Sentenza n. 189 del 1975
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SENTENZA N. 189

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 18, secondo comma, e 35, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 febbraio 1973 dal pretore di Milano nel procedimento di lavoro vertente tra Pria Vittorio e Guidobono Cavalchini Giampaolo, iscritta al n. 143 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 151 del 13 giugno 1973;

2) ordinanza emessa il 3 aprile 1973 dal tribunale di Trani nel procedimento vertente tra l'UISA-UIL Camera sindacale di Corato ed il Consorzio guardie campestri di Corato, iscritta al n. 271 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 205 dell'8 agosto 1973;

3) ordinanza emessa l'8 gennaio 1974 dal pretore di La Spezia nel procedimento civile vertente tra Romani Umberto ed altro e Fornile Luciano, con l'intervento di Trionfi Franco, segretario della FIOM-CGIL, iscritta al n. 70 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 82 del 27 marzo 1974;

4) ordinanza emessa il 14 gennaio 1974 dal pretore di Bergamo nel procedimento di lavoro vertente tra Crotti Bambina e l'Unione degli industriali della provincia di Bergamo, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 133 del 22 maggio 1974;

5) ordinanza emessa il 3 aprile 1974 dal pretore di Manfredonia nel procedimento di lavoro vertente tra Castriotta Ruggiero ed il Centro di riabilitazione spastici di Manfredonia, iscritta al n. 237 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 10 luglio 1974;

6) ordinanza emessa il 30 maggio 1974 dal pretore di Latina nel procedimento di lavoro vertente tra Gatto Annamaria e la Federazione provinciale dei coltivatori diretti di Latina, iscritta al n. 488 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7 dell'8 gennaio 1975.

Visti gli atti di costituzione di Trionfi Franco, di Castriotta Ruggiero e della Federazione provinciale dei coltivatori diretti di Latina, nonché d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 1975 il Giudice relatore Guido Astuti;

uditi l'avv. Luciano Ventura, per Trionfi Franco, l'avvocato Francesco Borgia, per Castriotta Ruggiero, gli avvocati Carlo Fornario e Ubaldo Prosperetti per la Federazione coltivatori diretti di Latina, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Altisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento di lavoro promosso, a seguito di licenziamento, da Pria Vittorio contro Guidobono Cavalchini Giampaolo, libero professionista, datore di lavoro del primo, il pretore di Milano ha sollevato, di ufficio, questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo la norma impugnata, nel limitare la applicabilità dell'art. 18 della legge - relativo alla reintegrazione nel posto di lavoro - ai soli datori di lavoro imprenditori, con esclusione dei datori di lavoro non imprenditori, introdurrebbe, in violazione degli artt. 3 e 35 Cost., una differente tutela in relazione alla scriminante costituita dalla situazione del datore di lavoro (imprenditore o non). Né potrebbe obiettarsi che i soli casi socialmente rilevanti di datori di lavoro non imprenditori siano costituiti dalle c.d. organizzazioni di tendenza, come partiti e sindacati, per i quali la reintegra del lavoratore licenziato in modo arbitrario costituirebbe un onere esorbitante, attesa la maggiore ampiezza della fascia di situazioni costituita dal fenomeno del datore di lavoro non imprenditore.

Identica questione di legittimità costituzionale é stata sollevata dal pretore di Manfredonia nel procedimento di lavoro vertente tra Castriotta Ruggiero ed il Centro di riabilitazione spastici di Manfredonia, e dal pretore di Bergamo nel procedimento di lavoro vertente tra Crotti Bambina e l'Unione degli industriali della provincia di Bergamo.

Il pretore di Latina, a sua volta, nel procedimento di lavoro vertente tra Gatto Annamaria e la Federazione provinciale dei coltivatori diretti di Latina, premesso che ai sensi dell'art. 35 dello Statuto l'art. 18 del medesimo troverebbe applicazione per i dipendenti da datori di lavoro non imprenditori solo ove i primi siano almeno 35, mentre per i dipendenti da datori di lavoro imprenditori industriali o commerciali sarebbe sufficiente il numero di 16, ha ritenuto la discriminazione operata dall'art. 35 dello Statuto in contrasto con gli artt. 3, 4, 35 e 41, cpv., della Costituzione.

