Sentenza n. 186 del 1972

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 SENTENZA N. 186

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

  composta dai signori:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio GIONFRIDA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 146 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (legge di registro), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 13 febbraio 1970 dal tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione finanziaria dello Stato e Vicquery Luigi ed altro, iscritta al n. 216 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 2 settembre 1970;

2) ordinanza emessa il 1 dicembre 1971 dalla Corte d'appello di Caltanissetta nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione finanziaria dello Stato e Severino Francesco ed altro, iscritta al n. 162 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 158 del 21 giugno 1972.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1972 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto di citazione 22 maggio 1969, l'Amministrazione finanziaria di Torino impugnava, nei confronti di Vicquery Luigi e De La Pierre Piero, per mancanza di calcolo e grave ed evidente errore d’apprezzamento, ai sensi dell'art. 29 del d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, la decisione con la quale la Commissione provinciale delle imposte aveva proceduto alla valutazione dei beni immobili oggetto di trasferimento fra gli stessi convenuti, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro.

Nel corso del giudizio il tribunale di Torino ha sollevato d’ufficio, in riferimento all'art. 113, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 146 della legge di registro approvata con il r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, nella parte in cui é disposto che il termine di sei mesi, stabilito a pena di decadenza, per adire l'autorità giudiziaria in tutte le controversie riguardanti le tasse e soprattasse di registro, le quali abbiano formato oggetto di decisione amministrativa, decorre in ogni caso dalla data della notificazione della decisione predetta.

Nell'ordinanza si assume che il principio costituzionale, per cui é sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica Amministrazione, risulterebbe leso dalla norma che identifica la data di decorrenza del termine per l'esercizio della azione giudiziaria con un evento (la notificazione della decisione amministrativa) la cui verificazione dipende esclusivamente dalla iniziativa dell'Amministrazione finanziaria, senza limiti di tempo e senza l'osservanza di particolari obblighi.

Dal che deriverebbe incertezza della tutela giurisdizionale del contribuente, per esserne la realizzazione subordinata unilateralmente alla discrezionalità degli uffici finanziari, nonché disparità di trattamento, atteso che al contribuente medesimo non sarebbe concessa una pari facoltà di procedere alla notificazione delle decisioni delle commissioni amministrative.

Né potrebbe obiettarsi, si osserva, che il contribuente sia carente di interesse a chiedere la tutela giurisdizionale prima che il provvedimento della commissione amministrativa sia notificato; prima cioé che l'Amministrazione finanziaria dimostri, con la notificazione, di volersene avvalere. E ciò per il fatto che la lesione del diritto del contribuente, deriverebbe non dalla pubblicazione e notificazione della decisione in sede contenziosa, ma dalla pubblicazione del ruolo del tributo. Si aggiunge che l'Amministrazione finanziaria avrebbe facoltà di determinare in proprio favore la decorrenza del termine per la proposizione della domanda giudiziale e di differirne la decadenza in danno del contribuente, anche quando questi abbia interesse alla definizione della controversia tributaria alla stregua degli accertamenti compiuti in sede contenziosa amministrativa, e non abbia, invece, interesse all'ulteriore loro modificazione.

In rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri l'Avvocatura generale dello Stato sostiene che la questione é infondata. Assume, in contrasto con l'ordinanza del giudice a quo, che in materia di imposta di registro, ai sensi dell'art. 29, terzo comma, del r.d. 7 agosto 1936, n. 1639, vige il principio dell'autonomia funzionale dei due procedimenti, rispettivamente di competenza delle commissioni tributarie e del giudice ordinario, onde sarebbe consentito al privato di proporre la domanda giudiziale non subordinatamente al preventivo esperimento dei ricorsi amministrativi e senza necessità di attenderne l'esito.

Con altra ordinanza del 1 dicembre 1971 (n. 162 reg. ord. 1972), l'illegittimità costituzionale dell'art. 146 della legge di registro é stata denunziata anche dalla Corte d'appello di Caltanissetta, nel corso di un analogo giudizio promosso dall'Amministrazione finanziaria, per motivi identici a quelli esposti dal tribunale di Torino, ancorché in riferimento all'art. 24, quale enunciazione di principio, nel cui ambito opererebbe il precetto (parimenti menzionato) dell'art. 113 della Costituzione.

Anche in questo giudizio si é costituita la sola Avvocatura generale dello Stato, la quale, in rappresentanza dell'Amministrazione delle finanze dello Stato, già costituita nel giudizio di merito, e del Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto, ha svolto deduzioni e conclusioni identiche a quelle sopra riassunte.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause concernono la stessa questione, onde vanno riunite per essere decise con unica sentenza.

2. - Con le ordinanze del tribunale di Torino e della Corte di appello di Caltanissetta, in riferimento all'art. 113 della Costituzione, e con la seconda anche in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione, ma sotto l'identico profilo della garanzia della tutela giurisdizionale, é stato denunziato l'art. 146 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, di approvazione della legge di registro, nel testo modificato dall'art. 1 del r.d. 13 gennaio 1936, n. 2313.

La norma in questione stabilisce, a pena di decadenza, in sei mesi il termine per ricorrere all'autorità giudiziaria in tutte le controversie riguardanti le tasse e le soprattasse previste dalla legge di registro, le quali abbiano formato oggetto di decisione amministrativa. I sei mesi decorrono in ogni caso dalla data della notificazione della decisione amministrativa eseguita nella forma prescritta dal regolamento.

