Sentenza n. 129 del 1975
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SENTENZA N. 129

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 15, numeri 3 e 7, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 3 luglio 1972 dalla Corte suprema di cassazione - sezione I civile - sul ricorso elettorale di Cinelli Orazio contro Calomino Antonio, iscritta al n. 24 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 55 del 28 febbraio 1973;

2) ordinanza emessa il 30 marzo 1973 dal tribunale di Torino sul ricorso elettorale di Dauro Luigi contro Jona Luciano, iscritta al n. 253 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 205 dell'8 agosto 1973;

3) ordinanza emessa il 27 giugno 1973 dal tribunale di Spoleto sul ricorso elettorale del Prefetto di Perugia contro Spoletini Raffaele, iscritta al n. 300 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 236 del 12 settembre 1973;

4) ordinanza emessa il 19 giugno 1973 dal tribunale di Paola sui ricorsi elettorali riuniti di Basile Carmelo ed altri contro Valenza Giuseppe ed altri, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 6 marzo 1974;

5) ordinanza emessa il 2 maggio 1973 dal tribunale di Lucera sul ricorso elettorale di Ippolito Vincenzo ed altro contro Follieri Libero Giulio ed altri, iscritta al n. 243 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 10 luglio 1974.

Visti gli atti di costituzione di Jona Luciano, di Valenza Giuseppe e di Di Bianco Antonio;

udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1975 il Giudice relatore Ercole Rocchetti.

Ritenuto in fatto

1. - In riferimento all'art. 51 della Costituzione, che garantisce a tutti i cittadini il diritto di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive, la Corte di cassazione, sezione prima civile, con ordinanza 3 luglio 1972, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, n. 3, ultima parte, del t.u. delle leggi sulle elezioni comunali (d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570), il quale sancisce l'ineleggibilità a consigliere comunale degli amministratori di enti dipendenti sovvenzionati o sottoposti alla vigilanza del Comune. Secondo l'ordinanza di rimessione, la norma, non contestabile nel principio che esprime - in quanto volto a evitare un conflitto di interessi - , sarebbe illegittima nella parte in cui omette di determinare il momento nel quale la causa di ineleggibilità debba spiegare il suo effetto ostativo all'assunzione e all'esercizio della carica, momento che non può essere rapportato che a quello in cui il conflitto diventi reale e concreto: il che non si verifica se non in un momento successivo a quello stesso delle elezioni, ma senza che la norma lo precisi. Il che determinerebbe conseguenze dannose sulla portata del diritto costituzionalmente garantito, il quale potrebbe restare, in sede di applicazione della norma, tanto compresso quanto dilatato oltre i limiti segnati dalla causa di ineleggibilità.

Nessuno si é costituito o é intervenuto in questo giudizio.

2. - Per motivi sostanzialmente analoghi, il tribunale di Lucera, con ordinanza emessa il 2 maggio 1973, ha denunciato la illegittimità costituzionale della citata disposizione di cui al n. 3 dell'art. 15 del d.P.R. n. 570 del 1960, con riferimento, oltre che all'art. 3, anche all'art. 51 della Costituzione. Anche il tribunale di Lucera osserva al riguardo che la norma impugnata pone in essere una uniforme disciplina delle cause di ineleggibilità che appare ingiustificata e comunque in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza costituzionale che più volte ha affermato la necessità di contenere e delimitare rigorosamente quelle cause in relazione alle esigenze di pubblico interesse cui esse sono preordinate.

Nemmeno in questo giudizio vi é stata costituzione di parti.

3. - Il tribunale di Torino, con ordinanza emessa il 30 marzo 1973 nel procedimento relativo al ricorso proposto da Dauro Luigi nei confronti di Jona Luciano, ha impugnato, pure con riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, ma sotto altro profilo, l'art. 15, n. 3, del t.u. 16 maggio 1960, n. 570. Secondo il tribunale, tale norma dovrebbe ritenersi illegittima per difetto di tipizzazione, di determinatezza e di precisione, sia in ordine alla espressione "enti, istituti od aziende", sia con riguardo alla nozione di "vigilanza".