Analoga questione di legittimità costituzionale é stata, ancora, sollevata dal tribunale di Trani nel procedimento vertente tra l'UISA - UIL - Camera sindacale di Corato ed il Consorzio guardie campestri di Corato. Si é rilevato in tale giudizio che l'art. 35 dello Statuto dei lavoratori, escludendo la applicazione dell'art. 18 e dell'intero titolo III nei rispetti dei datori di lavoro non imprenditori, introdurrebbe, in violazione dell'art. 3 Cost., una disparità di trattamento in danno dei dipendenti di questi ultimi, tanto più ingiustificata considerando la piena applicabilità dello Statuto agli enti pubblici, anche se non imprenditori.

Infine, il pretore di La Spezia, nel procedimento civile vertente tra Romani Umberto, Rapallini Franco e Fornile Luciano, con l'intervento di Trionfi Franco, segretario della FIOM-CGIL, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo, la norma impugnata non avrebbe comportato la abrogazione tacita dell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, essendo diverso l'ambito di applicazione delle due norme. La prima, infatti, troverebbe applicazione nei casi di licenziamento di prestatore di lavoro che svolga la propria attività in una unità produttiva con più di quindici dipendenti, mentre la seconda riguarderebbe i casi di licenziamento del prestatore di lavoro che svolga la sua attività in una unità produttiva con meno di quindici dipendenti, ma che appartenga ad una impresa la quale abbia, nel territorio nazionale, più di trentacinque dipendenti. La diversità del trattamento previsto nelle due norme, di cui l'una riconosce al prestatore di lavoro congiuntamente e l'altra alternativamente la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno, sarebbe ingiustificata e, perciò, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Il Presidente del Consiglio dei ministri é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, nei giudizi promossi dal pretore di Milano, dal pretore di La Spezia, dal pretore di Bergamo, dal pretore di Manfredonia e dal pretore di Latina, deducendo l'infondatezza delle questioni proposte.

Si sono costituiti in giudizio, innanzi alla Corte costituzionale, Trionfi Franco, quale segretario provinciale della FIOM-CGIL, Castriotta Ruggiero, e la Federazione provinciale dei coltivatori diretti di Latina.

Trionfi Franco, costituitosi nel giudizio promosso dal pretore di La Spezia, ha dedotto la infondatezza della questione proposta, rilevando che l'art. 18 dello Statuto, denunciato nell'ordinanza di rinvio, non introdurrebbe alcuna differenziazione tra posizioni diverse, essendo la indicata differenziazione da ricondurre all'art. 35 dello Statuto ed all'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

Castriotta Ruggiero, costituitosi nel giudizio promosso dal pretore di Manfredonia, ha affermato la fondatezza della questione sollevata nel giudizio a quo rilevando che l'art. 35 dello Statuto dei lavoratori introdurrebbe una discriminazione tra dipendenti di datori di lavoro imprenditori e di datori di lavoro non imprenditori del tutto ingiustificata e, di conseguenza, in violazione degli artt. 3 e 35 della Costituzione.

La Federazione provinciale coltivatori diretti di Latina, costituitasi nel giudizio promosso dal pretore di Latina, ha escluso la fondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale, rilevando che le diversità di disciplina costituirebbero legittima espressione della discrezionalità affidata al legislatore.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze dei pretori di Milano, Bergamo, Manfredonia e Latina, emanate in giudizi promossi da dipendenti licenziati contro datori di lavoro non imprenditori, sollevano la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), nella parte in cui limita l'applicabilità dell'art. 18 della stessa legge alle sole imprese industriali, commerciali ed agricole. La disposizione, attuando per i lavoratori una tutela differenziata in ordine alla possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro, in rapporto alla condizione professionale dei datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, confliggerebbe con il principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione, e con il disposto dell'art. 35, secondo cui la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni; nonché, a giudizio del pretore di Latina, con gli artt. 4 e 41, secondo comma, della Costituzione, in quanto la denunciata discriminazione tra i lavoratori lederebbe il diritto al lavoro e renderebbe possibile un esercizio dell'attività economica privata in contrasto con la pari dignità umana dei lavoratori.

