Sentenza n.133 del 1973
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SENTENZA N. 133

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 341 del codice penale; degli artt. 303, primo comma, 304 bis e 394 del codice di procedura penale; del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66 (norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione), e della relativa legge di ratifica 5 gennaio 1953, n. 32, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 13 maggio 1971 dal giudice istruttore del tribunale di Pisa nel procedimento penale a carico di Parrini Roberto ed altri, iscritta al n. 392 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 304 del 1 dicembre 1971;

2) ordinanza emessa l'8 giugno 1971 dal giudice istruttore del tribunale di Arezzo nel procedimento penale a carico di Ferrini Attilio ed altri, iscritta al n. 73 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 12 aprile 1972;

3) ordinanza emessa il 14 febbraio 1972 dal tribunale di Pisa nel procedimento penale a carico di Di Prete Mauro ed altri, iscritta al n. 97 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 110 del 26 aprile 1972;

4) ordinanza emessa il 12 giugno 1972 dal giudice istruttore del tribunale di Genova nel procedimento penale a carico di Rais Maria Erzegovina ed altri, iscritta al n. 336 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 304 del 22 novembre 1972.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1973 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa il 13 maggio 1971, iscritta al n. 392/1971 del R.o. di questa Corte, nel procedimento penale a carico di numerosi soggetti, imputati di resistenza aggravata a pubblico ufficiale ed altri reati, in accoglimento di analoga eccezione della difesa, il giudice istruttore presso il tribunale di Pisa ha denunziato il contrasto:

a) degli artt. 303, primo comma, e 304 bis c.p.p. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nonché:

b) dell'art. 394 dello stesso codice, "nella parte in cui fa salva la validità (nell'ulteriore corso dell'istruttoria formale) delle indagini compiute dal p.m., fuori dei casi in cui é ammesso il rito sommario, con conseguente violazione della competenza del giudice istruttore ed in contrasto col principio del giudice naturale quale é stabilito nell'art. 25 della Costituzione.

In ordine alla prima questione il giudice istruttore ha osservato che, ammessa la partecipazione del pubblico ministero all'escussione testimoniale in sede istruttoria formale, non potrebbe restarne escluso, secondo la dialettica del processo, il difensore dell'imputato.

In ordine all'impugnazione dell'art. 394 c.p.p., lo stesso giudice ha osservato che la conservazione degli atti di istruzione sommaria (nella specie gli ordini di cattura e gli interrogatori degli imputati compiuti dalla Procura generale di Firenze che si é avvalsa del potere di avocazione), se é giustificata quando la successiva formalizzazione non denunzia errori iniziali di scelta, non lo sarebbe, invece, quando gli atti appartengano alla competenza del giudice istruttore, ai sensi dell'art. 389 c.p.p. (secondo le modificazioni di cui alla legge 7 novembre 1969, n. 780), e dovrebbero ritenersi nulli, ove siano compiuti dal pubblico ministero.

Identiche questioni sono state anche sollevate:

1) dal giudice istruttore presso il tribunale di Arezzo.

Come risulta dall'ordinanza 8 giugno 1971 (iscritta al n. 73 del R.o. 1972) nel procedimento penale per interruzione di pubblico servizio, iniziato dalla Procura generale di Firenze (che aveva avocato la sommaria istruzione) il detto giudice, dopo aver disposto, su ricorso degli imputati, la normalizzazione delle indagini, ai sensi dell'art. 389, sesto comma, ha contestato la validità degli atti precedentemente compiuti col rito sommario, ed in particolare degli interrogatori dei testimoni svolti, senza l'assistenza dei difensori degli imputati, a norma degli artt. 303 e 304 bis c.p.p.;

2) dal tribunale di Pisa, con ordinanza 14 febbraio 1972 (iscritta al n. 97 del R.o. 1972) emessa nel processo penale a carico di più persone, rinviate a giudizio per il delitto di blocco stradale, previsto dal decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e oltraggio a pubblico ufficiale, sulla base di indagini svolte in sede sommaria dal p.m. e non rinnovate dal giudice istruttore dopo la formalizzazione del procedimento.

