Sentenza n. 32 del 1974
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SENTENZA N. 32

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2233, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 25 maggio 1971 dal pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Brunoro Cecilia e Frankel Guglielmo, iscritta al n. 278 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 dicembre 1973 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da Cecilia Brunoro contro il dott. Guglielmo Frankel, il pretore di Bologna, con ordinanza del 25 maggio 1971, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 24, comma secondo, e 101, comma secondo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art.2233, comma primo, del codice civile, nella parte in cui la norma dispone che, qualora non sia convenuto dalle parti e non possa essere determinato secondo le tariffe e gli usi, il compenso dovuto al prestatore d'opera "é determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene". E ciò per i seguenti motivi:

A) Premesso che il detto parere deve essere richiesto anche nell'ipotesi (ricorrente nella specie) in cui le tariffe professionali esistono ma prevedono solo i minimi e quindi in base ad esse il compenso non può essere determinato, il pretore ha ritenuto che il parere (obbligatorio, anche se non vincolante) costituisca atto del processo e che quindi nel relativo procedimento di formazione da parte dell'ordine professionale, dovrebbe essere garantito il contraddittorio delle parti.

Dato poi che, nella specie (trattandosi di compenso dovuto ad un odontoiatra), non esistono norme che stabiliscono il procedimento che deve seguire l'ordine dei medici per elaborare il parere, e comunque non é previsto né possibile in pratica alcun contraddittorio in particolare nei confronti del cliente del professionista, e che le cose stanno in analoghi termini in ogni altra ipotesi in cui le norme relative al funzionamento del singolo ordine o collegio non prevedano alcuna forma di contraddittorio al fine della emissione del parere, secondo il pretore di Bologna la norma denunciata sarebbe anzitutto in contrasto con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

B) Un ulteriore vizio di legittimità costituzionale dell'articolo 2233, comma primo, esisterebbe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Secondo il pretore di Bologna, il giudice chiamato a determinare il compenso spettante al prestatore d'opera intellettuale, quando vi sia il parere, non può giovarsi di un consulente tecnico d'ufficio, e da ciò si deve dedurre che l'ordine professionale assume ex lege le funzioni di consulente tecnico predeterminato ed infungibile. In tal modo il giudice si vede sottratta parte della sua libertà di decisione perché non può scegliere il consulente che ritiene preferibile né avere adeguate spiegazioni. D'altra parte l'ordine professionale ed i suoi organi hanno tra i loro compiti istituzionali quello di proteggere gli interessi della categoria e quindi potrebbe dubitarsi circa l'imparzialità dell'organo legittimato ad emettere il parere ed a svolgere quindi funzioni di ausiliare di giustizia.

Si avrebbe, così, una disparità di trattamento tra coloro che svolgono una professione soggetta ad una specifica disciplina e per la quale esiste un ordine professionale pienamente riconosciuto come tale dal legislatore, e coloro che, invece, svolgono una diversa professione o attività per l'esercizio della quale non é costituito alcun ordine professionale: nel primo caso il parere obbligatorio del consiglio dell'ordine é di estrazione corporativa ed ha natura corporativa, e nel secondo caso, invece, la valutazione delle prestazioni é fatta da un consulente tecnico il quale può non appartenere alla stessa categoria professionale dell'interessato e ad ogni modo non é di estrazione corporativa né ha certo funzioni corporative.

E per tale trattamento che per certe categorie integra una situazione di privilegio e nei confronti di altre si risolve in una discriminazione, mancherebbe, infine, un criterio ragionevole che lo giustifichi.

C) Nell'ordinanza di rimessione, si é osservato, ancora, che il giudice, quando ritenga di discostarsi dal parere del consiglio dell'ordine, deve indicare specificamente e dettagliatamente, a pena di nullità per difetto di motivazione, le ragioni di tale diverso convincimento; che in linea di fatto incontra in ciò difficoltà perché, come si é detto, non può valersi di un normale consulente tecnico d'ufficio ed i pareri di cui si tratta sono motivati in modo estremamente sommario; e che in linea di principio rilevano a tal riguardo le possibili differenti strutture delle tariffe professionali. E si é dedotto che nella ipotesi in cui debba essere applicata una tariffa professionale obbligatoria per legge che determini soltanto gli importi minimi lasciando discrezionalmente liberi quelli massimi, il giudice, poiché la determinazione dei valori di mercato delle prestazioni per cui é contestazione, richiede delle valutazioni di carattere tecnico, é di regola posto nell'impossibilità di discostarsi dall'importo stabilito nel parere dell'ordine professionale senza incorrere con ciò stesso in una nullità per difetto di motivazione.

