Sentenza n.151 del 1973
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SENTENZA N. 151

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 519, capoverso n. 1, 521 e 524 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 25 maggio 1971 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Bruno Rosario e Primicino Luciano, iscritta al n. 274 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1973 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa il 25 maggio 1971 nel procedimento penale a carico di Bruno Rosario e Primicino Luciano, imputati dei reati di ratto per fini di libidine, violenza carnale e atti di libidine violenti, ai danni di una ragazza che al momento del fatto non aveva compiuto gli anni quattordici, il tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità degli artt. 524, 519, cpv. n. 1, e 521 del codice penale, nelle parti in cui presumono la violenza quale elemento costitutivo delle fattispecie penali rispettivamente previste per il solo fatto dell'età della persona offesa minore degli anni quattordici.

Di dette norme il tribunale denunzia la incompatibilità col principio di uguaglianza, in quanto, prescindendo esse del tutto dalla concreta considerazione della diversa personalità e maturità psicofisica del soggetto passivo, parificano nel trattamento penale casi che risulterebbero invece di diversa gravità.

A fondamento della questione ne prospetta la analogia con quella decisa da questa Corte con la precedente sentenza n. 1 del 1971, con la quale fu dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 224, secondo comma, c.p., sotto il profilo ella parificazione, ai fini dell'applicazione obbligatoria ed automatica della misura di sicurezza del ricovero in riformatorio giudiziario, di tutti i minori infraquattordicenni non imputabili, in base a presunzione di pericolosità sociale, senza consentire speciali apprezzamenti in relazione alla giovanissima età del soggetto.

In rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato, con atto d'intervento in giudizio, ha sostenuto l'infondatezza della questione.

Ricordato che il rigore delle norme concernenti la punizione dei rapporti sessuali ai danni di soggetti minori di quattordici anni come rapporti violenti, deriva dalla esigenza assoluta della maxima reverentia nei confronti dei minori stessi, la difesa dello Stato osserva che il tribunale avrebbe trascurato di dare rilievo alla maturità intellettuale ed etica, quale idoneità ad esprimere giudizi ed inibizioni di ordine morale. E poiché tale grado di maturità non si evolverebbe adeguatamente allo sviluppo fisico, specie se precoce, dei minori, questi risulterebbero più esposti alle sollecitazioni ed alle altrui aggressioni contro la libertà sessuale.

La tematica della precedente decisione di questa Corte non avrebbe rispondenza nella specie.

Se l'eccezionale pericolosità sociale dei fanciulli non può costituire presupposto per l'applicazione della misura di sicurezza, e deve richiedersi, quindi, in ciascun caso l'accertamento della anormalità psico-sociale del minore, la immaturità, particolarmente intellettuale ed etica degli infraquattordicenni, costituisce al contrario dato di comune esperienza, dato che legittimamente può essere generalizzato dal legislatore.

Considerato in diritto

1. - Gli artt. 519, n. 1, 521 e 524 del codice penale puniscono rispettivamente a titolo di violenza carnale, di atti di libidine violenti e di ratto a fine di libidine o di matrimonio, chiunque, anche senza aver usato violenza o minaccia e, nel caso del ratto, anche senza inganno, abbia compiuto gli atti preveduti nelle citate disposizioni, in danno di persona minore degli anni quattordici.

Il tribunale di Roma, con ordinanza 25 maggio 1971, ha prospettato il dubbio che tali disposizioni siano in contrasto col principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto prevedono la punibilità delle fattispecie sopra indicate, senza consentire al giudice l'accertamento della personalità e del diverso sviluppo psico-fisico del soggetto passivo se minore di quattordici anni e, quindi, con uniformità di disciplina penale, ancorché le fattispecie medesime possano in concreto risultare diverse "per dimensione umana e per la considerazione dell'ambiente sociale" o, come in altro passo dell'ordinanza é precisato "per diversità di maturazione della personalità" del singolo minore.

2. - La questione non é fondata.

La inviolabilità circa i delitti contro la libertà sessuale in oggetto é stabilita dal legislatore, in favore degli infraquattordicenni in modo assoluto, escludendosi inoltre ai sensi dell'art. 539 c.p. (la cui compatibilità con l'art. 3 della Costituzione é stata già affermata da questa Corte con le sentenze 19 e 20 del 1971 e 107 del 1957), la possibilità che l'imputato invochi a propria scusa l'ignoranza dell'età dell'offeso.

Senza addentrarsi nella ben nota disputa sul fondamento della normativa, é certo che la legge impone ad ognuno l'inderogabile dovere di astenersi da taluni atti con soggetti assolutamente inviolabili, ancorché possano essere consenzienti. E ciò in quanto si tratta di soggetti (fanciulli o adolescenti) che non trovano nella loro immaturità psico-fisica, anche e soprattutto se vengano sollecitati, forze sufficienti per sottrarsi a taluni atti di cui non sono in grado di valutare l'importanza.

Anziché demandare al giudice di procedere, caso per caso all'accertamento della immaturità, il codice penale vigente ha preferito determinare preventivamente l'età in cui il minore deve senz'altro essere considerato immaturo. Questa scelta compiuta dal legislatore nell'ambito della discrezionalità riservatagli e che, come é stato rilevato, trova rispondenza nell'art. 97 circa l'imputabilità del minore, non può dirsi irrazionale.

A parte lo sviluppo fisico che può avere una qualche importanza ma non é certo decisivo, non é arbitrario il ritenere che un minore infraquattordicenne, anche se fornito di precoce ingegno, difetti di quella capacità di giudizio che gli consenta di valutare le implicazioni, specialmente di carattere etico, connaturate ai comportamenti sessuali. Donde il criterio legislativo ispirato anche dallo scopo di evitare controversie di difficile soluzione e che se fosse abbandonato, potrebbe, in ipotesi estrema, condurre anche ad indagini su fanciulli, risulta pienamente accettabile al lume della comune normale esperienza.

3. - Non ha, infine, rilievo nella specie il richiamo, da parte del giudice a quo, ai motivi enunciati nella sentenza n. 1 del 12 gennaio 1971 di questa Corte per sorreggere la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 224, secondo comma, c.p., che rendeva obbligatorio ed automatico, per taluni minori degli anni quattordici, il ricovero, per almeno tre anni, in riformatorio giudiziario.

Con detta sentenza si é ritenuto, infatti, incompatibile con l'art. 3 Cost., la presunzione di pericolosità del minore non imputabile che abbia commesso un fatto preveduto quale delitto non colposo punibile con l'ergastolo o con la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, perché ingiustificabile ed in contrasto con l'id quod plerumque accidit. Ma come sarebbe irrazionale considerare quale regola e non quale eccezione la pericolosità di soggetti di giovanissima età, sarebbe non meno irrazionale considerare per gli stessi soggetti che le condizioni di maturità, nel senso accolto dal legislatore negli articoli in esame e sopra precisato, siano normali, anziché eccezionali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 519, n. 1, 521 e 524 del codice penale, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione dal tribunale di Roma con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1973.