Sentenza n. 121 del 1974
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SENTENZA N. 121

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 260 e 279 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 7 ottobre 1972 dal giudice tutelare presso la pretura di Asti nel procedimento di nomina di tutore per il minore Deremi Maurizio, iscritta al n. 404 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 del 7 febbraio 1973.

Udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 1974 il Giudice relatore Giulio Gionfrida.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento di nomina di tutore per il minore Maurizio Deremi (già Olivero), dichiarato figlio di ignoti ("a seguito di annotazione sui registri di stato civile della sentenza di disconoscimento di paternità ottenuta da Francesco Olivero e della cancellazione del nome della madre naturale Angela Palladino, per la natura adulterina del rapporto di filiazione") - il giudice tutelare presso la pretura di Asti, con ordinanza 7 ottobre 1972 - richiamata in premessa la giurisprudenza della Corte costituzionale circa la possibilità di sollevare questioni di legittimità anche nel corso di procedimenti di volontaria giurisdizione - ha di ufficio prospettato il dubbio di costituzionalità degli artt. 279 e 260 cod. civ., in riferimento all'art. 30, comma primo, della Costituzione.

Secondo il giudice a quo, sussisterebbe, invero, innanzitutto, contrasto tra l'art. 279 cod. civ. e l'art. 30 Costituzione, in quanto la norma del codice civile prevede a carico dei genitori adulterini il solo obbligo alimentare, laddove il precetto costituzionale indicato, nei confronti dei "figli nati fuori dal matrimonio", postula in ogni caso, senza distinguere secondo che siano o non riconoscibili, il più ampio "dovere di mantenere, educare ed istruire".

D'altra parte, l'imposizione di tale "dovere" (anche) al genitore adulterino - risolvendosi, secondo l'ordinanza, nell'attribuzione al genitore medesimo del potere funzionale corrispondente, e, quindi, della "patria potestà" - importerebbe l'estensione della situazione di illegittimità - per contrasto con l'art. 30 della Costituzione citato - anche nei riguardi dell'art. 260 cod. civ., nella parte in cui tale norma attribuisce, invece, l'esercizio della patria potestà "soltanto al genitore che ha riconosciuto il figlio minore".

Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza di cui sopra ed aperto il giudizio innanzi alla Corte, nessuna delle parti si é in questo costituita.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza, indicata in epigrafe, del giudice tutelare presso la pretura di Asti, sul presupposto che, riconosciuto al figlio adulterino il diritto al mantenimento, alla educazione e alla istruzione, al di lui genitore spetta la patria potestà, sussistendo la quale non va provveduto alla nomina di un tutore, solleva, con riferimento all'art. 30, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 279 del codice civile, in quanto limita agli alimenti il diritto del figlio adulterino.

Estende poi, sempre sul presupposto anzidetto, il dubbio di legittimità costituzionale all'art. 260 cod. civ., in quanto al genitore tenuto al mantenimento, all'educazione e all'istruzione del figlio adulterino non riconosce l'esercizio della patria potestà.

2. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 279 cod. civ. é fondata.

Questa Corte, con sentenza n. 118 di pari data, pur dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 279 cod. civ. sollevata con ordinanza del tribunale di Messina, il quale aveva ritenuto che tale norma contrastasse con l'art. 30, primo comma, della Costituzione in quanto limita alle tre ipotesi in essa previste il diritto agli alimenti, ha già rilevato che "la normativa dell'art. 30, espressa nei suoi commi maggiormente significativi ... denuncia un'intima complementarità e coerenza" e ne ha desunto che il costituente ha voluto attribuire il diritto al mantenimento, alla educazione e alla istruzione "ai figli naturali che (non riconosciuti o non legittimati) possono, secondo la legislazione vigente, giudizialmente ed a tutti i consentiti fini provare la paternità o la maternità", osservando che in tal modo "si é innovato nei confronti del sistema in quanto si é data la possibilità giuridica ai figli, nei casi e per le ipotesi di cui all'art. 279, di ottenere il mantenimento nei confronti dei genitori".

Pertanto l'art. 279 é illegittimo nella parte in cui al figlio adulterino, nelle tre ipotesi di cui allo stesso articolo, non riconosce il diritto al mantenimento, alla educazione e alla istruzione.

Tuttavia, proprio per l'esigenza di armonico coordinamento tra loro dei vari commi dell'art. 30 della Costituzione, in concreto non può non rilevare la tutela degli interessi facenti capo ai membri della famiglia legittima e costituzionalmente tutelati, tra i quali quello inerente al rispetto della personalità (art. 30, comma terzo, e art. 2 della Costituzione).

3. - Non fondata invece appare la questione prospettata concernente l'art. 260 del codice civile.

Di fronte al diritto al mantenimento, alla educazione e alla istruzione, di cui sopra si é detto, sta certamente una corrispondente situazione giuridica passiva, che, secondo il disposto dell'art. 30, primo comma, della Costituzione, si presta ad essere qualificata "diritto-dovere". Senonché da ciò non può assolutamente dedursi quanto assume il giudice a quo, e cioè che al genitore adulterino, sia pure tenuto a mantenere, educare ed istruire il figlio, spetti la patria potestà nei confronti di questo (in guisa da escludersi, nel caso concreto, la necessità della nomina del tutore).

Il presupposto su cui si basa l'ordinanza é palesemente erroneo. L'obbligo di mantenere, educare ed istruire la prole non é inseparabile dalla patria potestà, né la presuppone necessariamente. Basta considerare che esso, nell'ambito della filiazione legittima, quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, é a carico degli altri ascendenti (art. 148 cpv. cod. civ.), e che l'obbligo predetto non viene certamente meno nella ipotesi di decadenza del genitore legittimo o naturale dalla patria potestà a norma dell'art. 330 e dell'art. 260, comma secondo, del codice civile

Il vero é che la patria potestà del genitore nei confronti del figlio naturale non riconosciuto non può sorgere se non per effetto (art. 277 cod. civ.) della dichiarazione di paternità o maternità naturale, in dipendenza dell'esercizio dell'azione rispettivamente prevista dagli artt. 269 e 272 cod. civ., la quale, come già rilevato nella predetta decisione di questa Corte, é ben diversa, per presupposti ed oggetto, dall'azione di cui all'art. 279, anche se questa, in dipendenza della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale risultante da questa stessa pronuncia, può essere diretta al soddisfacimento del diritto al mantenimento, alla educazione e alla istruzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 279 del codice civile nella parte in cui, nei casi previsti dall'art. 278 e in ogni altro caso in cui non possa più proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, non riconosce al figlio naturale, nelle tre ipotesi indicate nello stesso articolo e in aggiunta al diritto agli alimenti, quello al mantenimento, alla educazione e all'istruzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 260 del codice civile sollevata, in riferimento all'art. 30, primo comma, della Costituzione, con ordinanza 7 ottobre 1972 del giudice tutelare presso la pretura di Asti.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,il 2 maggio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria l'8 maggio 1974.