Sentenza n. 102 del 1974
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SENTENZA N. 102

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI          

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 545 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 9 aprile 1973 dal pretore di Trieste nel procedimento civile vertente tra Anzalone Sumela ed altra e Martellani Lina, iscritta al n. 241 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 205 dell'8 agosto 1973.

Udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 1974 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - In un procedimento di esecuzione presso terzi promosso da Sumela Anzalone contro la sua debitrice Lina Martellani, dopo che, resa la dichiarazione da parte del terzo, la Anzalone ed altra creditrice, nel frattempo intervenuta, avevano chiesto l'assegnazione, fino alla concorrenza di un quinto, delle somme dovute dal terzo alla debitrice, il pretore di Trieste, "ritenendo che il legislatore nell'omettere di dichiarare impignorabile, nella espropriazione presso terzi, quella parte della retribuzione dovuta al debitore, che si ritenga indispensabile per lui e per i componenti della sua famiglia, abbia violato, al contempo l'art. 3, primo comma, e l'art. 31 della Costituzione", sollevava d'ufficio in riferimento a queste disposizioni la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 545 del codice di procedura civile, nella parte in cui la norma "pur fissando entro il limite di un quinto la pignorabilità delle somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario e di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, non fa salva una parte delle predette somme che si debba ritenere indispensabile per il debitore e i componenti la sua famiglia".

Rilevava che, confrontando le disposizioni di cui all'articolo 514 del codice di procedura civile, così come modificato dalla legge 8 maggio 1971, n. 302, con quelle contenute nel citato art. 545 dello stesso codice, appare del tutto evidente come il trattamento riservato dalla legge al debitore sia del tutto diverso a seconda che esso sia assoggettato al pignoramento dei beni mobili o a quello dei crediti vantati nei confronti di terzi; ed infatti, mentre nel primo caso alcuni beni ritenuti indispensabili al debitore e ai componenti della famiglia non possono essere in alcun modo pignorati, nel secondo caso nessuna riserva é fatta dal legislatore per garantire al debitore esecutato la conservazione di una parte dei crediti vantati, in relazione al rapporto di lavoro, che sia da ritenersi indispensabile per le necessità sue e della sua famiglia, sottraendola conseguenzialmente all'azione esecutiva esercitata dal creditore.

Osservava il pretore ancora che, onde far fronte a quella esigenza, non basta la previsione dei limiti alla pignorabilità delle somme dovute, perché ogni qualvolta per effetto del pignoramento la retribuzione percepita scenda al di sotto di un determinato livello, il rispetto di quei limiti non é sufficiente ad assicurare al debitore il minimo indispensabile per vivere.

E concludeva mettendo in evidenza che assicurare al debitore quel minimo, indispensabile per il raggiungimento degli scopi connaturali alla famiglia (in relazione all'art. 31 della Costituzione) e addirittura essenziale per la sopravvivenza della stessa, appariva ancor più necessario dopo che con la legge 8 maggio 1971, n. 302, di modifica dell'art. 514 del codice di procedura civile, si sono voluti perseguire in maniera più ampia e sicura fini di giustizia e solidarietà sociale.

2. - Davanti a questa Corte non si costituivano le parti e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. E pertanto la causa viene trattata in camera di consiglio a norma dell'art. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe il pretore di Trieste ritiene che contrasti con gli artt. 3, comma primo, e 31 della Costituzione, l'art. 545 del codice di procedura civile nella parte in cui la norma, "pur fissando entro il limite di un quinto la pignorabilità delle somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario e di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, non fa salva una parte delle predette somme che si debba ritenere indispensabile per il debitore e i componenti la sua famiglia".

2. - Relativamente alla norma contenuta nel quarto comma dell'art. 545 del codice di procedura civile, con ordinanza del 24 maggio 1967 del pretore di Brescia (reg. ord. n. 121/1967) é stato avanzato il dubbio che essa fosse in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto "il limite di un quinto, aprioristicamente fissato dal legislatore crea un ingiustificato livellamento di situazioni diverse e, cioè, una ingiusta parificazione tra lavoratori più o meno abbienti, senza tener conto delle esistenti disuguaglianze economiche e sociali", ed in particolare la privazione di un quinto della retribuzione é "gravemente pregiudizievole per quei lavoratori, privi di elasticità economica, a causa di una bassa retribuzione, appena sufficiente a soddisfare quelle necessità più immediate di vita, che devono ritenersi, secondo la norma in questione, prevalenti rispetto all'interesse dei creditori".