Di conseguenza viene ad aversi una soggezione del giudice al parere dell'ordine professionale diversa e più ampia rispetto a quella prevista dalla legge; ed in particolare, essendogli inibito qualsiasi effettivo controllo di merito sul parere, il giudice, in realtà, risulta ad esso vincolato, in contrasto con l'art. 101, comma secondo, della Costituzione.

D) Infine, dato che il giudice non può acquisire elementi idonei a determinare il valore delle prestazioni compiute dal professionista anche in contrasto con la valutazione contenuta nel parere, tanto meno lo possono fare le parti, le quali non possono chiedere l'ammissione di consulenza tecnica d'ufficio né possono valersi di semplici mezzi di prova (ed in particolare di prove testimoniali) in sé inidonei a fornire una qualsiasi valutazione.

Le parti, pertanto, si troverebbero prive di ogni possibilità di difesa sul punto dell'importo da riconoscersi al professionista per le attività da lui compiute; e la norma che ciò consente, contrasterebbe, quindi, con l'art. 24, comma secondo.

2. - Davanti a questa Corte non si é costituita nessuna delle parti private. Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto a questa Corte di volere dichiarare manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal pretore di Bologna.

Secondo l'Avvocatura, in base alla giurisprudenza di questa Corte per cui l'art. 24 della Costituzione postula esclusivamente un giudizio vero e proprio e non si estende a considerare i momenti a quello anteriori, non avrebbe ragione di essere il dubbio sulla legittimità costituzionale, in riferimento a quella disposizione, della norma denunciata per l'assenza di un contraddittorio nel procedimento di formazione del parere reso dal consiglio professionale, posto che deve negarsi natura giurisdizionale a quel procedimento.

Nonostante l'acquisizione al processo di codesto parere, d'altronde, non sarebbe violato il diritto alla difesa in giudizio, avendo la parte interessata tutte le possibilità di contrastare il parere, senza alcuna preclusione e senza alcun limite. A1 giudice, poi, per giurisprudenza costante, é riservato il più ampio controllo al riguardo, per accertare se le prestazioni effettuate rientrino nell'attività professionale, se esse siano state effettivamente eseguite e se la liquidazione sia adeguata alla tariffa. Nella fissazione del compenso riservata, sempre e solo, al giudice, in particolare é a questo consentito, purché motivatamente, di discostarsi e come mezzo al fine, non é affatto inibito di avvalersi di una consulenza tecnica.

Sarebbe, poi, priva di consistenza la pretesa violazione dell'art. 3 della Costituzione. Tra i lavoratori autonomi in genere e gli esercenti professioni intellettuali esiste in realtà una sostanziale differenza di situazioni a cui la legge si adegua: solo i secondi e non anche i primi, sono soggetti all'iscrizione in albi professionali ed alla disciplina degli ordini di appartenenza, che hanno rilevanti funzioni pubbliche. É vano quindi parlare di una irragionevole discriminazione tra categorie di soggetti non eguali.

Infine sarebbe erronea l'ipotizzazione del contrasto con l'art. 101, comma secondo, della Costituzione, atteso che il parere dell'ordine professionale non determina a carico del giudice vincoli tali per cui questo possa dirsi assoggettato al parere.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il pretore di Bologna, con l'ordinanza indicata in epigrafe, solleva, in riferimento agli artt. 24, comma secondo, 3, comma primo, e 101, comma secondo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2233, comma primo, del codice civile, nella parte in cui dispone che, se non é convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, il compenso dovuto al prestatore d'opera intellettuale é determinato dal giudice, sentito il parere dell'ordine professionale competente.

2. - Nell'ordinanza, a sostegno della questione, si assume che il parere del consiglio dell'ordine professionale costituisca un atto del processo, che il giudice non possa farsi assistere da un consulente tecnico ed ammettere mezzi di prova e che lo stesso giudice non sia in grado di motivare il proprio provvedimento qualora intenda discostarsi dal parere.

Tali premesse o considerazioni non sono accettabili.

C'é anzitutto da tener presente che il parere de quo é solo un atto amministrativo che viene assunto nel processo come semplice partecipazione di un giudizio valutativo ad opera del consiglio dell'ordine professionale, e come non integra una decisione o la definizione di un punto in controversia, così non costituisce neppure un atto preparatorio di un provvedimento giurisdizionale. Anche se la richiesta di esso é obbligatoria, lo stesso non é vincolante; e non rileva che esso in qualche modo possa concorrere alla formazione del libero convincimento del giudice.

In secondo luogo, non apparendo giustificata la tesi del pretore di Bologna che il consiglio dell'ordine professionale assuma ex lege le funzioni di consulente tecnico predeterminato ed infungibile per tutte le controversie attinenti all'onorario di un professionista iscritto nell'albo dell'ordine stesso, ed in subordine anche ritenendola ammissibile, va rilevato che il giudice ha sempre il potere di nominare un consulente tecnico e di ammettere mezzi istruttori allo scopo di acquisire elementi e valutazioni utili per la determinazione del compenso spettante al professionista, di compiere cioè a codesto fine date attività istruttorie (e così quelle che nel processo di merito, in contrasto con il suo assunto, proprio quel giudice ha posto in essere, tra l'altro, affidando al consulente tecnico il compito di dire se l'importo richiesto fosse o meno adeguato alle complessive prestazioni effettuate).

