Sentenza n. 46 del 1974
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SENTENZA N. 46

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 460 del codice di procedura civile e degli artt. 57 e 58 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 (Testo unico delle norme sugli assegni familiari), promosso con ordinanza emessa il 6 ottobre 1971 dal tribunale di Casale Monferrato nel procedimento civile vertente tra la società cooperativa Cantina Sociale Sette Colli e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 469 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37 del 9 febbraio 1972.

Visti gli atti di costituzione della Cantina Sociale Sette Colli e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;

udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1974 il Giudice relatore Paolo Rossi;

uditi l'avv. Maria Luisa Zavattaro Ardizzi, per la Cantina Sociale Sette Colli, e gli avvocati Antonio Giorgi e Sergio Traverso, per l'INPS.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un giudizio d'opposizione a decreto ingiuntivo, emanato per omessi contributi previdenziali, essendo stata eccepita l'inammissibilità dell'opposizione perché non preceduta da tempestivo ricorso amministrativo, il tribunale di Casale Monferrato ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 113, primo e terzo comma, della Costituzione, questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 460 c.p.c., 57 e 58 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, nella parte in cui sanciscono l'improponibilità dell'azione giudiziaria in materia previdenziale quando non sia stato proposto nel termine di 120 giorni, stabilito a pena di decadenza, il ricorso amministrativo previsto dalla legge speciale, o finché non siano esauriti i conseguenti procedimenti.

Osserva il giudice a quo che la normativa impugnata dà luogo ad un ingiustificato privilegio a favore dell'INPS in quanto concedendo agli interessati il termine di 120 giorni per ricorrere al Comitato speciale per gli assegni familiari contro i provvedimenti dell'Istituto, ed un ulteriore termine breve per impugnare la decisione collegiale dinanzi al Ministro per il lavoro, consentirebbe l'azione giudiziaria solo dopo la comunicazione della decisione di quest'ultimo ricorso, subordinandone però la proposizione ad altro breve termine di decadenza.

Tale sistema contrasterebbe con l'art. 113 della Costituzione, non potendosi ammettere che la tutela giurisdizionale dei diritti sia condizionata al preventivo esperimento di ricorsi amministrativi specie quando si tratti di tutelare, come nella specie, beni di natura individualistica. Soggiunge quindi l'ordinanza di remissione che anche aderendo al principio affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 47 del 1964), secondo cui spetta al legislatore ordinario stabilire i modi e i tempi della tutela dei diritti, tuttavia le discipline speciali devono avere sempre una razionale ed adeguata giustificazione, che non sarebbe ravvisabile nella specie in quanto ai maggiori oneri imposti al privato non gli corrisponderebbe alcun reale beneficio come effetto del previo esperimento dei ricorsi amministrativi. Nel contempo le preclusioni stabilite costituirebbero, sul piano operativo, un serio ostacolo alla tutela giurisdizionale, come dovrebbe emergere dal rilevante numero di sentenze d’impromovibilità. Sotto tale profilo la normativa impugnata violerebbe anche l'art. 24 della Costituzione, rendendo eccessivamente difficile la difesa dei diritti, il cui esercizio é sottoposto a brevi termini di decadenza.

Si sono costituiti in questa sede la Cantina Sociale Sette Colli e l'INPS, rappresentati, rispettivamente, dagli avvocati M. L. Zavattaro Ardizzi, ed A. Giorgi e S. Traverso, con atti di deduzioni depositati il 20 dicembre 1971 ed il 29 febbraio 1972, chiedendo, la prima, una dichiarazione d'incostituzionalità delle norme impugnate, ed istando, il secondo, per una pronuncia di infondatezza.

La difesa della Cantina Sociale, nel richiamarsi alle argomentazioni svolte dal giudice a quo soggiunge che non é ravvisabile un interesse della pubblica Amministrazione che possa costituire valida giustificazione dei limiti apposti dalle norme impugnate al diritto di difesa dei cittadini.

La difesa dell'INPS premette, in fatto, che con verbale d'ispezione del 2 maggio 1969 venne accertata un'omissione contributiva da parte della Cantina Sociale Sette Colli, con contestuale invito a regolarizzare il debito in via bonaria, e che la successiva diffida raccomandata del 3 giugno 1969 rimase senza esito. Soltanto il 27 aprile 1970, decorso da molto tempo il termine di 120 giorni previsto dall'art. 57 del t.u. 30 maggio 1955, n. 797, la Cantina Sociale propose il prescritto ricorso amministrativo, consentendo in tal modo ad esso Istituto di ottenere dal Presidente del tribunale decreto ingiuntivo per il pagamento del dovuto, e di eccepire, in sede di giudizio d'opposizione, l'inammissibilità dell'opposizione per mancato tempestivo esperimento dell'apposito ricorso.

Nel merito viene preliminarmente rilevato come la questione ora riproposta sia stata già dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 47 del 1964, che ha affermato principi idonei a contrastare tutte le osservazioni formulate dal giudice a quo, sulle quali non occorre quindi soffermarsi analiticamente. Soggiunge in proposito la difesa dell'INPS che la temporanea improponibilità della domanda giudiziale costituisce regola vigente anche nei settori fondamentali del contenzioso amministrativo e tributario, e che essa opera, nella materia previdenziale, proprio al fine di facilitare la "composizione in sede amministrativa" voluta dalla legge anche perché meno costosa e più agile. D'altronde il ricorso alla procedura amministrativa costringe l'Ente a riesaminare la materia e non vincola in alcun modo il giudice ordinario, sicché non rappresenta la tutela di un privilegio dell'Ente, ma realizza una finalità pubblica.