Con la stessa ordinanza il tribunale di Pisa ha sollevato inoltre questioni di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 341 c.p., concernente il delitto di oltraggio a pubblico uff1ciale in riferimento agli artt. 1, 3, 54, 97 e 98 della Costituzione;

b) del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, sopra ricordato, nonché della legge di ratifica 5 gennaio 1953, n. 32, circa il delitto di blocco stradale, in riferimento alla disposizione transitoria XV della Costituzione ed in relazione all'art. 4 del d.l.lgt. 25 giugno 1944, n. 151, in quanto nel procedimento formativo del citato decreto e prima della promulgazione, sarebbe stata omessa la "sanzione" da parte del Presidente della Repubblica;

c) dell'art. 1 dello stesso decreto, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, in quanto, a carico di chi, al fine di impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni ed altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ferrata ed ordinaria o comunque ostruisce od ingombra, allo stesso fine, la strada stessa, commina la pena della reclusione da uno a sei anni, irragionevolmente elevata ed ingiustamente identica per fattispecie tra loro diverse; pena da raddoppiarsi, qualora il fatto sia commesso "da più persone anche non riunite".

Il tribunale ha osservato in proposito che in concreto la misura della pena può subire sensibile aumento, in conseguenza del concorso con altro reato o per la ricorrenza di alcune delle circostanze aggravanti indicate nell'art. 112 del codice penale.

L'applicazione di circostanze attenuanti generiche o di altri strumenti di diminuzione concreta della pena, d'altra parte, non riguarderebbe (per argomento dell'art. 69 , quarto comma) la "valutazione astratta della disciplina normativa dei fatti stessi". Donde il singolare, non ragionevole, rigore di essa;

d) dello stesso art. 1, primo comma, del citato decreto, in riferimento agli artt. 3 e 21, primo comma, Cost., nella parte in cui rende applicabili le sanzioni previste per il reato di blocco stradale, senza alcuna attenuante, anche ai "fatti commessi nell'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero".

La censura muove dalla considerazione che la legge, nella genericità del suo precetto, non consentirebbe ai fini della valutazione della gravità dei fatti, di tener conto dei diversi motivi che abbiano determinato il comportamento dei soggetti, parificando, al limite, fatti compiuti preordinatamente ad altri reati con quelli che si ipotizzano volti a finalità "socialmente apprezzabili" (come nel caso in esame, in cui gli imputati agirono per richiamare l'attenzione delle autorità sulla condizione di alcune famiglie di sfrattati, e senza alcun interesse personale);

e) del terzo comma dello stesso art. 1, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., nella parte in cui prevede come aggravante il fatto che il reato di blocco stradale sia commesso da più persone, anche non riunite.

Anche sotto quest'ultimo profilo la disposizione impugnata apparirebbe irrazionale, in quanto configura come circostanza aggravante il concorso di più persone il quale costituisce "in pratica" costante modalità del reato.

Le censure di cui alle lettere c, d, e, sono state enunciate con identica motivazione anche dal giudice istruttore presso il tribunale di Genova, con ordinanza 12 giugno 1972 (n. 336/1972), nel corso di un analogo procedimento penale contro più persone, imputate di aver bloccato un incrocio stradale in Genova Conegliano, al fine di protestare contro la mancata installazione di un semaforo onde porre rimedio alla elevata pericolosità del traffico nella zona.

Davanti a questa Corte, l'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri nella causa promossa con l'ordinanza del tribunale di Pisa, ha precisato conclusioni di non fondatezza soltanto in merito alle questioni concernenti il decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, avvertendo che della legittimità delle disposizioni sopra citate del codice di procedura penale e dell'art. 341 c.p. questa Corte é stata già investita con altre ordinanze di rimessione.

