Sentenza n. 33 del 1975
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SENTENZA N. 33

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott- Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, della legge 26 ottobre 1957, n. 1047 (Estensione dell'assicurazione per invalidità e vecchiaia ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni), e dell'art.25 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 21 dicembre 1971 dalla Corte d'appello di Potenza nel procedimento civile vertente tra Romanelli Maria e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 271 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 233 del 6 settembre 1972;

2) ordinanza emessa il 6 febbraio 1973 dalla Corte d'appello di Potenza nel procedimento civile vertente tra Lia Serafina e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 27 giugno 1973;

3) ordinanza emessa il 30 gennaio 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Macerata nel procedimento civile vertente tra Lillini Orsola e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 167 del 26 giugno 1974;

4) ordinanza emessa il 10 gennaio 1974 dalla Corte suprema di cassazione - sezione lavoro - nel procedimento civile vertente tra Ercolani Maria e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n.203 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 159 del 19 giugno 1974;

5) ordinanze emesse il 29 gennaio 1974 dal pretore di Pescara nei procedimenti civili vertenti tra Micaroni Teresa, Di Girolamo Anna e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritte ai nn. 257 e 258 del registro ordinanze 1974 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 231 del 4 settembre 1974;

6) ordinanza emessa il 26 aprile 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Modena nel procedimento civile vertente tra Lamberti Anna ed altri e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 284 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250 del 25 settembre 1974.

Visti gli atti di costituzione di Ercolani Maria e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;

udito nell'udienza pubblica del 4 dicembre 1974 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

uditi l'avv. Franco Agostini, per Ercolani Maria, e l'avvocato Giovanni Battista Rossi Doria, per l'INPS.

Ritenuto in fatto

1. - In un procedimento civile iniziato nei confronti dell'INPS da Maria Romanelli, vedova di un coltivatore diretto, per ottenere la pensione di riversibilità, negatale per il difetto del requisito dell'inabilità, la Corte d'appello di Potenza, con ordinanza 21 dicembre 1971, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale circa l'art. 18, secondo comma, della legge 26 ottobre 1957, n. 1047, che prevede tale requisito, e circa l'art. 25 della legge 30 aprile 1969, n. 153, "nella parte in cui subordina l'estensione alle vedove dei coltivatori diretti delle norme stabilite per i lavoratori dipendenti alla condizione che il coltivatore diretto sia deceduto successivamente alla data di entrata in vigore della legge, lasciando in vita, per i casi di decessi avvenuti prima, le disposizioni di cui al già menzionato secondo comma dell'art. 18 della legge 26 ottobre 1957, n. 1047.

Premesso che il diritto alla riversibilità della pensione dei lavoratori dipendenti non sarebbe soggetto ad una tale limitazione, eliminata per gli stessi lavoratori dei campi dalla successiva legge n. 153 del 1969, solo per decessi posteriori alla sua entrata in vigore, la Corte d'appello osserva che la preesistente diversità di trattamento, nell'ipotesi di decessi anteriori, non troverebbe giustificazione razionale, data la perfetta identità delle situazioni obiettive.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituito soltanto l'INPS, la cui difesa, pur chiedendo che si provveda come di giustizia, prospetta, per entrambe le questioni, l'infondatezza e, per quella dell'art.25 della legge del 1969, pure l'irrilevanza.

Al riguardo, osserva che l'assicurazione obbligatoria dei lavoratori autonomi dei campi riguarderebbe solo la pensione diretta, e non anche quella di riversibilità, che sarebbe incompatibile con la stessa struttura della legge, per cui ogni componente della famiglia coltivatrice, iscritto all'assicurazione, é direttamente destinatario della garanzia previdenziale.

Infatti, il primo comma dell'art. 18 della legge del 1957 limiterebbe l'assicurazione obbligatoria dei rurali soltanto all'invalidità e vecchiaia. Il successivo comma, oggetto della censura, derogherebbe al principio generale dell'esclusione della assicurazione relativa alla pensione indiretta e la concederebbe alla vedova inabile, in quanto questa, come tale, pur facendo parte dell'azienda familiare, non potrebbe conseguire l'iscrizione personale nell'assicurazione e la tutela assicurativa diretta.

Sulla questione, attinente all'art. 25 della legge del 1969, che, per i decessi anteriori alla sua entrata in vigore, si rifà alla precedente disciplina dettata dall'altra norma denunziata, la difesa dell'Istituto ne prospetta l'irrilevanza, assumendo che per la definizione del giudizio a quo sarebbe sufficiente decidere sulla legittimità di quest'ultima norma; e, in subordine, ne sostiene l'infondatezza.

