Sentenza n. 66 del 1974
 CONSULTA ONLINE 


 

SENTENZA N. 66

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI   

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, terzo e quarto comma, della legge 29 maggio 1967, n. 379 (Modificazione alle norme sulla riforma fondiaria), promosso con ordinanza emessa il 25 agosto 1971 dal tribunale di Avezzano nel procedimento civile vertente tra De Joris Enrico ed altri e l'Ente Fucino ed altri, iscritta al n. 393 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 304 del 1 dicembre 1971.

Visti l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'Ente Fucino;

udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1974 il Giudice relatore Edoardo Volterra;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Ente Fucino.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento civile vertente tra De Joris Enrico ed altri contro De Joris Mario ed altra nonché l'Ente Fucino, il tribunale d'Avezzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi terzo e quarto, della legge 29 maggio 1967, n. 379, in relazione agli artt. 3 e 42, commi terzo e quarto, della Costituzione.

La norma denunciata disciplina il subentro all'assegnatario, deceduto prima che sia stato pagato il prezzo di riscatto, nel rapporto di assegnazione e vendita del terreno di riforma, dei suoi discendenti in linea retta, o, in mancanza di questi, del coniuge di lui, sempre che abbiano i requisiti richiesti dal primo comma dell'art. 16 della legge 12 maggio 1950, n. 230. L'assegnazione é fatta all'avente diritto designato dal testatore, o, in mancanza di tale designazione, dai coeredi. In caso di disaccordo tra loro decide l'autorità giudiziaria, su istanza degli interessati o dell'Ente, con riguardo alle condizioni ed attitudini professionali.

Secondo il tribunale, se in occasione della originaria assegnazione sussiste solo un interesse legittimo in favore del richiedente, una volta avvenuta l'assegnazione, in caso di morte dell'assegnatario, i successibili hanno un vero e proprio diritto soggettivo perfetto al subentro, sempre che sussistano le condizioni di legge.

Sembra, quindi, al Collegio che il comma quarto della disposizione contrasti con gli artt. 3 e 42, commi terzo e quarto, della Costituzione. Detta norma, infatti, per il soddisfacimento delle quote di eredità in favore degli eredi, esclusi dall'assegnazione, attribuisce un diritto di credito, nei confronti dell'unico subentrante, nei soli limiti della somma risultante dall'ammontare delle annualità pagate dal dante causa, aumentato dell'incremento del valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti apportati dall'assegnatario deceduto. Il credito dei coeredi esclusi può anche essere pagato in rate, comprensive dell'interesse legale, in un periodo di 10 anni. Ciò mentre la stessa legge n. 379 del 1967 sottolinea esplicitamente la differenza tra "il prezzo politico di assegnazione" e l'effettivo valore del fondo, ad avvenuto riscatto. Infatti, l'art. 4 del testo collega il prezzo di vendita, dopo il riscatto, alla volontà del proprietario sia pur condizionandola a limiti di congruità determinati dall'Ispettorato provinciale dell'agricoltura.

Verrebbe, così, a determinarsi una disparità di trattamento tra soggetti che pur il legislatore pone sullo stesso piano dei diritti e ciò in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Ed anche a voler ritenere che l'assegnazione in favore di uno solo dei coeredi costituisca una forma anomala di esproprio in danno degli altri, per altro verso la norma impugnata violerebbe la Costituzione e propriamente il comma terzo dell'art. 42, in quanto l'indennizzo corrisposto agli esclusi sarebbe enormemente sproporzionato rispetto all'effettivo valore del bene.

Il contrasto con l'ultimo comma dell'art. 42 della Costituzione discenderebbe poi dalla circostanza per cui il legislatore avrebbe disciplinato una forma di successione, relativamente a soggetti posti sullo stesso piano, in modo da favorire sproporzionatamente uno di loro con danno degli altri.

Si lamenta infine che il più volte menzionato art. 7 della legge 379 del 1967 al terzo comma sancisca che, in caso di disaccordo tra coeredi, decide l'autorità giudiziaria "con riguardo alle condizioni ed attitudini personali".

