Sentenza n. 146 del 1975
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SENTENZA N. 146

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 148 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 3 maggio 1973 dal giudice di sorveglianza presso il tribunale di Firenze sulla richiesta di sospensione della pena inflitta a Negozio Antonio, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 205 dell'8 agosto 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 1975 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa il 3 maggio 1973 il giudice di sorveglianza presso il tribunale di Firenze, chiamato a pronunziarsi, ai sensi dell'art. 148 del codice penale, sulla richiesta di sospensione della pena della reclusione inflitta a tale Negozio Antonio, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 24, comma secondo, e 27, comma terzo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del predetto articolo 148 c.p., nella parte in cui dispone che, se durante l'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale sopravviene al condannato un'infermità psichica, il giudice, qualora ritenga che l'infermità sia tale di impedire l'esecuzione della pena, ordina che questa sia sospesa e che il condannato sia ricoverato in un manicomio giudiziario, ovvero in una casa di cura o di custodia.

Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza ed instaurato il giudizio innanzi a questa Corte, é in questo intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso nel senso di una declaratoria di infondatezza di tutte le questioni sollevate.

Considerato in diritto

1. - Per l'art. 148 del codice penale, se prima o durante l'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale sopravviene al condannato un'infermità psichica, il giudice, qualora ritenga che l'infermità sia tale da impedire l'esecuzione della pena, ordina che questa sia differita o sospesa e che il condannato sia ricoverato in un manicomio giudiziario o in una casa di cura o di custodia. Se la pena inflitta é inferiore a tre anni, e non si tratti di delinquente abituale, professionale o per tendenza, il giudice può disporre che il condannato sia ricoverato, anziché in un manicomio giudiziario, in un manicomio comune.

Il giudice a quo, chiamato a pronunciarsi sulla sospensione di una pena restrittiva della libertà personale (reclusione) di durata superiore a tre anni, già in corso di esecuzione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale della norma in oggetto concernenti sia gli aspetti processuali che quelli sostanziali dell'istituto.

2. - Sotto il primo aspetto questa Corte é chiamata a decidere se la norma impugnata, non prevedendo formalità d'intervento e di difesa dell'interessato prima della pronunzia del provvedimento da parte del giudice, contrasti con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione, che garantisce l'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento.

La questione, nei termini prospettati, non appare fondata.

L'art. 148 c.p. attribuisce al giudice il potere di sospendere l'esecuzione della pena ma nulla dispone in ordine alla procedura e, d'altro canto, non ricorrono, nell'ordinanza, dati o profili che consentano di ritenere, in sede di decisione della questione, che le censure mosse dal giudice a quo abbiano riferimento anche ad altre norme, quali potrebbero essere, in ipotesi l'art. 585 c.p.p. o le disposizioni sugli incidenti di esecuzione. Il che non dispensa dall'osservare che, comunque, la disciplina degli incidenti di esecuzione, (nel cui ambito ben potrebbe essere inquadrato il procedimento in questione), nel contenuto risultante dalla sentenza n. 69 del 1970 di questa Corte, garantisce ormai pienamente l'intervento e l'assistenza dell'imputato.

3. - Sotto il secondo profilo, l'illegittimità costituzionale dell'art. 148 c.p. é prospettata con riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.

La questione appare fondata sotto l'assorbente motivo della violazione del principio di uguaglianza.

Si assume a tale riguardo nell'ordinanza che la situazione del condannato in caso di infermità psichica sopravvenuta sarebbe, senza alcun valido motivo, deteriore rispetto a quella dell'imputato che nel corso del processo venga a trovarsi in analoga situazione. Ciò in quanto, mentre nel primo caso detta infermità determina la sospensione della pena (con la conseguenza che il periodo di tempo trascorso quale degente in manicomio giudiziario non va computato ai fini dell'espiazione), nel secondo caso, invece, pur essendo motivo di sospensione del processo, non sospende anche il corso della custodia preventiva.

Orbene, é indubbio che custodia preventiva e pena, ancorché producano entrambe l'effetto di privare l'individuo della sua libertà personale, hanno scopi diversi. Infatti - come questa Corte ha già affermato in altre occasioni - la prima prescinde completamente da quelle finalità di carattere rieducativo che caratterizzano la seconda e può essere predisposta solo in vista della soddisfazione di esigenze di carattere cautelare e strettamente inerenti al processo (sentenze n. 64 del 1970 e 147 del 1973). Il che spiega - tra l'altro - perché in alcuni casi (come ad esempio in quelli previsti dagli artt. 247, 257, 258 c.p.p.) la custodia preventiva possa avvenire anche al di fuori del carcere, e cioé del luogo istituzionalmente previsto per l'esecuzione delle pene.

Va tuttavia considerato che l'art. 137 c.p., introducendo un temperamento equitativo al rigore dei principi, stabilisce che la durata della carcerazione sofferta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile si detrae da quella della pena detentiva che venga successivamente inflitta, purché non si tratti dell'ergastolo.

La norma non fa eccezioni o riserve di sorta, sicché non par dubbio che, anche agli effetti da essa previsti, per carcerazione preventiva debba intendersi ogni privazione della libertà comunque e dovunque sofferta prima del passaggio in giudicato della sentenza.

Ciò comporta che il periodo trascorso in manicomio giudiziario dall'imputato in attesa di giudizio non solo va computato ai fini della custodia preventiva ma vale come espiazione di pena e deve essere quindi detratto dalla durata di questa mentre - dato il tenore della norma impugnata - se l'infermità psichica sopravviene dopo la condanna, il periodo trascorso in manicomio giudiziario non può essere in alcun caso, come già si é detto, computato sulla durata della pena.

La disparità di trattamento appare evidente dal momento che in entrambi i casi il ricovero in manicomio giudiziario ha finalità e caratteristiche identiche e non é determinato da alcuna causa imputabile al reo. E ciò é sufficiente, secondo i principi costantemente enunciati da questa Corte, per far ritenere violato l'art. 3 della Costituzione.

Pertanto, senza che sia necessario esaminare anche la sussistenza della denunciata violazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 148 del codice penale, nella parte in cui prevede che il giudice, nel disporre il ricovero in manicomio giudiziario del condannato caduto in stato d'infermità psichica, ordini che la pena sia sospesa con le conseguenze superiormente rilevate.

La parziale illegittimità dell'art. 148 c.p., in tali sensi dichiarata, va, in forza dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, estesa - per necessaria conseguenzialità - anche all'altra parte dello stesso articolo che prevede la sospensione della pena in caso di ricovero in una casa di cura e di custodia ovvero in un manicomio comune (attualmente denominato ospedale psichiatrico), che sono misure anche esse importanti restrizioni della libertà personale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 148 del codice penale, nella parte in cui prevede che il giudice, nel disporre il ricovero in manicomio giudiziario del condannato caduto in stato d'infermità psichica durante l'esecuzione di pena restrittiva della libertà personale, ordini che la pena medesima sia sospesa;

2) in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara altresì l'illegittimità costituzionale dello stesso art. 148 del codice penale, nella parte in cui prevede che il giudice ordini la sospensione della pena anche nel caso in cui il condannato sia ricoverato in una casa di cura e di custodia ovvero in un manicomio comune (ospedale psichiatrico);

3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 148 del codice penale, sollevata dal giudice di sorveglianza presso il tribunale di Firenze con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 19 giugno 1975.