Sentenza n. 265 del 1974
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SENTENZA N. 265

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1 del d.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704, in relazione all'art. 28 della legge 31 dicembre 1962, n. 1860, sull'impiego pacifico dell'energia nucleare, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 18 gennaio 1972 dal pretore di Fidenza nel procedimento penale a carico di Besagni Antonino, iscritta al n. 144 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.141 del 31 maggio 1972;

2) ordinanza emessa il 19 maggio 1972 dal pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Goldoni Luigi ed altri, iscritta al n. 243 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 30 agosto 1972.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 2 ottobre 1974 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza 18 gennaio 1972 il pretore di Fidenza, nel procedimento penale a carico di Besagni Antonino (nella sua qualità di amministratore unico della società CONDOMET e titolare della ditta ERCON), imputato della contravvenzione prevista dall'art. 3 legge 31 dicembre 1962, numero 1860, modificato dall'art. 1 del d.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704, e punita dall'art. 28 della stessa legge del 1962, per non avere fatto le prescritte denunzie di detenzione di materie radioattive (e precisamente di due sorgenti di iridio 192 da 20 curie, una sorgente di iridio 192 da 18 curie ed un'altra analoga da 17 curie) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 predetto, in relazione con l'art. 28 succitato, per presunta violazione degli artt.76 e 77 della Costituzione.

A sostegno della censura, il giudice a quo osserva nell'ordinanza che con l'art. 1, lett. c, della legge 13 luglio 1965, n. 871, era stato delegato al Governo sia il potere di emanare atti aventi forza di legge ai fini di attuare le disposizioni dell'art. 30 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) ed in particolare la direttiva del Consiglio della stessa Comunità adottata il 2 febbraio 1959, concernenti, tra l'altro, il regime di denunzia delle sostanze radioattive ai fini della protezione sanitaria della popolazione, sia la facoltà di stabilire le sanzioni per le infrazioni alle norme protettive suddette.

La norma delegante, prosegue il pretore, aveva, altresì, espressamente indicato al riguardo la pena dell'ammenda fino a due milioni, e dell'arresto fino ad un anno, da applicarsi congiuntamente e alternativamente, secondo le più specifiche determinazioni del legislatore delegato.

In attuazione di tale delega, l'art. 1 del d.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704, aveva modificato l'art. 3 della legge 31 dicembre 1962, n. 1860, sull'impiego pacifico dell'energia nucleare, assoggettando all'obbligo di denunzia non più i detentori di materie radioattive in quantità tale che la radioattività complessiva, all'atto della denunzia, eccedesse un decimo di curie, come previsto dalla suddetta norma della legge del 1962, bensì i detentori di materie radioattive "in quantità tale che la radioattività totale all'atto della denunzia ecceda i valori di quantità totale di radioattività o di peso, così come determinati ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 13 febbraio 1964, n. 185, e fissati con decreto del Ministero dell'industria emanato ai sensi dell'art. 3 del medesimo decreto n. 185 del 1964. I suddetti elementi erano, poi, stati in concreto determinati con D.M. 27 luglio 1966 e con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 luglio 1967, e relative tabelle allegate, che comprendono appunto, fra i nuclidi di radiotossicità elevata soggetti a denunzia, l'iridio 192. Il legislatore delegato, peraltro, non avrebbe previsto, contrariamente alla delega ricevuta, alcuna specifica sanzione per la violazione del precetto così adottato e ciò, secondo il pretore, in vista delle sanzioni già previste dall'art. 28 della legge 31 dicembre 1962 per le infrazioni all'art. 3 della stessa legge, indicate per l'omessa denunzia dei materiali, allora assoggettati a disciplina, nell'ammenda da lire 1.000.000 a 5.000.000 e, per il caso di materie fissili speciali, altresì nell'arresto da uno a due anni e cioé in misura superiore a quella prevista nella legge delegante.

In ciò, secondo il pretore, si concreterebbe un uso del potere legislativo delegato, in contrasto con i predeterminati criteri direttivi e la norma impugnata (art. 1 d.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704) sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 76 e 77 Cost. sotto il profilo dell'eccesso di delega "limitatamente", come testualmente si esprime il pretore, "alla sua relazione con l'art.28 della legge n. 1860 del 1962".

Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva espressamente che con l'eventuale dichiarazione di illegittimità della norma impugnata, che precisa le ipotesi di denunzia obbligatoria dei materiali radioattivi, verrebbe meno la sanzionabilità delle omissioni imputate al Besagni.

L'ordinanza, comunicata e notificata come per legge, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 31 maggio 1972.

É intervenuto in giudizio, nei termini, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni il 20 giugno 1972.