In contrasto con quanto enunciato dal giudice a quo, la difesa dell'INPS sottolinea inoltre che i ricorsi in materia di assegni familiari, per effetto del rinvio operato dall'art. 58 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, sono disciplinati dagli artt. 97, 98, 99 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 (cvt. in legge 6 aprile 1936, n. 1155), modificati con legge 5 febbraio 1957, n. 18 (Cass. sez. un. civ. 11 aprile 1964, n. 849 e 25 maggio 1971, n. 1536). Secondo tali norme l'azione giudiziaria può essere proposta solo ove l'interessato abbia impugnato in via amministrativa i provvedimenti dell'Ente, entro 120 giorni dalla relativa comunicazione, e l'azione stessa va esercitata nel termine di decadenza di 30 giorni, decorrente dalla notifica della decisione di secondo grado. In caso di mancata decisione, il privato, pur rimanendo assoggettato al solo termine di prescrizione, può proporre l'azione giudiziaria decorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso, giacché l'inerzia della p.a. vale come silenzio - rigetto.

Conseguentemente, eliminata la possibilità che l'eventuale inerzia dell'Ente possa pregiudicare il privato, la congrua durata dei termini esclude che la tutela giudiziale sia resa eccessivamente gravosa, in violazione dell'art. 24 della Carta, secondo i criteri ripetutamente enunciati dalla stessa giurisprudenza costituzionale.

Alla pubblica udienza le parti hanno insistito nelle conclusioni prese.

 

Considerato in diritto

 

La Corte é chiamata a decidere se contrastino o meno con il diritto all'azione e con il principio che garantisce la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi contro gli atti della pubblica amministrazione (artt. 24 e 113, primo e terzo comma, Cost.) gli artt. 460 c.p.c., 57 e 58 d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, nella parte in cui condizionano l'esercizio dell'azione giudiziaria in tema di assegni familiari alla previa proposizione di un ricorso amministrativo, e stabiliscono brevi termini di decadenza per proporre l'azione giudiziaria.

La questione é infondata.

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare, proprio con riferimento alle norme che disciplinano i ricorsi in tema di assegni familiari (artt. 97, 98, 99 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, richiamati dall'impugnato art. 58 citato d.P.R. n. 797 del 1955), che il principio, secondo cui la tutela giurisdizionale é garantita contro gli atti della pubblica amministrazione, non vieta che la legge ordinaria possa regolare il modo di esercizio del diritto a quella protezione (sent. n. 47 del 1964).

Le norme denunziate pongono l'onere del procedimento preliminare nel presupposto che l'Istituto nazionale della previdenza sociale, quale pubblica amministrazione, si conformi a legalità, adempiendo alle prestazioni dovute senza bisogno di esservi costretto mediante sentenza di condanna. La normativa in esame tende a far portare alla cognizione del giudice le sole controversie non eliminabili in via amministrativa, il che non vuol dire affatto escludere o limitare la tutela giurisdizionale. Né vale il rilievo che condizionandosi l'azione all'espletamento di un procedimento amministrativo, ne viene procrastinato l'esercizio. Invero, da un lato, come questa Corte ha già più volte ritenuto, sono legittime le norme che subordinano, in casi determinati e per ragionevoli motivi, l'esercizio dell'azione giudiziaria all'esperimento di una procedura amministrativa (sent. n. 47 del 1964). D'altro canto non v'é pericolo che l'inerzia o le lungaggini della pubblica amministrazione possano procrastinare intollerabilmente la tutela giudiziale dei diritti: per il combinato disposto degli impugnati artt. 57 e 58 d.P.R. n. 797 del 1955 e degli artt. 97, 98, 99 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, alla stregua della comune recente interpretazione giurisprudenziale, in caso di omessa pronuncia sul ricorso promosso dall'interessato, il procedimento amministrativo deve ritenersi concluso allo scadere del novantesimo giorno dalla proposizione del ricorso, con l'ulteriore conseguenza, in tale ipotesi, di proponibilità dell'azione giudiziaria senza che corra alcun termine di decadenza.

Né l'adempimento dell'onere in esame può considerarsi a priori uno svantaggio del titolare delle prestazioni previdenziali: la procedura amministrativa, infatti, rappresenta in molti casi il modo di soddisfazione della pretesa più pronto e meno dispendioso.

Per quanto attiene, infine, alla prospettata violazione dell'art. 24 della Costituzione, basta ricordare che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte la brevità di un termine per configurare un vizio d'illegittimità della norma che lo prevede, deve essere tale "da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce" (sent. n. 10 del 1970). Ora non può dirsi che i termini in contestazione - quello di 120 giorni per presentare il ricorso amministrativo, e l'altro di 30 giorni per la proposizione dell'azione giudiziaria, decorrente dalla ricezione della decisione ministeriale - siano tali da frustrare le esigenze di protezione giurisdizionale dell'interessato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 460 del codice di procedura civile, 57 e 58 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 (Testo unico sugli assegni familiari), sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 113, primo e terzo comma, della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 febbraio 1974.