Sentenza n.42 del 1973
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SENTENZA N. 42

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 15, secondo comma, in relazione all'art. 14, ultimo comma, del d.l.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896 (Nuove disposizioni per la disciplina dei prezzi), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 10 maggio 1971 dal pretore di Cingoli nel procedimento penale a carico di Chiaramoni Enrico, iscritta al n. 233 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 21 luglio 1971;

2) ordinanze emesse l'11 agosto ed il 30 luglio 1971 dal pretore di Macerata nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Sartori Carla e di Carpineti Giovanni e Cipriani Mario, iscritte ai nn. 361 e 372 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 297 del 24 novembre 1971;

3) ordinanza emessa il 25 agosto 1971 dal pretore di Macerata nel procedimento penale a carico di Trabucchini Bruna, iscritta al n. 410 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 311 del 9 dicembre 1971;

4) ordinanza emessa il 28 dicembre 1971 dal pretore di Tolentino nel procedimento penale a carico di Ruffini Roberto, iscritta al n. 75 del registro ordinanze 72 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 104 del 19 aprile 1972.

Udito nella camera di consiglio del 22 marzo 1973 il Giudice relatore Enzo Capalozza.

Ritenuto in fatto

Con le ordinanze indicate in epigrafe, emesse nel corso di procedimenti penali promossi a carico di macellai imputati del delitto di cui all'art. 14 del d.l.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, per aver venduto carne a prezzo eccedente il limite massimo fissato dai competenti Comitati provinciali dei prezzi, é stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'articolo 15 del detto decreto nella parte in cui prescrive obbligatoriamente l'emissione del mandato di cattura per reato punito con la sola pena della multa (art. 14, ultimo comma, d.l. C.P.S. citato) e ciò in riferimento agli artt. 3, 13 e 24 della Costituzione, per il pretore di Cingoli; in riferimento agli articoli 3 e 13, per i pretori di Macerata e di Tolentino.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte, né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Le cause vanno riunite, perché concernono la medesima questione, e decise con unica sentenza.

2. - La questione di legittimità riguarda l'art. 15, secondo comma, del d.l.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, nella parte in cui prescrive l'emissione obbligatoria del mandato di cattura, anche se il reato, essendo di lieve entità, é punito solo con la multa (art. 14, terzo comma, dello stesso decreto legislativo). Norme di raffronto sono gli artt. 3, 13 e 24 della Costituzione.

3. - Il problema, qui, é diverso da quello risolto con la sentenza n. 39 del 1970, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'obbligo dell'arresto in flagranza (art. 220 in relazione all'art. 85 del t.u. delle leggi di p.s. 18 giugno 1931, n. 773), per un reato punibile con la pena dell'ammenda. Diverso, perché, mentre la pena editale comminata per il reato contravvenzionale del citato art. 85 t.u.l.p.s. era sempre e soltanto pecuniaria, nella disciplina che ne occupa l'obbligatorietà del mandato di cattura concerne un delitto la cui pena base é la reclusione fino a tre anni e, congiuntamente, la multa fino a dieci milioni (ora quattrocento milioni: art. 3 della legge 12 luglio 1961, n. 603), pena che sale alla reclusione sino a sei anni e alla multa sino a venti (ora ottocento) milioni, se il fatto é di "particolare gravità" (secondo comma dell'art. 14 del decreto legislativo), e che é della sola multa sino a quindicimila (ora seicentomila) lire, se il fatto é di "lieve entità"(terzo comma dell'art. 14).

Di tal che, negli artt. 85 e 220 t.u.l.p.s. la previsione dell'arresto obbligatorio ad opera della polizia giudiziaria riguardava un reato per il quale non poteva mai essere comminata una pena detentiva, e, per contro, nella specie, tale pena é prevista sia per i casi di entità, per così dire, corrente, sia per quelli di particolare gravità.

Tuttavia, la soluzione deve essere la stessa. Appare, invero, irrazionale e, perciò, illegittimo ex art. 3 Cost. che l'autorità giudiziaria sia obbligatoriamente tenuta a disporre la cattura anche per un fatto nel quale essa stessa, nella sua preliminare delibazione, ravvisi gli estremi della tenuità.