L'Avvocatura ha eccepito preliminarmente l'irrilevanza della questione, ed in proposito osserva che, mentre l'art. 3, terzo comma, della legge n. 1860 del 1962 prevedeva l'obbligo della denunzia per chi deteneva materie radioattive in quantità tali da eccedere, al momento della denunzia, un decimo di curie, stabilendo al riguardo l'ammenda da un milione a 5 milioni, l'art. 1 impugnato ha modificato il precedente testo, facendo riferimento ai parametri indicati nel provvedimento ministeriale ivi previsto, e concretatosi nel decreto 27 luglio 1966, in cui sarebbero previste, ai fini dell'obbligo di denunzia, soglie di radioattività uguali o superiori a quella già fissata dalla legge n. 1860 del 1962, salvo il caso dei nuclidi di radioattività molto elevata, per cui la soglia stessa é fissata in soli 10 millicurie. Da ciò deriverebbe, secondo l'Avvocatura, che, siccome nel caso di dichiarazione di illegittimità della norma impugnata, vivrebbe la precedente regolamentazione, il pretore avrebbe dovuto in ogni caso verificare se la fattispecie sottoposta al suo giudizio fosse da ricomprendersi nell'art. 3, terzo comma, della ripetuta legge del 1962, e considerata quindi punibile ai sensi dell'art. 28 della stessa legge.

Ad ogni modo, per quanto concerne il merito, l'Avvocatura ha sostenuto l'infondatezza della questione.

Invero, la norma impugnata si sarebbe limitata a prevedere un diverso sistema di determinazione della soglia di radioattività ai fini dell'obbligo di denunzia, senza avvalersi della delega per quanto riguarda le relative penalità, onde rimarrebbero applicabili le sanzioni previste dalla normazione precedente.

D'altra parte, sostiene pure l'Avvocatura, se pur potesse ammettersi che, attraverso la modifica della soglia di radioattività, siano state configurate fattispecie incriminabili non previste I dalla legge precedente, ciò non deriverebbe direttamente dalla norma delegata, ma dal provvedimento ministeriale che, come atto amministrativo, sarebbe esente dal controllo di legittimità in questa sede.

2. - Con altra ordinanza, emessa dal pretore di Bologna il 19 maggio 1972 nel procedimento penale a carico di Goldoni Luigi ed altri, imputati di contravvenzione analoga a quella contestata al Besagni, per avere omesso la denunzia di una sorgente di cobalto 60 dell'attività di 50.000 curie, il giudice a quo osserva pure che il precetto di cui alla norma impugnata, per la mancata specificazione della penalità indicata nella legge delega, troverebbe la sua sanzione nell'art. 28 della citata legge del 1962, n. 1860, e precisamente nella ammenda da lire 1.000.000 a 5.000.000 ivi comminata. Ciò comporterebbe una violazione dei criteri direttivi predeterminati dal legislatore delegante in quanto il precetto apportato con l'art. 1 del d.P.R. n. 1704 del 1965 troverebbe, in relazione all'art. 28 succitato, una sanzione più grave di quella contenuta nell'autorizzazione di delega, e di conseguenza si verificherebbe il contrasto della norma impugnata con gli art. 76 e 77 Cost. per eccesso di delega.

La suddetta ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 226 del 30 agosto 1972. Non vi é stata costituzione di parti in questa sede.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause, conseguenti alle su indicate ordinanze di rinvio, riguardano questioni identiche e possono essere, quindi, riunite e decise con unica sentenza.

2. - Nel promuovere la questione di legittimità in esame, il pretore di Fidenza muove dalle seguenti considerazioni:

1) l'art. 28 della legge n. 1860 del 1962 prevedeva, per il caso di omessa osservanza dell'obbligo di denunzia di materiale radioattivo al Ministero dell'industria e del commercio, obbligo stabilito dall'art. 3, terzo comma, della stessa legge, l'ammenda da lire 1.000.000 a 5.000.000 e, per il caso di omessa denunzia di materie fissili speciali, oltre la detta ammenda, l'arresto da uno a due anni;

2) la legge di delegazione 13 luglio 1965, n. 871, ha posto, invece, (art. 1, lett. c) come limite massimo della sanzione predetta la durata di un anno di arresto e l'ammontare di lire 2.000.000 di ammenda, prevedendo altresì la possibilità di comminare, congiuntamente o disgiuntamente, le sanzioni stesse;

3) la legge delegata (d.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704), mentre ha provveduto a disciplinare - ex novo - l'obbligo della denunzia di materiale radioattivo, in attuazione e in conformità degli artt. 30 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom), così come espressamente stabilito dalla norma delegante, ha, peraltro, omesso di precisare i limiti ed i casi di applicazione della sanzione secondo i sopra esposti criteri direttivi sanciti dalla legge di delegazione.