Tale disposto violerebbe l'ultimo comma dell'art. 42 della Costituzione, che assegna al legislatore il compito di fissare le norme sulla successione legittima e testamentaria. Invece, nella specie, é rimessa all'arbitrio del giudice la designazione di colui che deve succedere nel rapporto di assegnazione, non potendosi escludere, a priori, che sussistano, in fatto, delle situazioni omologhe. Il legislatore, in proposito, si é limitato ad indicare il criterio delle "condizioni ed attitudini personali" criterio che lascia ampio campo al potere discrezionale che non dovrebbe essere consentito al giudice, in tema di diritti soggettivi perfetti.

2. - L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per concludere per l'infondatezza della questione.

Secondo l'Avvocatura l'assegnazione delle terre nelle zone di riforma fondiaria affonda le sue radici nel pubblico fine perseguito dalle leggi sulla riforma fondiaria, talché essa viene a coincidere con i fini pubblici dell'Ente.

Il rapporto principale tra Ente e coltivatore avrebbe quindi, carattere pubblico e dovrebbe essere inquadrato nel più ampio schema delle concessioni; in questa sfera pubblicistica si inserirebbe anche il rapporto contrattuale in senso stretto, ma i correlativi diritti e gli obblighi derivanti fra le parti resterebbero sempre subordinati al fine pubblico perseguito dall'Ente, fine pubblico che acquista rilevanza decisiva nella causa del rapporto pattizio.

É solo al momento del pagamento di tutte le rate che l'assegnatario acquisterebbe la proprietà completa della cosa come se l'avesse appunto acquistata a rate, ma durante il periodo trentennale stabilito per l'ammortamento del prezzo eserciterebbe un potere di fatto a titolo di godimento, non di proprietà, quale detentore e non possessore del fondo.

La particolare situazione conseguente alla "assegnazione" dispiegherebbe i suoi effetti anche per quanto riguarda il c.d. "subentro" all'assegnatario morto prima del riscatto, "subentro" che, sebbene sia stato ritenuto dia luogo ad una forma di successione anomala, in realtà, tenendo conto dei principi informatori del sistema nonché della natura della originaria assegnazione, si attuerebbe al di fuori degli schemi tipici della successione, sia legittima, sia testamentaria.

Rettamente inquadrato l'istituto del c.d. "subentro", ben si intenderebbe come nessuna delle censure di illegittimità costituzionale possa ritenersi fondata, in quanto la posizione dei coeredi é particolare: tutti hanno diritto ad essere preferiti nell'assegnazione rispetto ai terzi, ma nei rapporti interni sono titolari di una mera aspettativa ad essere scelti.

Pertanto nessuna ingiustificata disparità di trattamento verrebbe a determinarsi per il fatto che i coeredi esclusi hanno diritto a concorrere solamente sulla quota di ammortamento e sull'aumento di valore arrecato al fondo dal momento che ciò che é caduto in successione non sarebbe il bene - fondo ma il bene - quota d'ammortamento (più l'eventuale aumento di valore).

Né certamente potrebbe parlarsi di violazione dell'art. 42, comma terzo, della Costituzione (per essere l'indennizzo corrisposto agli esclusi sproporzionato rispetto all'effettivo valore del bene) dal momento che la somma sulla quale si apre il concorso dei coeredi non costituirebbe un indennizzo per una espropriazione forzata dal fondo assegnato, perché il fondo stesso non é mai entrato nel patrimonio dei coeredi, mentre la somma a questi ultimi attribuita sarebbe solamente una parte dell'eredità del de cuius attribuita in via successoria.

Una volta, poi, esclusa la natura successoria del "subentro", sarebbe evidente l'erroneità di prospettare la violazione dell'art. 42, ultimo comma, della Costituzione.

Anche a volersi attenere alle prospettazioni seguite nell'ordinanza di rimessione, non sarebbe difficile intendere l'inconsistenza dei dubbi di legittimità costituzionale che il tribunale ha ritenuto di sollevare, in quanto nella successione cadrebbe solamente la quota di ammortamento, avendo riguardo l'intero sistema delle leggi relative alla riforma fondiaria in ordine al prezzo di assegnazione che, ovviamente, prescinde dalla valutazione diversa che possa farsi del terreno secondo calcoli correnti.

In sostanza l'errore di fondo del ragionamento seguito dal tribunale di Avezzano, risiederebbe nel fatto di non aver considerato che al momento dell'apertura della successione non sono in questione i diritti dominicali su di un fondo, ma i diritti discendenti da un particolare rapporto determinabili nel loro valore con riferimento all'ammontare delle annualità versate dal dante causa più gli eventuali incrementi del fondo medesimo.