Sul problema della costituzionalità del ricordato decreto, in riferimento al regime provvisorio di formazione preveduto dai decreti luogotenenziali 25 giugno 1944, n. 151, e 16 marzo 1946, n. 98, nonché dalla disposizione transitoria XV della Costituzione, l'Avvocatura assume che le attribuzioni del Capo provvisorio dello Stato nel periodo successivo all'entrata in vigore della nuova Costituzione e fino al tempo dell'effettivo esercizio della funzione legislativa da parte del Parlamento, non possono comprendere, oltre la "promulgazione", anche la "sanzione" dei provvedimenti legislativi. Questa ultima é espressione di una funzione non più conferita dalla nuova Costituzione al Presidente della Repubblica (art. 87), anzi incompatibile con la struttura dei poteri presidenziali, la cui immediata delimitazione risulta dalla I disposizione transitoria.

Ogni dubbio, peraltro, circa la legittimità formale del decreto impugnato dovrebbe ritenersi superato per effetto della ratifica contenuta nella legge 5 gennaio 1953, n. 32, che ne avrebbe sanato utiliter ogni eventuale vizio di produzione, inducendone la irrilevanza rispetto alle fattispecie (come quella in esame) verificatesi successivamente alla legge medesima.

In ordine alle censure mosse dall'ordinanza alle singole disposizioni del decreto, l'Avvocatura deduce che così la congruenza fra reato e pena, come la proporzionalità delle sanzioni rispetto alla valutazione sociale dei fatti preveduti, costituiscono materia di esclusiva competenza del legislatore (sentenza n. 109/1968) sfuggente al sindacato di costituzionalità sotto il profilo del principio di uguaglianza.

Né contrasterebbe con il principio di legalità la molteplicità ed ampiezza delle fattispecie prevedute ai fini della punizione del blocco stradale. L'art. 25, secondo comma, Cost., non vieta, infatti, si osserva, che siano configurati dalla legge reati a forma libera.

Con riferimento, infine, alla prospettata incidenza sulle fattispecie considerate del principio della libertà di manifestazione del pensiero, si deduce che il preteso contrasto della normativa impugnata con l'art. 21, primo comma, della Costituzione non sussiste, risolvendosi nel contemperamento della libertà predetta con l'interesse, pur garantito dall'art. 16 della Costituzione, alla libera circolazione. E ciò in applicazione del principio per cui l'esercizio del diritto dell'individuo non può, ritenersi legittimo ove collida con l'esercizio dei diritti altrui.

Considerato in diritto

1. - Le quattro ordinanze prospettano questioni identiche o connesse e pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Le questioni di legittimità costituzionale degli art. 303, primo comma, e 304 bis c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dai giudici istruttori presso i tribunali di Pisa ed Arezzo, nonché dal tribunale di Pisa, in quanto escludono il solo difensore dell'imputato dall'escussione dei testimoni in sede istruttoria, mentre ammettono che possa assistervi il pubblico ministero, sono state dichiarate non fondate con la sentenza n. 63 del 13 aprile 1972.

Atteso che non sussistono, né sono stati dedotti argomenti che possano indurre a soluzione diversa dalla manifesta infondatezza, la precedente sentenza deve essere integralmente confermata.

Manifestamente infondata deve dichiararsi altresì la questione di costituzionalità dell'art. 341 c.p. sollevata dal tribunale di Pisa, in riferimento agli artt. 1, 3, 54, 97 e 98 della Costituzione.

Anche tale questione é stata già dichiarata non fondata con le sentenze n. 109 del 1968

 e n. 165 del 1972, seguite da ordinanza n. 80/1973 di manifesta infondatezza.

3. - Con le ordinanze dei giudici istruttori presso i tribunali di Pisa ed Arezzo, nonché dello stesso tribunale di Pisa, in riferimento al principio del giudice naturale (art. 25, primo comma, Cost.) é denunziato l'art. 394 c.p.p., in cui si stabilisce che "nel caso preveduto nel primo capoverso dell'art. 272 e in ogni altro in cui l'istruzione sommaria é trasformata in istruzione formale rimangono validi gli atti compiuti nel corso della prima", e non si esclude che conservino validità gli atti che il p.m. ha compiuto fuori delle ipotesi nelle quali il procedimento sommario é consentito dall'art. 389 dello stesso codice.