Le ordinanze dei giudici di merito assumono che, secondo costante interpretazione, la tutela giurisdizionale del contribuente, per effetto di detta norma, resti subordinata alla previa notificazione della decisione della Commissione tributaria; notificazione cui, in applicazione degli artt. 4 e 5 del regolamento per la procedura dei ricorsi amministrativi in materia di tasse sugli affari (r.d. 22 maggio 1910, n. 316), può procedersi non mai ad istanza del contribuente, ma ad iniziativa discrezionale dell'Amministrazione finanziaria, quando essa ritenga il compimento di tale atto opportuno nel proprio interesse.

La questione é stata prospettata, nel corso di giudizi promossi dall'Amministrazione contro decisioni di Commissioni provinciali per le imposte ritenute pregiudizievoli per l'interesse dell'erario, sotto l'aspetto (da considerarsi assorbente di ogni altro, in relazione al giudizio di rilevanza svolto nelle ordinanze) che la normativa indicata consente all'Amministrazione, che sia risultata soccombente, di determinare, con scelta incensurabile, il tempo della notificazione. Donde la facoltà di stabilire la data di decorrenza del termine semestrale previsto per l'impugnativa davanti al giudice ordinario: il tutto con sacrificio dell'interesse del contribuente alla definizione della propria posizione tributaria in conseguenza di pronuncia amministrativa favorevole o comunque da lui ritenuta soddisfacente.

La questione é fondata.

3. - L'Avvocatura generale dello Stato assume che la disposizione impugnata non avrebbe altro significato che di limitare la facoltà delle parti, sia pubblica che privata, di adire il giudice ordinario, nel caso in cui, a seguito della pubblicazione della decisione della Commissione tributaria (pubblicazione che, ai sensi dell'art. 34 del r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, si ha per avvenuta con la comunicazione all'ufficio finanziario che ha partecipato alla contestazione dell'accertamento del tributo), l'ufficio finanziario medesimo abbia proceduto alla notificazione al contribuente della decisione predetta.

E ciò in quanto, dalla data della notificazione decorre il termine semestrale di decadenza dell'esercizio della impugnativa dell'accertamento tributario, nei casi di grave ed evidente errore di apprezzamento ovvero di mancanza ed insufficienza della determinazione del valore (art. 29, r.d. 7 agosto 1936, n. 1639). Ma non vi sarebbe pregiudizio per il contribuente quando, a seguito della decisione della Commissione fosse, come nella fattispecie in esame, risultata soccombente l'Amministrazione, perciò unica interessata alla notificazione.

L'Avvocatura ammette che il ritardo nel compimento di questo atto possa in qualche modo incidere sulla aspettativa del privato per la definizione della controversia. Ma osserva che la norma in questione, in quanto attribuisce all'Amministrazione finanziaria la facoltà di procedere alla notifica nel tempo che ritiene conveniente ai fini pubblici, non sarebbe incompatibile con l'art. 113 Cost., il quale non vieterebbe che la tutela giurisdizionale nei confronti dell'Amministrazione pubblica sia assoggettata a modalità ed oneri preordinati all'interesse generale.

Il precetto contenuto nell'art. 113 della Costituzione, per cui contro gli atti della pubblica Amministrazione é ammessa sempre la tutela giurisdizionale, proclama, sul riflesso evidente del principio dell'art. 24, primo comma, l'inviolabilità del diritto a questa tutela. E, mentre non vieta che la legge ordinaria possa regolare diversamente l'esercizio del diritto alla protezione giurisdizionale, non esige che questa inerisca, con immediatezza, al sorgere del diritto. Ma la determinazione concreta di modalità ed oneri cui accenna l'Avvocatura non deve, però, neppur rendere la domanda di giustizia difficile o impossibile (come questa Corte ha affermato con la sentenza n. 47 del 4 giugno 1964), ostacolandone la proponibilità fino al punto di pregiudicare o addirittura vanificare il diritto del quale si richiede protezione. E questa evenienza non é estranea alla disciplina dettata dall'art. 146 legge di registro, giacché consente che l'Amministrazione finanziaria discrezionalmente e senza limite di tempo (salvo quello stabilito per il maturare della prescrizione) possa procrastinare la definitività dell'accertamento del tributo di registro, impedendo quella esplicazione della tutela giurisdizionale che é garantita dalla Costituzione. E ciò in quanto solo alla pubblica Amministrazione, con esclusione di ogni iniziativa del contribuente, con la notificazione della decisione della Commissione tributaria, é dato disporre della decorrenza e in sostanza dell'efficacia del termine semestrale di decadenza dall'impugnativa della decisione.

Non può omettersi di considerare, in ispecie, alla luce della garanzia disposta dall'art. 113 Cost., il pregiudizio che allo stesso contribuente potrebbe derivare in ordine alle prove di cui egli intenda avvalersi davanti al giudice ordinario, al fine di contrastare le pretese dell'Amministrazione finanziaria; prove, di cui il decorso del tempo valga a sminuire o eliminare l'efficacia o la pratica deducibilità.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 146 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (che approva la legge di registro), modificato con l'art. 1 del r.d. 13 gennaio 1936, n. 2313, nella parte in cui non stabilisce che la notificazione in esso prevista, ai fini della decorrenza del termine di decadenza per ricorrere all'autorità giudiziaria, possa avere luogo anche ad istanza del contribuente.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Nicola REALE

Depositata in cancelleria il 21 dicembre 1972.