Da ciò deriverebbe, secondo il pretore, che il trattamento punitivo delle ipotesi di violazione dell'obbligo di denunzia, obbligo positivamente regolato dalla norma delegata, sarebbe rimasto quello più grave disciplinato dalla legge del 1962, anteriore alla delega, e, quindi, in contrasto con i criteri posti da quest'ultima, in violazione conseguenziale degli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Sempre secondo quanto si assume nell'ordinanza del pretore di Fidenza, dalla dichiarazione di illegittimità della norma delegata deriverebbe che non sarebbero più applicabili né la sanzione a sua volta illegittima anteriore alla delega, né quella per la quale quest'ultima aveva fissato i criteri direttivi, che poi non hanno trovato attuazione da parte del legislatore delegato.

La violazione dell'obbligo di denunzia condurrebbe a ritenere quest'ultimo privo di sanzione, e da qui sorgerebbe, secondo il giudice a quo, la rilevanza della questione.

La successiva ordinanza del pretore di Bologna é basata sugli stessi criteri direttivi.

3. - L'Avvocatura dello Stato, costituitasi soltanto in relazione all'ordinanza del pretore di Fidenza, ha formulato in proposito una eccezione di irrilevanza, osservando che il giudice avrebbe omesso di esaminare l'eventuale applicabilità della sanzione prevista dall'art. 28 della legge n. 1860 del 1962 al caso sottoposto al suo esame, eventualità che, invece, sarebbe stato indifferibile considerare in quanto, dalla dichiarazione di illegittimità della norma impugnata, deriverebbe indubbiamente la reviviscenza della disciplina preesistente, cioè appunto della citata disposizione della legge n. 1860 del 1962.

L'Avvocatura, peraltro, non ha considerato che, ad avviso del giudice a quo, come sopra si é specificato, dalla dichiarazione di illegittimità della norma impugnata deriverebbe la cessazione di qualsiasi sanzione, ivi compresa, quindi, anche quella pur essa illegittima prevista dalla legge del 1962. E ciò, come é dato desumere dal contesto dell'ordinanza, in considerazione appunto della assunta relazione fra le due norme, indipendentemente da ogni problema circa la efficacia nel tempo della legge anteriore, che il giudice a quo ritiene, anzi, finora in vigore perché non sostituita da altra in materia di sanzioni.

Ciò posto, ed in conformità della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudizio di rilevanza é di stretta competenza del giudice a quo e non é suscettibile di sindacato in questa sede se, come nella specie, sia stato adeguatamente motivato, l'eccezione di irrilevanza formulata dall'Avvocatura va disattesa.

4. - Ciò premesso, la Corte rileva, anzitutto, che, dal contesto di ambedue le ordinanze in esame, si evince che l'art. 28 della legge n. 1860 del 1962, che ha stabilito la misura e la qualità delle sanzioni per omessa denunzia di materiale radioattivo e già espressamente richiamato nei rispettivi capi d'imputazione davanti ai giudici di merito, é stato considerato, nella sua attuale vigenza, come formante oggetto della questione di legittimità in connessione ed in relazione ai limiti della delega legislativa, con la quale detto art. 28 sarebbe venuto successivamente a contrastare. Le ordinanze, infatti, lo richiamano e lo comprendono in motivazione e nel dispositivo. Sicché, interpretando le ordinanze stesse nella unità del loro effettivo contenuto, la questione di legittimità deve intendersi come sostanzialmente estesa nei confronti del cennato art. 28.

Così precisato l'oggetto del giudizio, nella sua complessiva prospettazione, la Corte ritiene fondata la questione proposta.

Invero, una volta mutati con la legge delegante (n. 871 dei 1965) i presupposti per l'inflizione delle sanzioni e la misura delle stesse, il ripetuto art. 28 viene a difettare di coincidenza, sia con detti presupposti, sia (e ciò più da vicino interessa per la definizione del presente giudizio) con la misura delle sanzioni, che il legislatore delegante ha ritenuto dover essere sensibilmente modificata ed attenuata, indicandone i nuovi limiti, rispetto a quelli indicati nella legge del 1962.

Invece, la norma delegata (art. 1 d.P.R. n. 1704 del 1965), omettendo di regolare espressamente l'aspetto sanzionatorio della disciplina in esame, ha per implicito fatto proprio, e ritenuto perdurante, il sistema punitivo già contenuto nella legge del 1962, mentre la legge delegante (n. 871 del 1965) ne aveva ritenuto "necessario" un mutamento, anche nei riguardi della misura delle sanzioni.

Ne consegue che, per effetto della distorsione rilevata nel rapporto di delegazione, va dichiarata l'illegittimità dell'art. 28 della legge del 1962.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 31 dicembre 1962, n. 1860, sull'impiego pacifico dell'energia nucleare.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 novembre 1974.