4. - La questione non é fondata.

Essa, secondo la prospettazione dei giudici di merito, investe l'art. 394 non già nei limiti della sua formulazione testuale, ma in quanto, si assume, il suo contenuto precettivo possa comprendere e disciplinare ipotesi non espressamente considerate e non riconducibili nell'ambito della trasformazione d'ufficio dell'istruzione sommaria in formale. E ciò sul presupposto che l'interpretazione di detta norma debba continuare ad avere correlazione integrale con le disposizioni contenute nell'art. 389 dello stesso codice, nel testo risultante dalle modificazioni di cui alla legge 7 novembre 1969, n. 780.

É noto che il ricordato art. 389 nel testo originario, prevedendo nei primi tre commi i casi in cui si doveva procedere con istruzione sommaria, riservava, per quanto concerneva i reati di competenza della Corte d'assise e del tribunale, anche un margine all'apprezzamento discrezionale del p.m., le cui scelte, non vincolate a criteri obiettivi di riferimento, rimanevano sottratte al sindacato del giudice. Donde la norma dell'art. 394 risultava riferibile a soli casi di trasformazione d'ufficio del procedimento sommario in procedimento formale, quali tassativamente erano previsti dalla legge.

Ma, in considerazione della incompatibilità di tali criteri con l'art. 25, primo comma, della Costituzione, l'art. 389, terzo comma, c.p.p. venne dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte con la sentenza n. 117 del 1968 in quanto escludeva la sindacabilità nel corso del processo della valutazione compiuta dal p.m. sulla evidenza della prova. Sentenza che poi fu seguita da altra n. 40 del 1971, riferendosi all'originario secondo comma per analoga insindacabilità della valutazione compiuta dal p.m. sul punto della confessione dell'imputato e della non necessità di ulteriori atti di istruzione.

Con la citata legge n. 780 del 7 novembre 1969 si modificò il testo dell'articolo e, fra l'altro, vennero introdotti un quarto, un quinto e un sesto comma contenenti la disciplina del controllo, da parte del giudice istruttore e ad iniziativa dell'imputato, delle condizioni legittimanti il procedimento con istruzione sommaria nelle ipotesi di cui ai primi tre commi. Si intese, in tal modo, chiaramente escludere la mera discrezionalità della iniziativa del p.m., e demandare al giudice istruttore l'accertamento delle condizioni predette, quale organo giudiziario istruttorio avente in definitiva competenza in ordine al modus procedendi.

5. - Sennonché, nel quadro delle accennate modifiche della disciplina dell'istruzione sommaria, ed in riferimento alle innovazioni apportate all'art. 389, non é stato mutato il disposto dell'art. 394, la cui incidenza nel sistema positivo rimane, pertanto, ancorata all'originario significato, che ne ha fissato i limiti normativi in relazione soltanto alle ipotesi di trasformazione, disposta d'ufficio e non ad iniziativa dell'imputato, dell'istruzione sommaria in formale.

Alla stregua di questa interpretazione, che, a giudizio di questa Corte, é l'unica consentita dalle accennate vicende legislative e risulta razionalmente aderente al sistema positivo, deve ritenersi che esuli dalla previsione dell'art. 394 la conservazione degli atti d'istruzione sommaria per effetto di una scelta compiuta dal p.m., fuori delle ipotesi enunciate nell'art. 389.

Sicché la norma dell'art. 394, non essendo diretta a riconoscere validità a tali atti, ma a disciplinare la continuità del procedimento istruttorio, nel caso di sua trasformazione d'ufficio e nei limiti delle attribuzioni istituzionali degli organi che vi hanno partecipato, non viola il principio costituzionale del giudice naturale.

Spetterà ai giudici del merito accertare se e quali norme positive siano volte a disciplinare la validità o l'invalidità degli atti compiuti dal p.m. nei singoli casi previsti dai primi tre commi dell'art. 389, e risultino concretamente applicabili nei rispettivi procedimenti.