L'ordinanza del pretore di La Spezia, in giudizi riuniti promossi da lavoratori licenziati contro un imprenditore industriale, solleva d'ufficio, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, in relazione all'art. 35 della stessa legge, per la disparità di trattamento derivante da tale disposizione nella parte in cui, a differenza dell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, riconosce ai lavoratori arbitrariamente licenziati il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno, escludendo dalla possibilità di ottenere congiuntamente entrambe le riparazioni i lavoratori addetti ad unità produttive con meno di quindici dipendenti, anche se appartenenti ad imprese aventi nel territorio nazionale più di trentacinque dipendenti.

L'ordinanza del tribunale di Trani, emanata nel giudizio promosso da una organizzazione sindacale, per la repressione à sensi dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, della condotta antisindacale d'un datore di lavoro non imprenditore (Consorzio guardie campestri di Corato, associazione privata senza fini di lucro), solleva, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, primo e secondo comma, della stessa legge, nella parte in cui esclude l'applicabilità delle disposizioni del titolo III, relative alla attività sindacale, nei confronti dei datori di lavoro privati non imprenditori, ciò che integrerebbe una discriminazione ingiustificata tra i datori di lavoro e tra i lavoratori, con violazione del principio di eguaglianza, nonché della libertà di organizzazione sindacale solennemente garantita dall'art. 39 della Costituzione a tutto il mondo del lavoro.

2. - Le sei ordinanze sopra elencate concernono questioni identiche o strettamente connesse: si ravvisa pertanto opportuna la riunione dei giudizi per dar luogo a decisione con unica sentenza.

3. - Le questioni non sono fondate. Giova ricordare anzitutto che la legittimità costituzionale dell'art. 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300, é già stata considerata da questa Corte sotto diversi profili. Le disposizioni del primo e secondo comma, che definiscono il campo di applicazione della disciplina prevista dall'art. 18 della stessa legge per la reintegrazione nel posto di lavoro, con riguardo al numero dei lavoratori dipendenti dalle imprese industriali, commerciali ed agricole addetti alle loro singole unità produttive, o al complesso delle unità esistenti nell'ambito di uno stesso comune, sono state riconosciute legittime con la sentenza n. 55 del 1974, la quale ha escluso che l'adozione d'un criterio numerico, in correlazione con le caratteristiche economiche, organizzative e strutturali delle diverse categorie di imprese, abbia determinato una irrazionale ed ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori, quanto alla garanzia di conservazione del posto di lavoro.

Con la sentenza n. 152 del 1975, é stato ulteriormente confermato che le ricordate disposizioni dell'art. 35 dello Statuto dei lavoratori non contrastano con i principi sanciti dagli artt. 3, 4 e 35, primo comma, della Costituzione, sia per quanto concerne il diverso regime ivi previsto per i dipendenti di imprese industriali o commerciali, secondo che essi risultino addetti a sedi, stabilimenti, uffici o reparti autonomi, che occupino, singolarmente o nell'ambito territoriale di uno stesso comune, più o meno di quindici dipendenti, sia per quanto concerne il diverso trattamento dei lavoratori delle imprese agricole rispetto a quelli delle imprese industriali o commerciali, quanto al limite numerico fissato per le prime in cinque anziché in quindici dipendenti.

Entrambe le decisioni hanno riconosciuto che i diversi criteri e limiti numerici, discrezionalmente adottati dal legislatore, in rapporto alla struttura delle imprese industriali o commerciali costituite da una pluralità di unità produttive, ed alle speciali condizioni delle imprese agricole, trovano ragionevole giustificazione nella diversità delle situazioni concrete che caratterizzano tali categorie e tipi di imprese nella realtà economica e sociale del nostro paese.

