Sentenza n.18 del 1973
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SENTENZA N. 18

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Giuseppe  CHIARELLI, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA, Giudici,

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 624 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 9 dicembre 1970 dal pretore di Vittoria nel procedimento penale a carico di Eterno Salvatore e Lauretta Concetta, iscritta al n. 10 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 10 marzo 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 febbraio 1973 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento penale a carico di Salvatore Eterno e di Concetta Lauretta per furto tentato di cose di tenue valore (cinque chilogrammi di mandorle), il pretore di Vittoria, con ordinanza 9 dicembre 1970, tenuto conto che non avrebbe potuto infliggere una pena in misura inferiore al limite legale, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 42, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 624 del codice penale, nelle parti in cui, rispettivamente, non consentono di applicare la reclusione per una durata inferiore a quindici giorni ed obbligano, in ogni caso, ad infliggere congiuntamente la pena detentiva e quella pecuniaria.

Ad avviso del pretore, le pene previste nelle norme denunziate sarebbero eccessive rispetto al fatto specifico da giudicare e così contrasterebbero con la finalità rieducativa della pena, con i vincoli e limiti costituzionalmente imposti alla proprietà e con il principio di eguaglianza, sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto a quei cittadini, che, avendo commesso furti più gravi, potrebbero beneficiare di una equa proporzionalità tra il fatto di reato e la relativa sanzione penale.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non si é costituita la parte privata.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto con atto depositato il 30 marzo 1971, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Per quanto concerne la pretesa violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione, l'Avvocatura fa richiamo alla sentenza n. 22 del 1971 di questa Corte, con la quale furono disattese analoghe censure. Deduce, poi, che i limiti costituzionali al diritto di proprietà (art. 42 Cost.) non giustificherebbero una particolare attenuazione della tutela penale per la repressione del furto.

Considerato in diritto

1. - É stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 624 del codice penale, nella parte in cui obbliga il giudice ad applicare in ogni caso, congiuntamente, la pena detentiva e quella pecuniaria, e dell'art. 23 dello stesso codice, nella parte in cui non consente di applicare nel minimo la pena detentiva in misura inferiore a quindici giorni, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, e 42, primo comma, della Costituzione.

2. - É infondata la censura relativa alla violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Come già questa Corte ha avuto occasione di statuire in altre sue pronunzie (n. 157 del 1972; n. 64 del 1971), rientra nel potere discrezionale del legislatore la determinazione della entità della pena editale (sia essa soltanto detentiva, soltanto pecuniaria o, congiuntamente, detentiva e pecuniaria); né il relativo apprezzamento di politica legislativa può formare oggetto di censura da parte di questa Corte, "all'infuori dell'eventualità (...) che la sperequazione assuma dimensioni tali da non riuscire sorretta da ogni, benché minima, giustificazione" (così la motivazione della sentenza n. 109 del 1968).

Non può dirsi, tuttavia, che siffatta eventualità si verifichi nella specie, proprio perché, per quanto riguarda l'art. 23 cod. pen., i quindici giorni sono fissati come minimo della pena della reclusione per qualsiasi delitto, la cui consistenza valutata, prima dal legislatore, poi dal giudice  consenta di applicare il minimo previsto; per quanto riguarda l'art. 624 cod. pen., da ciò che si é detto consegue che non é ammissibile, in questa sede, stabilire, per un singolo reato (il furto semplice), un minimo di pena inferiore a quello fissato nella parte generale del codice per il delitto. É, del resto, appena il caso di rilevare che il risultato cui mira l'ordinanza di rimessione contrasterebbe con il vigente trattamento punitivo degli altri delitti, anche contro il patrimonio, puniti con la reclusione, magari dalla legge stessa considerati meno gravi del furto.

3. - Parimenti infondate sono le altre censure relative all'art. 27, terzo comma, e 42, primo comma, della Costituzione.

Già con sentenza n. 22 del 1971, la Corte ha precisato che la funzione rieducativa della pena non dipende solo dalla durata di essa, bensì pure dal suo regime di esecuzione e da altri istituti disciplinati dal codice.

Per quanto, infine, concerne la pretesa violazione dell'art. 42, primo comma, Cost., é esatto il rilievo dell'Avvocatura generale dello Stato che dalle limitazioni poste al diritto di proprietà non può farsi derivare una repressione del furto meno rigorosa di quella attuale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 624 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, e 42, primo comma, della Costituzione, dal pretore di Vittoria con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 febbraio 1973.

Giuseppe  CHIARELLI – Giuseppe  VERZÌ – Francesco  PAOLO BONIFACIO – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE - Paolo  ROSSI  - Leonetto  AMADEI – Giulio  GIONFRIDA – Edoardo VOLTERRA.

         Arduino Salustri – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 febbraio 1973.