Del resto, l'ordinamento già conoscerebbe discipline analoghe, così come nella legislazione relativa alle case popolari ed a quelle costruite con il concorso finanziario dello Stato, che demanda all'autorità giudiziaria la scelta dell'erede assegnatario dell'alloggio; in successione, cioè entra la quota di ammortamento già pagata dal de cuius e solo su di essa vanno soddisfatte le ragioni degli altri coeredi, prescindendo dal valore venale che potrebbe avere (ma non ha, perché bene fuori commercio) l'alloggio al momento della successione.

Quanto, poi, al denunciato contrasto della norma impugnata con il terzo comma dell'art. 42 della Costituzione si rileva come non sia dato ravvisare in alcun modo, nel sistema predisposto dal legislatore, una "forma anomala di espropriazione" e tanto meno un "indennizzo... enormemente sproporzionato all'effettivo valore del bene".

Quanto, infine, al ventilato contrasto della norma denunciata con il quarto comma dell'art. 42 della Costituzione sotto il già accennato profilo che il potere - dovere concesso al giudice di stabilire chi debba subentrare nel rapporto di assegnazione, tenendo conto delle "condizioni ed attitudini personali", inciderebbe inammissibilmente sulla sfera giuridica pienamente protetta dei coeredi esclusi dal subentro, si rileva, fermo quanto già osservato in ordine alla inipotizzabilità stessa di una "successione" nel c.d. "subentro", che la Carta rinvia alla legge per fissarne "le norme ed i limiti" e con la norma denunciata il legislatore demanda al giudice di scegliere, nell'ambito di un corretto e logico criterio direttivo, chi debba subentrare nel rapporto di assegnazione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il giudice a quo solleva la questione di legittimità costituzionale rispetto all'art. 7, commi terzo e quarto, della legge n. 379 del 1967 in riferimento agli articoli 3 e 42, commi terzo e quarto, della Costituzione, sostenendo che, ai termini della norma impugnata, mentre, in occasione dell'assegnazione originaria del terreno da parte dell'ente riforma, esiste solo un interesse legittimo a favore del richiedente, una volta avvenuta l'assegnazione, i successibili dell'assegnatario deceduto prima del riscatto avrebbero invece un diritto soggettivo perfetto di subentrare in sua vece nell'assegnazione, sempre che sussistano riguardo ad essi, le condizioni di legge.

Partendo da queste premesse, il tribunale di Avezzano ritiene che il quarto comma del citato art. 7 della legge n. 379 del 1967, attribuendo agli eredi esclusi dall'assegnazione nei confronti dell'unico subentrante un diritto di credito nei limiti della somma risultante dall'ammontare delle annualità pagate dal dante causa, aumentata dell'incremento del valore del fondo per effetto dei miglioramenti apportati dall'assegnatario deceduto, creerebbe una disparità di trattamento fra coeredi che il legislatore pone sullo stesso piano dei diritti con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Sempre secondo il giudice a quo l'assegnazione in favore di uno solo dei coeredi costituirebbe una forma sia pure anomala di esproprio senza corrispondente indennizzo in contrasto con l'art. 42 comma terzo della Costituzione, in quanto la somma corrisposta agli esclusi sarebbe del tutto sproporzionata al valore effettivo del bene. La disposizione del terzo comma del più volte citato art. 7 della legge n. 379 del 1967, il quale dispone che in caso di disaccordo fra coeredi, la decisione circa l'assegnazione del fondo e la scelta dell'assegnatario spetti all'autorità giudiziaria con riguardo alle condizioni ed attitudini di questo, violerebbe l'ultimo comma dell'art. 42 della Costituzione che assegna al legislatore il compito di fissare le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria.

2. - La questione é infondata. La premessa da cui parte l'ordinanza in epigrafe é errata in quanto l'assegnazione dei terreni fatta dagli speciali enti di riforma fondiaria non é identificabile con negozi di diritto privato, ma si differenzia nettamente da questi avendo finalità di natura pubblicistica e comportando una regolamentazione diretta al conseguimento di tali scopi.

L'assegnatario nel periodo intercorrente fra l'assegnazione ed il pagamento integrale delle annualità previste non ha sul terreno assegnato un diritto di proprietà o altro diritto reale (art. 17 della legge n. 230 del 1950), essendo, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Cassazione, detentore dell'immobile ed esercitando su questo un potere di fatto a titolo di godimento. I soli beni che per effetto dell'assegnazione operata a suo favore entrano nel suo patrimonio prima del riscatto sono, oltre al credito relativo alle quote di ammortamento versate, anche l'eventuale aumento del valore del fondo per effetto dei miglioramenti da lui apportati.