In particolare, quanto alla tutela non uniforme dei lavoratori nel caso di licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, quale risulta dalle disposizioni degli artt. 18 e 35 della legge n. 300 del 1970, e rispettivamente degli artt. 8 e 11 della legge n. 604 del 1966, ovvero dell'articolo 2118 del codice civile (la cui permanente legittimità ed applicabilità, entro i limiti risultanti dal coordinamento interpretativo, é stata ritenuta con le sentenze n. 81 del 1969 e n. 55 del 1974), questa Corte ha ribadito che tale disciplina differenziata "trova il suo fondamento, oltre che nel criterio della fiduciarietà del rapporto di lavoro e nella opportunità di non gravare di oneri eccessivi le imprese di modeste dimensioni, anche e soprattutto nell'esigenza di salvaguardare la funzionalità delle unità produttive (intese quali articolazioni di una più complessa organizzazione imprenditoriale, fornite di autonomia così dal punto di vista economico-strutturale come da quello funzionale o del risultato produttivo), ed in specie di quelle con un minor numero di dipendenti, nelle quali la reintegrazione nel medesimo ambiente del dipendente licenziato potrebbe determinare il verificarsi di situazioni di tensione nelle quotidiane relazioni umane e di lavoro" (sentenza n. 152 del 1975).

4. - Queste considerazioni consentono di dichiarare la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970, sollevata dal pretore di La Spezia (con ordinanza anteriore alle sentenze dianzi ricordate, e non contenente argomenti che possano indurre questa Corte a modificare la propria giurisprudenza); ed aprono altresì la via per la soluzione delle altre due questioni, concernenti l'applicabilità delle disposizioni dell'art. 18 e dell'intero titolo III dello Statuto dei lavoratori (ad eccezione del primo comma dell'art. 27), oltre che alle imprese industriali, commerciali ed agricole, anche ai datori di lavoro non imprenditori.

Per quanto attiene all'ambito di applicazione dell'art. 18, occorre preliminarmente considerare la tesi interpretativa - accolta da una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina, e proposta anche in questa sede - circa la "incerta correlazione" tra le formule usate nell'art. 18, che si riferisce genericamente ai datori di lavoro, e nell'art. 35, che si riferisce invece alle imprese industriali, commerciali e agricole: talché le disposizioni dell'art. 18 dovrebbero ritenersi applicabili anche nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori. A parte la differenza tra le due formule, il cui univoco significato letterale non dovrebbe consentire dubbi esegetici, la collocazione dell'art. 35 tra le "Disposizioni finali", con la rubrica "Campo di applicazione", e il preciso contenuto dei primi due commi, espressamente diretti a delimitare l'applicabilità dell'art. 18, così come del titolo III della legge, conducono ad escludere che la speciale disciplina introdotta con l'art. 18 possa estendersi, in via di interpretazione, anche ai datori di lavoro non imprenditori ed ai loro dipendenti. Non giova al riguardo rilevare che l'art. 18 considera il datore di lavoro in generale, senza alcun riferimento alle imprese: anche l'art. 8 della precedente legge n. 604 del 1966 si riferisce al datore di lavoro in generale, mentre il successivo art. 11 precisa che le disposizioni della legge stessa non si applicano ai datori di lavoro che occupano fino a trentacinque dipendenti; e non occorre sottolineare il parallelismo tra le norme degli artt. 8 e 11 della legge del 1966, e, rispettivamente, degli artt. 18 e 35 della legge del 1970.