2. - Le medesime questioni sono state sollevate:

- con ordinanza 6 febbraio 1973 dalla stessa Corte di appello di Potenza, in un procedimento iniziato da Lia Serafina nei confronti dell'INPS, che dinanzi a questa Corte si é costituito, concludendo per l'infondatezza;

- con ordinanza 26 aprile 1974 dal tribunale di Modena (giudice del lavoro) nei procedimenti riuniti, iniziati da Anna Lamberti ed altri, senza costituzione di parti in questa sede.

3. - Una questione parzialmente diversa - sempre in riferimento all'art. 3 Cost. - dell'art. 25, primo comma, della legge n. 153 del 1969, "nella parte in cui riconosce il trattamento di riversibilità alla vedova di coltivatore diretto deceduto dopo l'entrata in vigore della legge, solo se il coniuge non era titolare di pensione ovvero era titolare di pensione con decorrenza 1 gennaio 1970 o successiva e non se con decorrenza anteriore", é stata promossa, con due ordinanze del 29 gennaio 1974, dal pretore di Pescara, il quale profila la disparità di trattamento di due situazioni obiettive identiche.

Nessuno si é costituito nel giudizio dinanzi a questa Corte.

4. - Nel corso di un procedimento civile iniziato al fine di ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità in favore dei minori Luciano e Giancarlo Menichelli, orfani di un mezzadro, il giudice del lavoro presso il tribunale di Macerata, con ordinanza 30 gennaio 1974, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 18, secondo comma, della legge n. 1047 del 1957 e 25 della legge n. 153 del 1969, la prima norma "nella parte in cui limita il diritto alla pensione di riversibilità dei figli minori del colono mezzadro deceduto ai soli casi dei figli minori del capo famiglia il cui nucleo familiare superstite abbia abbandonato il fondo" e la seconda "nella parte in cui subordina l'estensione ai figli minori dei coloni mezzadri delle norme stabilite per i figli minori dei lavoratori dipendenti alla condizione che il colono mezzadro sia deceduto successivamente alla data di entrata in vigore della legge, lasciando in vita, per i casi di decesso avvenuto prima, le disposizioni di cui al già menzionato secondo comma dell'art. 18 legge 26 ottobre 1957, n. 1047".

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituito soltanto l'INPS, la cui difesa, pur chiedendo anche qui che si provveda come di giustizia, prospetta l'infondatezza della questione.

Al riguardo sostiene la legittima discrezionalità del legislatore di graduare nel tempo l'attuazione dell'art. 38 della Costituzione.

5. - La Corte di cassazione, con ordinanza 10 gennaio 1974, emessa nel corso di un procedimento iniziato nei confronti dell'INPS da Maria Ercolani, vedova di un colono, per ottenere il riconoscimento della pensione in favore del figlio minore Sergio Celati, ha sollevato, in riferimento al principio di eguaglianza, questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge n. 1047 del 1957, "in quanto limita il diritto alla pensione di riversibilità solo a favore dei superstiti (vedova e orfani) del capo della famiglia colonica o mezzadrile, escludendola per i superstiti degli altri eventuali componenti della famiglia stessa".

La Cassazione osserva che la necessità di graduare nel tempo l'estensione della tutela previdenziale non giustificherebbe la norma, stante la conseguente sperequazione di ordine subiettivo nei confronti di chi ha una autonoma posizione assicurativa.

Nel presente giudizio si é costituita soltanto la parte privata, la cui difesa ha fatto proprie, in sostanza, le argomentazioni del giudice a quo ed ha poi depositato memoria nella quale insiste sul carattere discriminatorio non solo del denunziato art. 18 della legge n. 1047 del 1957, ma anche dell'art. 25 della legge n. 153 del 1969.

Considerato in diritto

1. - Le sette ordinanze di rimessione sollevano, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questioni aventi oggetto identico od analogo e, pertanto, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - La Cassazione ha denunziato a questa Corte l'art. 18 della legge 26 ottobre 1957, n. 1047, in quanto limita il diritto alla pensione di riversibilità a favore dei superstiti (vedova ed orfani) del capo della famiglia aziendale (colonica o mezzadrile), escludendolo per i superstiti degli altri eventuali componenti della stessa famiglia.

La disposizione censurata ha tuttora efficacia, essendo stata mantenuta ferma dalla successiva legge 30 aprile 1969, n. 153, per i casi di decessi anteriori all'entrata in vigore di questa.

