cui trattasi, non avendo lavoratori alle proprie dipendenze, operano come lavoratori autonomi.

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 506 cod. pen. in relazione all'art. 505 stesso codice per contrasto con gli artt. 35, primo comma e 41 Cost. é stata inoltre sollevata con ordinanza 5 giugno 1974 emessa dal pretore di Pontedera nel procedimento penale a carico di Ferretti Stefano ed altri, imputati del reato previsto e punito dall'art. 506 cod. pen. per avere, nella qualità di titolari di esercizi di macellerie, senza lavoratori alle loro dipendenze, effettuato una sospensione collettiva della vendita al pubblico, per protesta contro un decreto prefettizio che aveva disposto il calmiere delle carni macellate.

Nella citata ordinanza il pretore ritiene altresì non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità dell'articolo 506 cod. pen. formulata dalla difesa degli imputati in riferimento agli artt. 3 e 40 Cost. osservando che la serrata dei piccoli esercenti - i quali, non avendo lavoratori alle loro dipendenze, devono essere considerati come lavoratori autonomi - equivale ad una forma di esercizio del diritto di sciopero. In mancanza di una disciplina normativa dei limiti soggettivi ed oggettivi di tale diritto, può ritenersi che la legittimazione allo sciopero competa a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

L'art. 506 cod. pen. sarebbe infine in contrasto con i principi generali dell'ordinamento repubblicano, costituendo tale norma diretta espressione del preesistente sistema corporativo.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituiti i signori Ranno Salvatore, Panebianco Antonio e Cavallaro Alfio, rappresentati e difesi dall'avv. Antonio La Russa con deposito di deduzioni in cancelleria in data 27 aprile 1973.

Sostiene la difesa che la sospensione del lavoro per protesta determinata da interessi economici dei piccoli esercenti, che non hanno lavoratori alle loro dipendenze, deve ritenersi legittima. L'art. 35 Cost. che tutela il lavoro "in tutte le sue forme ed applicazioni" deve considerarsi applicabile all'esercente che, non avendo dipendenti, si presenta come esercente-lavoratore". La distinzione che scaturisce dal citato precetto costituzionale si pone tra lavoratore e datore di lavoro sicché la protezione accordata da tale norma spetta all'esercente-lavoratore che non abbia altri alle sue dipendenze e va, invece, negata all'esercente-datore di lavoro.

Afferma inoltre la difesa che all'esercente-lavoratore va anche riconosciuta la tutela dell'art. 41 Cost. in quanto questo articolo riguarda l'imprenditore privato sia che abbia, sia che non abbia lavoratori alle sue dipendenze.

Conclude, pertanto, la difesa chiedendo che la Corte dichiari l'incostituzionalità dell'art. 506 cod. pen. nella parte in cui punisce la sospensione del lavoro di esercenti di aziende, non aventi lavoratori alle loro dipendenze, effettuata per protesta diretta a un fine economico connesso con l'attività aziendale.

Considerato in diritto

1. - I due giudizi, opportunamente riuniti, vengono decisi con unica sentenza poiché identica é la questione di legittimità che propongono alla Corte: l'incostituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, 40 e 41 della Costituzione, dell'art. 506 in relazione all'art. 505 del codice penale nella parte in cui punisce la sospensione collettiva del lavoro effettuata per protesta da esercenti di piccole industrie o commerci non aventi lavoratori alle proprie dipendenze.

L'eccezione risulta sollevata nel corso di due procedimenti penali promossi dai pretori di Paternò e di Pontedera rispettivamente contro alcuni panificatori e contro un gruppo di macellai i quali avevano chiuso i propri esercizi commerciali, direttamente e personalmente gestiti, per protestare, i primi, contro la presenza di panificatori abusivi, ed i secondi avverso il calmiere delle carni macellate. É quindi evidente, alla stregua delle citate vicende processuali, che l'ambito del presente giudizio resta individuato e delimitato in ben precisi termini: decidere se sia o non costituzionalmente illegittima la cosiddetta serrata dei piccoli esercenti industriali o commerciali attuata per motivi di protesta relativi a interessi incidenti sul contenuto economico della loro attività.