6. - Dallo stesso tribunale di Pisa, con l'ordinanza più volte ricordata, é denunziato il decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, ratificato con legge 5 gennaio 1953, n. 32, e recante norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione. Se ne assume il contrasto con la disposizione XV transitoria della Costituzione, in relazione all'art. 4 del decreto luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, in quanto promulgato dal Presidente della Repubblica senza la previa sanzione.

7. - La questione non ha fondamento.

Il citato art. 4 del decreto leg.luog. 25 giugno 1944, n. 151, contenente, fra l'altro, la disciplina della facoltà "del Governo di emanare norme giuridiche", provvisoriamente e sino all'entrata in vigore della nuova Costituzione dello Stato, stabiliva che finché non fosse entrato in funzione il nuovo Parlamento, i provvedimenti aventi forza di legge, previa delibera del Consiglio dei ministri, dovevano essere sanzionati e promulgati dal Luogotenente generale del Regno, con la formula appositamente indicata.

Tali disposizioni vennero integrate e modificate dal decreto leg.luog. 16 marzo 1946, n. 98. Dopo gli artt. 1 e 2 di esso che prevedevano rispettivamente il referendum sulla forma istituzionale dello Stato, contemporaneo all'elezione dell'Assemblea costituente e la nomina, da parte dell'Assemblea, del Capo provvisorio dello Stato in caso di esito del referendum favorevole alla forma repubblicana, nell'art. 3 si disponeva, che durante il periodo della Costituente e fino alla convocazione del Parlamento a norma della nuova Costituzione, il potere legislativo restava delegato al Governo, "salva la materia costituzionale" e "ad eccezione delle leggi elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati internazionali", riservate alla potestà della Costituente.

L'art. 5 dello stesso decreto precisava, inoltre, che fino all'entrata in vigore della nuova Costituzione le attribuzioni del Capo dello Stato dovevano essere regolate "dalle norme finora vigenti, in quanto applicabili"; l'art. 6, infine, disponeva che i provvedimenti legislativi di cui al precedente art. 3 venissero sottoposti a ratifica del nuovo Parlamento.

Proclamata la Repubblica, entrata in funzione l'Assemblea costituente, eletto il Capo provvisorio dello Stato, i decreti legislativi vennero da lui non solo promulgati ma anche sanzionati fino a quando non entrò in vigore la nuova Costituzione il 1 gennaio 1948.

In forza della disposizione transitoria XV della Costituzione era stato convertito in legge il decreto leg.luog. 25 giugno 1944, n. 151, mentre, con la I disposizione transitoria, restava stabilito che, dalla data suddetta, il Capo provvisorio dello Stato avrebbe esercitato le attribuzioni di Presidente della Repubblica, assumendone il titolo.

Dalla data medesima e fino alla riunione delle Camere, innovandosi nel procedimento, i decreti legislativi vennero soltanto promulgati e non anche sanzionati dal Capo dello Stato: fra essi é il decreto legislativo in esame.

8. - La Corte ritiene che nell'emanazione del decreto impugnato siano state rettamente osservate le disposizioni concernenti il procedimento formativo, quale risultava attuabile successivamente alla data di entrata in vigore della Costituzione repubblicana fino al giorno dell'insediamento del nuovo Parlamento.

Non si dubita che per la validità formale dei decreti anteriori alla data di entrata in vigore della Costituzione, oltre l'approvazione del Consiglio dei ministri, dovesse richiedersi, come puntualmente fu fatto, così la sanzione come la promulgazione, giacché la prima era esplicazione della partecipazione del Capo dello Stato all'esercizio della funzione legislativa. Ma non può, d'altra parte, non ritenersi fondata la diversa soluzione, affermatasi nella prassi costituzionale, riguardo ai provvedimenti legislativi emanati successivamente alla entrata in vigore della Costituzione e fin quando doveva attendersi che fossero riunite le nuove Camere, sole legittimate all'esercizio della potestà legislativa secondo l'ordinamento repubblicano.