Né si dica che la valutazione dell'entità del fatto e del grado dell'illecito sia affidata esclusivamente alla fase dibattimentale: ciò e tanto poco vero che l'art. 14 contempla ipotesi di competenza del pretore e, per i casi di particolare gravità, di competenza del tribunale, il che presuppone una scelta preventiva (pur condizionata, ben s'intende, agli artt. 445 e 477 cod. proc. pen., allorché gli estremi della particolare gravità emergano in sede dibattimentale). D'altronde, il fatto di lieve entità come tale contestato, in relazione alla concreta fattispecie per la quale si procede non comporta solo una assai consistente diminuzione della pena pecuniaria editale, sibbene l'eliminazione totale della pena detentiva e la irrogazione di un1unica pena, quella pecuniaria. In sostanza, la legge stabilisce una pena di specie diversa.

La irragionevolezza appare tanto più vistosa, se si ponga mente: a) che alla obbligatorietà della cattura non corrisponde l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza (art. 235 cod. proc. pen.), che avrebbe dato, almeno, una parvenza di giustificazione alla norma (a prescindere dalla sua legittimità: vedasi la mentovata sentenza n. 39 del 1970) con l'ovviare al pericolo che l'imputato renda più difficile l'acquisizione delle prove; b) che, per altro, il reato non é di natura tale da postulare, di regola, quella delicatezza di indagini, alle quali potrebbe arrecar nocumento, inquinando o deviando le prove, il prevenuto a piede libero; c) che, risolvendosi la carcerazione preventiva in un'anticipazione della pena detentiva, la misura provvisoria di restrizione della libertà personale finisce con l'apparire incongrua ed eccessiva.

4. - Questa Corte ha già avuto occasione di affermare, con sua sentenza n. 131 del 1970 (a proposito della pena detentiva prevista per i casi più gravi di violazione dell'articolo 116 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), che sussiste l'esigenza di una rituale contestazione esplicita e dettagliata del reato nei suoi aspetti tipicizzanti: da ciò si deduce che, anche per i reati ora considerati, la contestazione deve essere formulata con riguardo all'importanza del fatto addebitato.

5. - Va da sì che, quando il fatto non venga sin dall'inizio qualificato di lieve entità, ma sia ritenuto tale in un secondo tempo, cioè dopo la cattura, sulla base di dati probatori successivamente emersi o di elementi di giudizio successivamente maturati, la norma conservi la sua validità e non possa essere travolta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale.

6. - In riferimento agli artt. 13 e 24 Cost. la questione é da ritenersi assorbita.

7. - La dichiarazione di parziale illegittimità non é, ovviamente, di ostacolo alla piena operatività - anche nell'ipotesi di contestazione del fatto di lieve entità - dello stesso art. 15, primo comma, che prescrive il rito direttissimo. Va precisato in proposito che questo rito, previsto dall'art. 502 cod. proc. pen., al quale l'art. 15 della legge impugnata rinvia, va adattato all'eventuale diversa situazione processuale: solo se vi é un arrestato (in flagranza), é attuabile in modo rigorosamente conforme alla disciplina del codice, mentre, se non v'é un arrestato, il rito direttissimo si svolge senza la presentazione coatta dell'imputato dinanzi al giudice (corte d'assise, tribunale, pretore). Tale rito, come é noto, può avere ingresso indipendentemente dall'arresto (in flagranza): art. 21 legge 8 febbraio 1948, n. 47, sulla stampa; art. 87 t.u. delle leggi per la elezione alla Camera dei Deputati 30 marzo 1957, n. 361; art. 9 legge 2 ottobre 1967, n. 895, sulle armi.

8. - Deve, pertanto, dichiararsi illegittima la norma denunziata nella parte in cui prevede e rende obbligatoria la cattura anche quando sia contestato il fatto previsto dall'articolo 14, ultimo comma, del decreto n. 896 del 1947.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, secondo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 15 settembre 1947, n. 896 (Nuove disposizioni per la disciplina dei prezzi), nella parte in cui prescrive l'emissione obbligatoria del mandato di cattura anche quando, ai sensi dell'art. 14, ultimo comma, dello stesso decreto, il fatto sia contestato come di lieve entità.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO - Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE -  Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 12 aprile 1973.