Ma la possibilità di attribuire all'art. 18 una efficacia generale é esclusa in modo decisivo da un argomento esegetico: poiché a norma dell'art. 35 le disposizioni dell'art. 18 sono certamente inapplicabili ai dipendenti delle imprese, ove non ricorrano i requisiti ivi puntualmente stabiliti nel primo e nel secondo comma, si avrebbe, nella denegata ipotesi, l'assurdo di un trattamento molto più favorevole per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro non imprenditori, ai quali sarebbe sempre garantita la reintegrazione nel posto di lavoro congiuntamente al risarcimento del danno, indipendentemente dai criteri e limiti numerici che in base all'art. 35 vi fanno ostacolo per i lavoratori delle imprese industriali, commerciali ed agricole; e un tale regime comporterebbe al tempo stesso un più grave onere proprio e soltanto per i non imprenditori, del tutto ingiusto ed ingiustificabile. É invece evidente che il legislatore, con le disposizioni dell'art. 35, ha voluto attuare, proprio per i lavoratori delle imprese, un regime più favorevole di quello già stabilito con gli artt. 8 e 11 della legge n. 604 del 1966, con riguardo non più unicamente alla dimensione globale dell'impresa (che occupi più di trentacinque dipendenti), ma altresì alla struttura organizzativa di essa nelle singole unità produttive e nell'ambito territoriale, richiedendo peraltro che l'impresa occupi più di quindici, o cinque, dipendenti nella stessa unità produttiva, o almeno nello stesso comune.

5. - Così precisato il rapporto tra le disposizioni dell'art. 18 e dell'art. 35, quale risulta del resto dalla interpretazione ammessa o presupposta da tutte le ordinanze di rinvio, sembra ovvio osservare che le medesime considerazioni per cui questa Corte ha riconosciuto la legittimità del trattamento differenziato risultante dall'art. 35 per i lavoratori delle imprese industriali e commerciali, ovvero delle imprese agricole, secondo che sussistano o meno, nei singoli casi concreti, i requisiti ivi stabiliti nel primo e nel secondo comma, potrebbero a maggior ragione valere anche per giustificare la inapplicabilità dell'art. 18 nei confronti dei dipendenti da datori di lavoro non imprenditori. Ma altri ed ancor più evidenti motivi possono aggiungersi: di fronte alle imprese, caratterizzate dallo scopo di lucro e dai tipi di organizzazione rispondenti alle esigenze della produzione di beni o di servizi, le diverse categorie di datori di lavoro non qualificabili professionalmente come imprenditori si distinguono nettamente, sia per la mancanza di attività lucrativa (come ad esempio i partiti politici, i sindacati, gli enti di fatto, i comitati e le associazioni semplici aventi fini culturali, sportivi, ricreativi, di assistenza, e simili), sia per il difetto di forme organizzative e di risorse finanziarie comparabili a quelle proprie delle attività imprenditoriali (come ad esempio gli studi professionali o tecnici, che perseguono bensì fini di lucro, ma assumono, di solito, strutture e dimensioni più modeste, e, ferma l'eventuale applicabilità dell'art. 2238 del codice civile, ben raramente occupano un numero di dipendenti quale richiesto dall'art. 11 della legge numero 604 del 1966, e rispettivamente dall'art. 35 della legge n. 300 del 1970). La profonda diversità di queste situazioni rispetto a quelle tipiche delle imprese industriali, commerciali, agricole, giustifica la diversità della disciplina anche per quanto attiene alle garanzie di stabilità dei posti di lavoro dei loro dipendenti. Si tratta di valutazioni e scelte discrezionali di politica legislativa, relative a condizioni economico-sociali che potranno anche mutare nel tempo e determinarne quindi la modificazione, ma che non sono censurabili sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione, in quanto fondate su presupposti obbiettivi e razionalmente ammissibili, e nemmeno sotto il profilo dei principi costituzionali di tutela del lavoro e dei lavoratori, in quanto non può dirsi che confliggano direttamente con le enunciative degli artt. 4, 35, primo comma, e 41, secondo comma, genericamente richiamate in qualche ordinanza di rinvio.

