Sentenza n. 40 del 1974
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SENTENZA N. 40

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 489 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 2054 del codice civile ed agli artt. 282, 283 e 373 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 1971 dal tribunale di Rovereto nel procedimento penale a carico di Fait Orlando, iscritta al n. 335 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 290 del 17 novembre 1971.

Udito nella camera di consiglio del 22 novembre 1973 il Giudice relatore Ercole Rocchetti.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 13 luglio 1971 nel procedimento penale a carico di Fait Orlando, il tribunale di Rovereto ha proposto, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, due distinte questioni di legittimità costituzionale sull'art. 489 del codice di procedura penale, che concerne le disposizioni della sentenza penale di condanna relative agli interessi civili.

La prima questione investe il citato art. 489, in correlazione con l'art. 2054 del codice civile, nella parte in cui non consente l'applicazione in sede penale, benché ai soli effetti civili, delle presunzioni previste dalla legge in tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli. Osserva il giudice a quo che il danneggiato, mentre può fruire, in sede civile, a seconda della particolarità del caso concreto, della presunzione di colpa esclusiva a carico del danneggiante, ovvero della presunzione di pari colpa concorrente, in sede penale deve praticamente soggiacere alla regola generale per cui l'onus probandi incombe sull'accusa. La stessa situazione giuridica, a seconda che la parte lesa eserciti l'azione riparatoria nel giudizio penale o in sede civile, sarebbe secondo il tribunale di Rovereto arbitrariamente regolata in modo difforme, in contrasto con il principio di uguaglianza tutelato dall'art. 3 della Costituzione.

La seconda questione riguarda l'art. 489 c.p.p., in correlazione con gli artt. 282, 283 e 373 del codice di procedura civile, i quali stabiliscono, di regola, l'esecutività della sentenza, benché ricorribile in Cassazione, e l'eseguibilità provvisoria della sentenza appellabile. La diversa disciplina normativa dei provvedimenti civili pronunciati dal giudice penale, i quali diventano esecutivi solo col passaggio in giudicato della sentenza, sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione perché, secondo il giudice a quo, la disparità non risulterebbe giustificata da una razionale motivazione.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parti, né intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri e, pertanto, la causa viene decisa in camera di consiglio ai sensi dell'art. 9 delle Norme integrative.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il tribunale di Rovereto ha deferito alla Corte l'esame di due questioni di costituzionalità afferenti l'art. 489 del codice di procedura penale che regola la materia della liquidazione dei danni a favore della parte lesa che si é costituita parte civile e ne ha fatto richiesta.

2. - La prima questione é posta in riferimento all'art. 3 della Costituzione ed investe l'art. 489 nella parte in cui questo darebbe luogo a una differenza di trattamento in tema di liquidazione dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli senza guida di rotaie, a seconda che la liquidazione stessa avvenga in sede penale ovvero in successivo e separato giudizio civile. Ciò, perché, mentre nella prima ipotesi la liquidazione sarebbe operata sulla base dell'accertamento penale, in cui l'onere della prova incombe all'accusa, nella seconda essa verrebbe invece effettuata in base ai principi civilistici dell'onere della prova a carico di chi propone la domanda o l'eccezione e - nel caso de quo - con l'ausilio delle presunzioni di cui al primo e al secondo comma dell'art. 2054 del codice civile. Il detto articolo pone a carico del conducente, autore dell'evento dannoso, la prova di aver fatto tutto il possibile per evitarlo e, nel caso di scontro di veicoli, presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso in modo eguale a produrre il danno subito dai singoli veicoli.

3. - Secondo il giudice a quo, la difformità della valutazione apparirebbe particolarmente evidente quando si verta in tema di scontro tra veicoli.

In tal caso, allorché si procede alla liquidazione del danno e la colpa della parte lesa non risulti sufficientemente provata, si dovrebbe, in sede penale, escludere il concorso e condannare l'imputato all'intero risarcimento, mentre, in sede civile, applicandosi la presunzione di cui all'art. 2054 c.c., si dovrebbe ritenere il concorso e limitare l'ammontare del risarcimento alla metà.

4. - La questione non é fondata.