E ciò in base alla sopra ricordata disposizione transitoria XV, che aveva convertito in legge il decreto del 1944, n. 151, nel chiaro intento di confermarne il vigore nella fase provvisoria prevista per la prima attuazione della Costituzione, ma ovviamente con le modificazioni che nella effettività dell'ordinamento si imponevano, alla stregua della I disposizione transitoria, la quale, come già ricordato, aveva attribuito al Capo provvisorio dello Stato non solo il titolo, ma anche le funzioni conferite dalla Costituzione al Presidente della Repubblica.

Donde il principio che il Presidente, nella nuova posizione al vertice dello Stato, non potesse fino alla riunione delle nuove Camere esercitare se non le funzioni a lui riservate dal nuovo ordinamento, fra le quali é compresa la promulgazione delle leggi e non la sanzione.

Questa interpretazione dette luogo ad un prassi razionalmente ispirata alla fedele osservanza della Costituzione, cui si volle dare su questo punto immediata attuazione, escludendosi quindi che potessero validamente continuare a compiersi atti che la Costituzione non più consentiva.

9. - Attese le conclusioni di cui sopra, deve negarsi fondamento alla ulteriore questione, sollevata dallo stesso tribunale, circa la legittimità della legge 5 gennaio 1953, n. 32, nella parte concernente la ratifica del predetto decreto n. 66 del 22 gennaio 1948.

La promulgazione da parte del Presidente della Repubblica costituisce, infatti, puntuale adempimento dei compiti a lui deferiti dalla su ricordata I disposizione transitoria, in relazione logica con le norme di cui all'art. 87 della Costituzione, e vale ad eliminare ogni problema sulla legittimità della ratifica.

10. - Nel merito delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, il tribunale di Pisa ed il giudice istruttore presso il tribunale di Genova impugnano anzitutto, in riferimento all'art. 3 Cost., l'intero testo dell'art. 1 della legge, sul rilievo che prevede severissime sanzioni per fatti che, se avevano particolare gravità al tempo in cui la legge fu emanata, non più ne hanno attualmente. Impugnano poi il primo comma dell'art. 1, in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost., in quanto esso prevede pari trattamento penale edittale, per fattispecie che sarebbero, invece, diverse e - si assume - di diversa rilevanza sociale; fattispecie inoltre in parte affidate per la loro identificazione all'arbitrario apprezzamento del giudice.

Nelle ordinanze si chiarisce che la stessa pena della reclusione da uno a sei anni sarebbe irragionevolmente comminata per tutte le fattispecie previste, a carico di chiunque, al fine di impedire od ostacolare la libera circolazione , depone o abbandona congogni ed altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ferrata od ordinaria, o comunque ostruisce od ingombra, allo stesso fine, la strada stessa (comma primo) e ciò per fattispecie diverse, suscettibili di più severa punizione in caso di concorso con altri reati e di circostanze aggravanti, mentre l'eventuale applicazione alle fattispecie stesse, di circostanze attenuanti generiche non inciderebbe sulla "valutazione astratta della disciplina normativa dei fatti stessi".

Il terzo comma del medesimo articolo 1, inoltre, in quanto prevede che "la pena é raddoppiata" se il fatto é commesso da più persone anche non riunite, incorrerebbe, secondo le ordinanze di rimessione, per se stesso nella violazione dei citati artt. 3 e 25 Cost., sotto l'aspetto che, non ragionevolmente, darebbe autonomo rilievo di aggravante ad ipotesi di comune verificazione, presentandosi, invece, come eccezionale l'ipotesi inversa di autore unico del reato in esame.

11. - Le questioni non sono fondate.

Le diverse situazioni, la cui pratica realizzazione può essere opera di uno come di più soggetti, con maggiore gravità in questo secondo caso, sono invero considerate dal legislatore contestualmente, nell'ambito della discrezionalità che gli é riservata, al fine della repressione degli atti considerati delitti dolosi e caratterizzati dal fine di impedire od ostacolare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione. Nella soluzione legislativa adottata é suscettibile di controllo in sede di legittimità costituzionale, fintanto che non risulti leso, sotto l'aspetto dell'uguaglianza di trattamento, quel limite di ragionevolezza che le ordinanze, senza congrua giustificazione, assumono, nella specie in oggetto, essere stato violato.