La questione é fondata.

É innegabile che ogni componente della famiglia aziendale, fruendo di una propria posizione assicurativa, debba avere lo stesso trattamento previdenziale, indipendentemente dalla sua posizione, come lavoratore, nell'azienda, e che, in caso di decesso del lavoratore autonomo, i suoi superstiti debbano essere assistiti dalla medesima tutela assicurativa, ferme le altre condizioni di legge.

La norma denunziata, al contrario, escludendo dalla tutela i superstiti di un lavoratore deceduto, facente parte della famiglia aziendale, solo perché questi non ne era il capo, effettua una ingiusta discriminazione ed arbitrariamente preclude ai superstiti la pensione di riversibilità.

La norma deve, pertanto, essere dichiarata illegittima.

3. - L'equiparazione che da tale dichiarazione di illegittimità consegue tra superstiti del capo della famiglia aziendale e quelli degli altri lavoratori della stessa azienda risolve la questione, proposta dal giudice del lavoro del tribunale di Macerata, circa l'art. 18 della legge del 1957, per quanto attiene al differente trattamento tra gli orfani del capo famiglia e degli altri lavoratori dell'azienda familiare.

L'art. 25 della legge n. 153 del 1969, nel quadro di una estensione della tutela previdenziale dei lavoratori dipendenti ad altre categorie di lavoratori, ha conservato, per i casi di decessi anteriori alla sua entrata in vigore, le limitazioni poste dalla precedente disciplina. Anche tale norma é stata censurata dallo stesso giudice di Macerata per violazione del principio di eguaglianza.

Per altro, la questione é da ritenersi infondata, alla stregua dei principi affermati con sentenza n. 128 del 1973 da questa Corte: trattasi anche qui di una scelta di politica legislativa diretta a realizzare l'ampliamento della tutela con una gradualità di passaggio, richiesta dalle disponibilità finanziarie (vedi anche la recente legge 16 aprile 1974, n. 114, di conversione del d.l. 2 marzo 1974, n. 30).

4. - In base allo stesso criterio é da ritenere infondata la questione di legittimità, promossa dal pretore di Pescara, dell'art. 25, primo comma, della legge n. 153 del 1969, nella parte in cui riconosce il trattamento di riversibilità alla vedova del coltivatore diretto deceduto dopo l'entrata in vigore della legge, solo se il coniuge non era titolare di pensione o lo era con decorrenza 1 gennaio 1970 o successiva.

5. - La Corte d'appello di Potenza e il giudice del lavoro del tribunale di Modena hanno denunziato l'art. 18 della legge n. 1047 del 1957, nella parte in cui, a differenza di quanto é stabilito per la pensione dei lavoratori dipendenti, richiede il requisito di invalidità per il riconoscimento del diritto a pensione di riversibilità della vedova del coltivatore diretto, mezzadro o colono, e l'art. 25 della legge n. 153 del 1969, nella parte in cui conferma tale disciplina per i casi di decessi antecedenti alla sua entrata in vigore.

La questione é infondata.

Invero, la differenza di disciplina della pensione alla vedova del lavoratore dipendente rispetto a quella del lavoratore agricolo autonomo trova la sua ragione nel fatto che la seconda, in quanto contribuisce col suo lavoro all'azienda familiare, ha una sua propria tutela assicurativa e previdenziale.

Era consona al sistema normativo in cui si collocava la disposizione del 1957 l'esclusione della pensione di riversibilità, in aggiunta a quella diretta, in favore della lavoratrice agricola autonoma.

Non era irrazionale e non comportava alcuna violazione del principio di eguaglianza il fatto che, solo nel caso in cui ricorresse il requisito della inabilità, la vedova del lavoratore autonomo dei campi, non essendo più inserita nell'azienda familiare, fosse priva di una tutela assicurativa autonoma e dovesse, pertanto, conseguire solo in tal caso la pensione di riversibilità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 26 ottobre 1957, n. 1047 (Estensione dell'assicurazione per invalidità e vecchiaia ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni), nella parte in cui limita il diritto alla pensione di riversibilità ai superstiti (vedova ed orfani) del capo della famiglia aziendale, escludendolo per i superstiti degli altri eventuali componenti della famiglia stessa;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, della legge 26 ottobre 1957, n. 1047, nonché dell'art. 25 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Potenza, dai giudici del lavoro dei tribunali di Modena e di Macerata e dal pretore di Pescara con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO -  Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE -  Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO

 

Depositata in cancelleria il 25 febbraio 1975.