Nel giudizio dinanzi alla Corte si é costituito il prof. Luciano Jona che, con deduzioni depositate in cancelleria il 6 agosto 1973, sostiene la illegittimità costituzionale della norma impugnata con argomentazioni analoghe a quelle contenute nella ordinanza di rinvio.

4. - Allo stesso ordine di censura é ispirata l'ordinanza emessa il 27 giugno 1973 dal tribunale di Spoleto, che ha denunciato la illegittimità costituzionale del citato art. 15, numeri 3 e 7, con riferimento all'art. 51 della Costituzione. Secondo il giudice a quo, le ipotesi di ineleggibilità formulate nelle norme impugnate sembrano tanto late, generiche e polivalenti da causare notevoli perplessità interpretative e da consentire la loro estensione anche ai casi che potrebbero essere ritenuti non oggetto della effettiva previsione voluta dal legislatore.

Nessuna delle parti si é costituita in giudizio.

5. - Nei confronti dell'art. 15, n. 3, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, e sempre nella parte in cui contempla la ineleggibilità a consigliere comunale degli amministratori di enti sovvenzionati o sottoposti a vigilanza da parte del Comune, é stata proposta altra questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 51 e 3 della Costituzione, ma sotto altro profilo, dal tribunale di Paola, con ordinanza emessa il 19 giugno 1973 nel procedimento relativo ai ricorsi riuniti proposti da Frassetti contro Leta, da Frassetti contro Di Bianco e da Basile e Tricarico contro Valenza.

Il tribunale, rispetto agli impedimenti all'esercizio del diritto di elettorato passivo, costituiti dall'essere il soggetto interessato amministratore di un ente sovvenzionato o sottoposto a vigilanza del Comune, ritiene che occorra distinguere tra quegli enti che, per la loro natura o per gli scopi cui tendono o per altro motivo, si trovino in una situazione di effettivo, e, se non attuale, almeno potenziale, conflitto di interessi con il Comune, e quegli altri enti rispetto ai quali non si può nemmeno ipotizzare l'esistenza di una posizione di conflitto perché perseguono fini analoghi o compresi in quelli stessi perseguiti dal Comune.

Ora, poiché la indistinta e indifferenziata causa di ineleggibilità, prevista dalla norma impugnata, non terrebbe conto della predetta essenziale differenziazione, né con riferimento alla natura degli enti né con riguardo al tipo di interessi in concreto perseguiti, il giudice a quo opina che la norma denunciata si presenti ultronea rispetto alla stessa ratio contemplata dal legislatore e sia perciò in contrasto con i precetti costituzionali contenuti negli artt. 51 e 3 della Costituzione.

Nel presente giudizio si sono costituiti i resistenti Giuseppe Valenza e Antonio Di Bianco, rappresentati e difesi dall'avv. Salvatore Foderaro, che con deduzioni del 30 luglio 1973 e successiva memoria del 28 giugno 1974 ha sviluppato, anche con riferimento alle singole posizioni delle parti, le censure prospettate nella ordinanza di rinvio.

6. - Tutte le menzionate ordinanze sono state ritualmente notificate comunicate e pubblicate.

Considerato in diritto

1. - Poiché le cinque ordinanze indicate in epigrafe denunziano le stesse disposizioni di legge, le cause da esse promosse possono essere riunite e decise con unica sentenza.

2. - Tutte le ordinanze di rinvio sollevano il dubbio che la norma contenuta nell'art. 15, n. 3, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, sulla composizione ed elezione degli organi delle amministrazioni comunali, contrasti con gli artt. 3 e 51 della Costituzione. In ordine ai motivi del dedotto contrasto, i giudici a quo non prospettano però un unico ordine di censure, ma sostengono volta a volta che le cause di ineleggibilità previste in quella norma siano costituzionalmente illegittime sotto tre profili diversi: 1) per la loro indeterminatezza circa il momento in cui deve verificarsi l'effetto ostativo; 2) per la imprecisione concettuale della loro terminologia; 3) per l'assenza di una concreta posizione conflittuale con gli interessi che si intendono tutelare. Il tribunale di Spoleto, poi, denuncia, solo con riferimento all'art. 51 della Costituzione, la norma contenuta nell'art. 15, n. 7, del decreto n. 570 del 1960, estendendo anche alle cause di ineleggibilità previste da questa disposizione la censura di indeterminatezza e di imprecisione terminologica.