Pertanto, nel caso di decesso dell'assegnatario nel periodo anteriore al riscatto, oggetto di successione a favore dei suoi eredi non possono essere diritti dominicali sul fondo che il defunto non aveva, ma diritti che in conseguenza dell'assegnazione esistevano nel suo patrimonio e che sono stati sopra indicati, cioè il credito relativo alla somma risultante dall'ammontare delle quote di ammortamento versate e dall'eventuale aumento del valore del fondo.

Questi diritti successori sono pienamente riconosciuti e tutelati nell'art. 7 della legge n. 379 del 1967.

Gli eredi testamentari e legittimi non subentrano per proprio diritto successorio nell'assegnazione del fondo, assegnazione che é atto amministrativo compiuto dall'ente di riforma. Nel caso di morte dell'assegnatario prima del riscatto il legislatore disciplina l'assegnazione nel rispetto delle finalità pubblicistiche della riforma fondiaria e dell'esigenza che per la realizzazione di tali finalità il fondo sia assegnato ad un solo soggetto, in modo che siano tutelate anche quelle che possono essere le aspettative dei discendenti in linea retta e, in mancanza di questi, del coniuge, assicurando loro, ove sia possibile, una priorità, rispetto ad altri, nell'assegnazione.

Il citato art. 7 dispone infatti che l'assegnazione venga fatta in primo luogo al discendente designato dal testatore che abbia i requisiti richiesti dall'art. 16 della legge 230 del 1950: in mancanza di designazione testamentaria, al discendente diretto che abbia i medesimi requisiti e che venga designato dai coeredi. In caso di disaccordo, su istanza degli interessati o dell'ente di riforma, l'autorità giudiziaria decide, designando in base alle condizioni e alle attitudini personali, il discendente diretto che debba essere preferito nell'assegnazione.

In mancanza di discendenti in linea diretta ovvero se i medesimi non hanno i requisiti di cui al citato art. 16 subentra il coniuge non separato sempre che abbia i suddetti requisiti. Se nessuno ha tali requisiti o non sia disposto a subentrare, il fondo ritorna all'ente perché questo disponga l'assegnazione ad altri, assicurando sempre il rimborso agli eredi del precedente assegnatario delle annualità da questo versate e il pagamento dell'indennità per l'eventuale aumento di valore del fondo in conseguenza dei miglioramenti dallo stesso apportati.

Questa normativa regolatrice della nuova assegnazione non incorre in alcun vizio di costituzionalità. Non é in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto non crea alcuna disparità fra coeredi, riconoscendo a tutti costoro i diritti successori sui beni esistenti nel patrimonio del de cuius al momento della sua morte in conseguenza dell'assegnazione del fondo a lui fatta dall'ente di riforma, cioè, come si é detto, il credito relativo alla somma risultante dall'ammontare delle quote di ammortamento versate e dall'eventuale aumento di valore del fondo. La disciplina del subentro rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore e, nel rispetto della priorità nell'assegnazione che esso intende attuare a favore dei discendenti diretti e in loro mancanza del coniuge dell'assegnatario defunto, pone tutti costoro in condizione di parità nel compimento dell'atto amministrativo di assegnazione avente finalità pubblicistiche.

Non contrasta nemmeno con l'art. 42, comma terzo, della Costituzione in quanto la norma impugnata non dispone né potrebbe disporre alcun esproprio del fondo non essendo questo in proprietà del de cuius e non facendo quindi parte dei beni del patrimonio ereditario.

Non sussiste contrasto fra la norma impugnata e l'art. 42, comma quarto, della Costituzione in quanto la normativa dell'art. 7 della legge n. 379 del 1967 che regola il subentro nel modo che si é in precedenza indicato, non riguarda la materia successoria, ma disciplina una procedura relativa alla formazione di un atto amministrativo di un ente pubblico, il cui esercizio non modifica i diritti dei successibili sui beni che sono nel patrimonio del de cuius.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi terzo e quarto, della legge 29 maggio 1967, n. 379 (Modifiche alle norme sulla riforma fondiaria), sollevata dall'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 marzo 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 13 marzo 1974.