Non si può, infine, non constatare che, come riconosce lo stesso pretore di Bologna in conformità alla costante giurisprudenza, al giudice é dato di discostarsi dal parere. Egli ha solo l'obbligo di motivare il proprio atto (obbligo, oltre tutto, discendente dall'art. 111, comma primo, della Costituzione) e può attendervi liberamente e pienamente. Non trova alcun ostacolo né é impedito da alcuna preclusione, per ciò che deve essere e sia acquisito agli atti il detto parere: e neppure nella ipotesi (nella quale rientrerebbe il caso di specie), che non manchino le tariffe professionali e quelle esistenti prevedano solo i compensi minimi, perché egli ha sempre il modo di rinvenire nella disciplina specifica della materia o nel sistema norme o principi che gli consentano di decidere il caso sottoposto al suo giudizio.

3. - Esaminati i vari profili di illegittimità costituzionale della norma denunciata alla luce delle osservazioni che precedono, la questione risulta non fondata.

Non appare violato l'art. 24, comma secondo, della Costituzione. Non rileva, infatti, l'assenza di contraddittorio davanti al consiglio dell'ordine professionale, dato che il relativo procedimento é puramente amministrativo e la garanzia costituzionale della difesa é operante nei confronti di chi agisca in giudizio per la tutela dei suoi diritti e interessi legittimi. D'altra parte, siccome si é sopra osservato, nel processo non sussistono, per l'ipotesi in esame, ostacoli o impedimenti all'esercizio del diritto di difesa; ed in particolare, e tra l'altro, agli interessati é consentito di instare per la nomina di un consulente tecnico e di chiedere l'ammissione dei mezzi istruttori conducenti.

Non ricorre neppure l'asserito contrasto con l'art. 101 della Costituzione. Il giudice, nella fattispecie di cui al primo comma dell'art. 2233 del codice civile, non viene a sottostare a limiti o preclusioni, di portata speciale o eccezionale, nello svolgimento dell'attività istruttoria, e non incontra ostacoli (che non siano semplici e peraltro non rilevanti difficoltà in fatto) nella formazione del suo convincimento e nella motivazione dei conseguenti provvedimenti. Ed é, costantemente. soggetto soltanto alla legge.

Ed infine non può dirsi che coloro che svolgono una professione per la quale vige una specifica disciplina ed esiste un ordine pienamente riconosciuto come tale dal legislatore, e coloro che, invece, svolgono una diversa professione o attività, per l'esercizio della quale non é costituito alcun ordine, si trovino in posizioni non differenti e ciò nonostante, ed in maniera ingiustificata, siano sottoposti ad un differente trattamento giuridico. Non ha rilievo il fatto indicato nell'ordinanza che nella seconda ipotesi, qualora cioè il giudice sia chiamato a determinare il compenso dovuto per l'opera prestata, ad un lavoratore autonomo non libero professionista o ad un lavoratore subordinato, l'assistenza di un tecnico é facoltativa e, se disposta, viene effettuata "da un perito liberamente scelto dal giudice senza alcun vincolo corporativo" ed eventualmente tra tecnici non appartenenti alla stessa categoria professionale dell'interessato. E ciò, perché nell'ipotesi opposta il parere del consiglio dell'ordine non é vincolante e, nei termini sopra detti, non incide sull'attività istruttoria e decisoria del giudice, di guisa che questo viene a trovarsi sostanzialmente nella stessa situazione in cui versa qualora nella seconda ipotesi non si faccia assistere da un consulente tecnico; perché il giudice, acquisito agli atti il parere del consiglio dell'ordine, può nominare, come si é sopra detto, un consulente tecnico per farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il procedimento, scegliendolo con ampia discrezionalità (sia pure secondo i criteri di cui al secondo comma dell'art. 61 del codice di procedura civile); e perché, infine, il consiglio dell'ordine che emette il parere opera in funzione di fini pubblici istituzionali che trascendono quelli particolari e contingenti del professionista interessato o superano gli interessi che non siano morali o oggettivi della categoria, e il consulente tecnico nominato dal giudice, in ogni caso, é un suo ausiliario, e le norme che ne disciplinano l'assunzione dell'ufficio e che regolano l'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, assicurano una assistenza indipendente ed imparziale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2233, comma primo, del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24, comma secondo, 3, comma primo, e 101, comma secondo, della Costituzione, dal pretore di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 13 febbraio 1974.