Le diverse questioni di legittimità presentano comunque un nucleo comune risolventesi nell'affermazione che le predette cause di ineleggibilità sembrano ledere, senza apprezzabili ragioni, o, quanto meno, oltre il limite del necessario, il diritto garantito costituzionalmente ad ogni cittadino di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza. A sostegno di tale assunto, tutte le ordinanze ricordano i precedenti della giurisprudenza di questa Corte in materia di ineleggibilità a cariche elettive, facendo riferimento in particolare al principio desunto dall'art. 51 Cost., secondo il quale l'eleggibilità rappresenta la regola e la ineleggibilità l'eccezione (sent. n. 46 del 1969), e traendo da esso la conseguenza che le cause di ineleggibilità devono essere interpretate restrittivamente e possono trovare applicazione solo entro i limiti rigorosamente segnati dalla ratio delle norme che le determinano.

3. - Individuato il motivo ispiratore delle tre questioni sottoposte all'esame della Corte, può ora procedersi alla disamina analitica di esse.

La prima, proposta dalla Corte di cassazione e dal tribunale di Lucera, fonda il motivo di incostituzionalità nella impossibilità di desumere dalla norma denunziata, con la necessaria precisione, il momento al quale deve essere rapportato l'effetto ostativo della causa di ineleggibilità relativa al consigliere eletto che rivesta la carica di amministratore di ente dipendente, sovvenzionato o sottoposto alla vigilanza del Comune.

Ritengono in proposito le ordinanze di rinvio che tale causa di ineleggibilità apparirebbe ultronea ed irrazionale, se, nella sua applicazione, essa fosse ritenuta operante fin dal momento delle elezioni, e non già da quello, ad esso successivo, dell'effettiva insorgenza del conflitto tra gli interessi del Comune, e gli interessi di altri enti, o del soggetto stesso.

Entro tali limiti, la questione risulta fondata.

In effetti, la norma non precisa in quale momento spieghi la sua efficacia la causa di ineleggibilità: é, tuttavia, evidente che quel momento non può coincidere con quello delle elezioni, perché queste non determinano ancora l'investitura dell'eletto e non gli conferiscono una posizione di potere, suscettibile di porre in essere quel conflitto di interessi che la norma é diretta ad evitare.

D'altra parte, non può ammettersi che l'efficacia della causa ostativa di ineleggibilità possa essere rapportata al momento in cui il conflitto si manifesti in tutta la sua evidenza, quando cioé affari concreti dell'ente dipendente, vigilato o sovvenzionato dal Comune siano portati alla decisione, o anche soltanto alla discussione, mediante iscrizione all'ordine del giorno, degli organi deliberanti del Comune in cui sieda l'amministratore di quegli stessi enti nella sua duplice qualità. É appena il caso di rilevare, in proposito, che un conflitto determinante ineleggibilità, per essere rilevante, non deve necessariamente essere attuale, bastando che sia anche soltanto potenziale; la sua potenzialità, infatti, é già sufficiente a porre in pericolo quegli interessi pubblici che si intendono tutelare mediante la eliminazione della situazione di conflittualità. E non é dubbio che il consigliere comunale, investito delle funzioni, si trovi, in seno all'ente, in una posizione di potere che gli consente di interferire nella conduzione degli affari del Comune, anche prima che essi siano portati all'esame degli organi deliberanti.

Per risolvere dunque la proposta questione, occorre ricercare il momento in cui i poteri, a seguito delle elezioni, vengono effettivamente conferiti al consigliere neo-eletto. E tale momento, secondo la Corte, non può essere che quello della convalida che, ai sensi dell'art. 75 del t.u. delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, deve avvenire nella seduta immediatamente successiva alle elezioni stesse.