La possibilità, d'altra parte, che in concreto possano incidere sulla gravità dei reati commessi eventuali circostanze aggravanti e attenuanti, attiene alla problematica propria dei giudizi di merito, nei quali potranno esaminarsi le questioni concernenti l'adeguamento delle sanzioni all'entità dei reati accertati.

É appena poi il caso di accennare che non é certo sottratto alla discrezionalità del legislatore l'abrogare o il modificare una legge ove si ravvisi un mutamento dei presupposti etico sociali di essa.

Non meno infondata é la censura riguardante quella parte dell'art. 1, primo comma, in cui, abbandonata la forma così detta vincolata e con la testuale espressione "o comunque ostruisce o ingombra", si demanda al giudice di identificare i comportamenti lesivi dell'interesse alla libera circolazione. Anche sotto questo riflesso la giurisprudenza di questa Corte (così nelle sentenze n. 42 del 1972 e n. 168 del 1971) ha affermato che non si viola il principio di legalità e di uguaglianza con la previsione di reati a forma libera, e cioè quando si ricorre per la individuazione del fatto costituente reato a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività in cui il giudice opera.

Il tribunale di Pisa, infine, ha altresì denunziato lo stesso art. 1 del citato decreto, per incompatibilità con gli artt. 3 e 21, primo comma, Cost., in quanto non consente alcuna diminuente per essere i fatti commessi nell'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero.

Ma anche sotto questo profilo la legittimità costituzionale della norma non può fondatamente contestarsi.

Il diritto di libera manifestazione del pensiero, enunciato nell'art. 21 Cost., come questa Corte ha affermato in numerose sue sentenze (fra le altre quelle n. 1/1956, 120/1957, 121/1957), al pari di ogni altro diritto, trova limite nei diritti concorrenti (così in quello relativo alla libertà di circolazione: art. 16 Cost.) e in generale nella esigenza della tutela di interessi a loro volta protetti dalla Costituzione.

Ed il fatto che l'esercizio di libertà costituzionalmente garantita non venga considerato dal legislatore neppure al fine della diminuzione della pena, ricade, secondo quanto sopra enunciato, nella valutazione discrezionale che é di esclusiva competenza del legislatore, in quanto concerne la configurazione delle condotte antigiuridiche e la comminatoria delle relative sanzioni (sent. n. 114/1970).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la manifesta infondatezza:

a) della questione di legittimità costituzionale degli artt. 303, primo comma, e 304 bis del codice di procedura penale, proposta, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con le ordinanze nn. 392 del 1971,73 e 97 del 1972 elencate in epigrafe;

b) della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 341 del codice penale, proposta in riferimento agli artt. 1, 3, 54, 97 e 98 della Costituzione, con l'ordinanza n. 97 del 1972 elencata in epigrafe;

2) dichiara non fondate:

a) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 394 del codice di procedura penale, proposta, in riferimento all'art. 25 della Costituzione, con le ordinanze nn. 392 del 1971,73 e 97 del 1972 elencate in epigrafe;

b) la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, recante norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione, proposta, in riferimento alla disposizione transitoria XV della Costituzione, con la predetta ordinanza n. 97 del 1972;

c) la questione di legittimità costituzionale della legge 5 gennaio 1953, n. 32, nella parte concernente la ratifica del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n 66, proposta, in riferimento alla disposizione transitoria XV della Costituzione, con l'ordinanza n. 97 del 1972, di cui sopra;

d) le questioni di legittimità costituzionale dell'intero art. l nonché, in particolare, della normativa di cui ai commi primo e terzo del detto articolo, del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, proposte, in riferimento agli artt. 3, 21, primo comma, 25, primo e secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze nn. 97 e 336 del 1972 indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1973.