Non é dubbio che l'azione che la parte civile propone nel giudizio penale é l'azione che ad essa spetta in base alle leggi civili. Ciò é detto espressamente nell'art. 185 c.p.p. a proposito della restituzione cui l'autore del reato é obbligato, secondo ivi si precisa, "a norma delle leggi civili". E non c'é alcuna ragione per dubitare che il principio della derivazione da quelle stesse leggi valga anche per quanto concerne il risarcimento del danno prodotto dal reato (2043 c.c.).

L'azione civile che, ai sensi dell'art. 91 c.p.p., si inserisce nel processo penale, collocandosi in esso in via accessoria e, in qualche modo, subordinata, non può perdere, per effetto di quella inserzione, né le sue caratteristiche sostanziali, quale ad esempio, la disponibilità, né quelle attinenti alla sfera processuale che le é propria, quali il principio della domanda, il limite del petitum e il suo stesso sistema probatorio.

Ne discende che il giudice penale, allorché, applicati i principi propri del processo penale e pervenuto, a seguito dell'accertamento dei fatti, alla condanna dell'imputato, passa a decidere delle domande civili di restituzione e di risarcimento, é tenuto a fare applicazione dei principi che regolano l'azione civile. E come non si dubita che egli debba decidere solo se vi é la domanda della parte e non oltre i limiti di questa, così non può nemmeno dubitarsi che egli debba rispettare i principi relativi all'onere della prova e debba tra gli altri applicare l'art. 2054 del codice civile.

Egli fonderà quindi gli accertamenti da compiere ai fini dell'esame dell'azione civile su quelli compiuti in sede penale, ma quando, per il differente regime probatorio, dovesse pervenire a risultati diversi, se ne discosterà, senza che da ciò derivi alcun contrasto logico che possa rendere perplesso il contenuto della decisione, in rapporto alla quale, se discordanza c'é, essa deriva dalla legge che risponde a principi della cui razionalità non si discute e non si dubita.

L'eventuale discordanza che ne derivasse tra le due parti di una stessa sentenza non implicherebbe perciò contraddittorietà di giudicati e non sarebbe comunque più rilevante di quanto non lo sia se le decisioni, relative a una stessa fattispecie costituente reato e produttiva di danni, vengano assunte in due diversi giudizi, quello penale e quello civile instaurati separatamente e successivamente.

Dato quanto sopra, e che cioè alle due azioni, la penale e la civile, anche se congiuntamente esercitate, vadano applicati principi propri a ciascuna di esse, la sollevata questione di costituzionalità, basata su premesse diverse, deve essere dichiarata non fondata.

5. - Anche la seconda questione di legittimità costituzionale investe la disciplina disposta dall'art. 489, sotto il diverso aspetto del regime concernente l'esecutività della sentenza. La ordinanza di rimessione osserva che, mentre nel processo civile é consentito al giudice di dichiarare provvisoriamente esecutiva la decisione di primo grado (art. 282 c.p.c.) ed il ricorso per Cassazione non sospende quella pronunziata in grado di appello (art. 373 c.p.c.), le disposizioni della sentenza di condanna relativa ai danni, emessa in un processo penale, acquistano forza esecutiva solo dopo il passaggio in giudicato. Questa difformità di regime darebbe luogo, secondo il giudice a quo, alla violazione dell'art. 3 della Costituzione.

La questione non é fondata, giacché rientra nella discrezionalità del legislatore statuire i casi ed il momento in cui la sentenza diventa titolo esecutivo e non può ritenersi irrazionale la scelta del legislatore di assoggettare ad unicità di regime la sentenza emessa in un processo penale, senza distinguere le sue disposizioni, secondo che cadano sull'azione penale ovvero su quella civile. Giova peraltro osservare che la recente legge 15 dicembre 1972, n. 773, introducendo in materia una notevole innovazione per quanto riguarda l'assegnazione di una provvisionale, ha attenuato la rigidità di siffatta disciplina.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 489 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 2054 del codice civile, proposta dal tribunale di Rovereto, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 489 del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 282, 283 e 373 del codice di procedura civile, proposta con la stessa ordinanza, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 febbraio 1974.