Può pertanto concludersi che la causa di ineleggibilità di che trattasi spiega efficacia solo con la convalida e può essere perciò rimossa fino al momento in cui questa viene posta in votazione, nella prima seduta consiliare.

4. - La seconda questione, proposta con le ordinanze dei tribunali di Torino e di Spoleto, investe le disposizioni contenute nell'art. 15, nn. 3 e 7. Le norme denunziate sarebbero illegittime per oscurità della loro formulazione, per la loro genericità, polivalenza e mancanza di tipizzazione, tanto che esse determinerebbero notevoli perplessità circa il loro significato, consentendo errori di applicazione con l'inclusione, o viceversa, l'esclusione, di fattispecie che, probabilmente, dovrebbero restare rispettivamente escluse o, al contrario, comprese nel dettato normativo.

In particolare, le ordinanze segnalano l'equivocità dei termini "enti, istituti e aziende" (n. 3), in quanto non si potrebbe dedurre dalle parole usate e dal loro coordinamento se, nella disposizione, debbano o non ritenersi comprese le società, di cui pur si parla nel n. 7, e lamentano l'equivocità del termine "vigilanza", inteso con significato generico di sorveglianza, e quindi con accezione diversa e più ampia di quella che esso ha nel diritto amministrativo.

La questione non é fondata.

I termini usati dal legislatore esprimono concetti sufficientemente precisi per evitare erronee applicazioni. La faticosa elaborazione della dottrina e della giurisprudenza ha già da tempo conferito a quei termini un contenuto che può considerarsi delimitato in modo soddisfacente: inoltre, non é escluso che l'interprete, con l'ausilio dei comuni canoni ermeneutici, e alla luce dei principi costituzionali, riesca a dar loro contorni ancora più netti e maggiore aderenza alla molteplice varietà dei casi che possano presentarsi nell'esperienza.

Ma questo é essenzialmente compito del giudice, a tutti i livelli; avendo invece la Corte la funzione di porre a confronto la norma, nel significato comunemente ad essa attribuito, con le disposizioni della Costituzione, per rilevarne eventuali contrasti e trarne le conseguenze sul piano costituzionale.

5. - La terza ed ultima questione é quella proposta dal tribunale di Paola, il quale ritiene che l'art. 15, n. 3, sia illegittimo nella parte in cui, all'interno della categoria degli enti dipendenti, vigilati o sovvenzionati dal Comune, non introduce una distinzione, che sarebbe invece essenziale, tra enti le cui finalità possono collidere e quelli i cui scopi sono - benché solo parzialmente - coincidenti con quelli perseguiti dal Comune (es. ECA; Pro-loco).

La questione non é fondata.

É ovvio che nel dettato, come nella ratio, della disposizione, il conflitto determinante la situazione di ineleggibilità non é originato dal contrasto degli scopi perseguiti dagli enti in questione giacché questi - in via generale - debbono ritenersi tutti ugualmente volti a soddisfare i bisogni della comunità. Ciò che rileva, invece, é quel contrasto di interessi che si realizza quando gli amministratori di enti dipendenti, sovvenzionati o vigilati dal Comune, divengono amministratori anche di questo ente, cumulando la posizione di destinatari di ordini, di benefici o di controlli con quella di direzione, di erogazione e di vigilanza. Il che é inconcepibile, non solo sul piano della logica comune, ma anche di quella giuridica.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, n. 3, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, contenente il testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, limitatamente alla parte in- cui considera ineleggibili gli amministratori di enti, istituti o aziende dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza del Comune, che siano cessati dalla carica o si siano dimessi prima della convalida dell'elezione;

2) dichiara non fondate le altre questioni di legittimità costituzionale dell'art. 15, nn. 3 e 7, dello stesso decreto presidenziale, proposte con le ordinanze in epigrafe, dai tribunali di Torino, Spoleto e Paola, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 28 maggio 1975.