2. - Per risolvere la proposta questione occorre prendere posizione sul dibattuto tema della qualificazione dell'astensione dal lavoro dei soggetti di cui trattasi e stabilire se con essa si realizzi una forma di serrata, sia pure particolare, giusta la definizione che ne dà il codice vigente, o non piuttosto una forma di sciopero propria di una particolare categoria di lavoratori.

Il punto fermo di distinzione tra queste due forme di autotutela, desumibile dalle fonti del diritto positivo, le quali, pur non dandone una definizione ne precisano tuttavia il contenuto, é che ad integrare la nozione tipica di serrata é sufficiente il comportamento anche di un singolo soggetto, purché sia datore di lavoro e dalla sua condotta consegua la sospensione del lavoro subordinato nell'ambito dell'azienda; perché si abbia sciopero, invece, é necessaria una sospensione del lavoro da parte di una pluralità di lavoratori che agiscano d'accordo per il perseguimento di un comune interesse.

Da questa distinzione, che trova riscontro nella realtà socio economica, deriva che non può considerarsi serrata l'astensione dal lavoro di un soggetto che personalmente gestisce un'azienda, in quanto non avendo persone alle proprie dipendenze e non essendo perciò datore di lavoro nei termini propri di questa espressione, non può col suo contegno dar luogo a quella sospensione del rapporto di lavoro subordinato che si é detto essere elemento indispensabile per la configurazione di questa forma di autotutela.

L'esattezza di questa opinione é del resto confermata dalla stessa struttura giuridica dell'incriminazione prevista dall'articolo 506 del codice penale la quale - a differenza di quanto stabilito per la vera serrata posta in essere dal datore di lavoro che abbia dipendenti ed in perfetta somiglianza, invece, con lo sciopero per fini contrattuali compiuto dai lavoratori dipendenti (art. 502 cod. pen.) - esige per la punibilità dei piccoli esercenti che essi sospendano collettivamente - almeno in numero di tre - il lavoro.

Impropriamente quindi la norma in esame definisce serrata la sospensione del lavoro dei piccoli esercenti che personalmente gestiscono un'azienda industriale o commerciale nel campo di una professione, di un'arte o un mestiere. La realtà dimostra che ci si trova pur sempre di fronte ad una categoria di lavoratori, definibili autonomi in quanto svincolati da ogni rapporto di dipendenza, la cui forma di autotutela, strutturata dallo stesso codice sul modello di quella dei lavoratori dipendenti, non può non essere compresa in quel più ampio concetto di sciopero che ha trovato modo di esprimersi nell'attuale mondo del lavoro.

3. - Sulla base delle considerazioni che precedono ed in conformità a quanto già statuito in tema di sciopero per finalità economiche, deve ritenersi lecita la sospensione del lavoro attuata dai piccoli esercenti per protesta contro fatti o provvedimenti incidenti sul contenuto economico della loro attività aziendale, poiché questa, nel caso qui in discussione di esercenti senza lavoratori subordinati, si identifica e coincide interamente con l'attività soggettiva e personale di questa speciale categoria di lavoratori autonomi i cui interessi trovano ampia protezione nelle norme racchiuse nel titolo terzo, parte prima, della Costituzione.

L'art. 506 del codice penale, che in relazione all'art. 505 dello stesso codice reprime questa legittima forma di autotutela, va quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con l'art. 40 della Costituzione che riconosce il diritto di sciopero. Pronuncia questa che dispensa la Corte dall'esame degli altri dedotti motivi d'incostituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 506, in relazione all'art. 505, del codice penale, nella parte in cui punisce la sospensione del lavoro effettuata per protesta dagli esercenti di piccole aziende industriali o commerciali che non hanno lavoratori alla loro dipendenza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1975.