Quella denuncia di incostituzionalità della norma, con sentenza n. 20 del 1968, non é stata ritenuta fondata da questa Corte, la quale ha negato l'esistenza di una ingiustificata parificazione di situazioni diverse, e di un arbitrio nella norma impugnata solo perché essa non ha escluso gli stipendi e i salari più esigui, e per altro ha messo in evidenza che il legislatore, contenendo in limiti angusti la somma pignorabile e adottando il criterio della proporzionalità rispetto alla misura della retribuzione, si é dato carico del fatto che la privazione di una parte del salario é un sacrificio che può essere molto gravoso per il lavoratore scarsamente retribuito.

Ora, l'ordinanza indicata in epigrafe si basa in sostanza sulla medesima preoccupazione che ha spinto il pretore di Brescia a prospettare il detto dubbio di incostituzionalità: che la retribuzione del lavoratore possa essere talmente bassa da risultare appena sufficiente a soddisfare le necessità immediate di vita e che ciò nonostante debba sottostare ad una riduzione con il pignoramento del quinto.

Ma la questione é prospettata sotto un diverso profilo.

3. - La questione come sopra proposta non é fondata.

Non può ritenersi che siano violati gli artt. 3, comma primo, e 31 della Costituzione per il fatto che il citato art. 545, comma quarto, non avrebbe dichiarato impignorabile quella parte delle somme ivi indicate che si debba ritenere indispensabile per il debitore ed i componenti della sua famiglia, a differenza di quanto dispone, per l'espropriazione mobiliare, l'art. 514 (specie dopo la modifica di cui alla legge 8 maggio 1971, n. 302) circa le cose mobili assolutamente impignorabili.

Non ricorre l'asserito contrasto con il principio di eguaglianza, perché le normative di cui agli artt. 545 e 514, rispettivamente, non stanno a fronte di due distinte situazioni eguali o assimilabili alle quali razionalmente dovrebbe far riscontro una unica o omogenea disciplina giuridica. Nei due articoli, che fanno parte, il primo, del capo relativo all'espropriazione presso terzi ed il secondo, di quello relativo all'espropriazione mobiliare presso il debitore, il legislatore fa riferimento a due situazioni dei beni facenti parte del patrimonio del debitore esecutato, che in modo evidente sono diverse, in quanto attengono a cose mobili ovvero a crediti; e le disciplina logicamente in termini differenti. Lo stesso legislatore, però, nell'esercizio del potere che gli é riservato, di determinare i beni che possono formare oggetto di espropriazione forzata ed i limiti della espropriazione stessa (sentenza n. 88 del 1963), non manca, in sede di contemperamento dell'interesse del creditore con quello del debitore, di contenere in limiti sostanzialmente angusti le somme (cit. sentenza n. 20 del 1968) ovvero i crediti pignorabili. E non gli si può per ciò muovere il rilievo di non avere nella disciplina ex art. 545, tenuto presente l'ipotesi in cui, per effetto del pignoramento e nonostante i limiti di impignorabilità che sono fissati, la retribuzione scenda al di sotto di un determinato livello e non assicuri al debitore il minimo indispensabile per vivere.

Resta il fatto in sé, ed é ben possibile che esso si verifichi specie quando la retribuzione sia bassa, ma trattasi di un inconveniente che, per quanto socialmente doloroso, non dà luogo all'illegittimità costituzionale della normativa de qua.

Del resto possono riscontrarsi attenuazioni di quell'inconveniente solo che si consideri che il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, e che in caso di concorso di due o più forme di espropriazione e nei limiti in cui ciò sia in concreto consentito, il minimo di cui parla il giudice a quo, andrebbe ricercato in relazione al complesso dei beni (immobili, mobili, crediti) oggetto del processo di esecuzione; e che spesso l'obbligazione di cui si cerca il soddisfacimento, é correlata ad un incremento del patrimonio del debitore.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 545 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, comma primo, e 31 della Costituzione, dal pretore di Trieste con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 18 aprile 1974.