6. - Ancor più evidenti appaiono i motivi che hanno indotto il legislatore a limitare l'applicabilità delle disposizioni del titolo III dello Statuto dei lavoratori (ad eccezione del primo comma dell'art. 27) alle sole imprese industriali, commerciali e agricole aventi i requisiti indicati nel primo e nel secondo comma dell'art. 35. É superfluo avvertire al riguardo che altro sono le norme statutarie poste a tutela della libertà e dignità dei lavoratori e dell'esercizio delle libertà sindacali, oggetto di garanzia generale per tutti coloro che svolgono attività di lavoro subordinato, ed altro é il regolamento dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro, quale risulta dalle disposizioni del titolo III (art. 19 e seguenti), che disciplinano la costituzione di rappresentanze sindacali nelle "aziende" e nelle loro singole "unità produttive", la convocazione di assemblee e lo svolgimento di referendum nell'ambito aziendale, i diritti dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali.

Salva la libertà di organizzazione sindacale che l'art. 39 della Costituzione garantisce a tutti i lavoratori, il legislatore ha istituito uno speciale regime per le forme di organizzazione ed azione sindacale aziendale, nell'interno delle imprese e delle unità produttive in cui esse possono articolarsi, e non può ravvisarsi irragionevole o ingiustificata disparità di trattamento per il fatto che tale speciale regime non sia stato esteso anche nei confronti delle cosiddette organizzazioni di tendenza, come i partiti o movimenti politici o i sindacati, (rispetto ai quali la creazione di organismi sindacali interni presenterebbe una vera e propria incongruenza nel caso di incompatibilità di indirizzi ideologici), o nei confronti delle associazioni private a scopo culturale, sportivo, ricreativo, assistenziale, e di altri eventuali datori di lavoro non imprenditori, quali i professionisti, le cui forme elementari di organizzazione sono di regola manifestamente inidonee a consentire lo svolgimento di una vita sindacale interna, analoga a quella che normalmente si verifica nell'ambito delle imprese aventi certe dimensioni, o delle loro eventuali unità produttive, rispondenti ai requisiti minimi fissati dall'art. 35 dello Statuto dei lavoratori.

7. - Qualche ordinanza prospetta l'illegittimità dei due primi commi dell'art. 35 con riferimento alle disposizioni del terzo comma e del successivo art. 37, che, richiamando genericamente l'intera legge, ne sanciscono l'applicazione alle imprese di navigazione ed agli enti pubblici, con formule da cui risulterebbe "il vigore della legge in esame per tutti i rapporti di lavoro subordinato, pubblici o privati, instaurati in situazioni di fatto che comunque consentano la sua applicazione".

L'argomentazione é priva di consistenza. Il rinvio ai contratti collettivi contenuto nell'ultimo comma dell'art. 35 non consente ovviamente alcuna illazione; mentre le enunciative dell'art. 37 sulla applicabilità dello Statuto ai rapporti di impiego e di lavoro dei dipendenti da enti pubblici, economici o non, comprendono necessariamente anche l'art. 35, che definisce il campo di applicazione delle disposizioni dell'art. 18 e del titolo III della legge. Queste disposizioni, pertanto, saranno applicabili anche agli enti pubblici svolgenti esclusivamente o prevalentemente attività economica, e come tali assimilabili alle imprese, sulla base degli stessi criteri e limiti numerici stabiliti nei primi due commi dell'art. 35. I quali non determinano quindi nemmeno sotto questo profilo ingiustificata disparità di trattamento, né tra imprese ed enti pubblici economici, né tra datori di lavoro non imprenditori ed enti pubblici non economici (per i quali ultimi, inoltre, l'art. 37 fa espressa riserva dell'eventuale diverso regolamento secondo norme speciali).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), sollevata dal pretore di La Spezia con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 della stessa legge, nella parte in cui limita l'applicabilità delle disposizioni dell'art. 18 alle sole imprese industriali, commerciali ed agricole, sollevata dai pretori di Milano, Bergamo, Manfredonia e Latina con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 4, 35, primo comma, e 41, secondo comma, della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 della stessa legge, nella parte in cui esclude l'applicabilità delle disposizioni del titolo III, "Dell'attività sindacale", nei confronti dei datori di lavoro privati non imprenditori, sollevata dal tribunale di Trani con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1975.