Sentenza n. 147 del 1972

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 SENTENZA N. 147

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nel giudizio di 1egittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia 9 dicembre 1971, n. 3, riapprovata il 3 febbraio 1972, recante "Norme concernenti il trattamento economico del personale comandato per la prima costituzione degli uffici e dei servizi regionali", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 19 febbraio 1972, depositato in cancelleria il 26 successivo ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 1972.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione lombarda;

udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 1972 il Giudice relatore Costantino Mortati;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il ricorrente, e gli avvocati Leopoldo Elia e Feliciano Benvenuti, per la Regione lombarda.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso notificato il 19 febbraio 1972, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, promuoveva questione di legittimità costituzionale della legge della Regione lombarda 9 dicembre 1971, n. 3, riapprovata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti nella seduta del 3 febbraio 1972, per contrasto con gli artt. 117, VIII disposizione transitoria e 97 della Costituzione, 6, n. 6, e 47 dello Statuto, nonché 67 della legge 10 febbraio 1953, n. 62.

Osservava che, con la legge impugnata, la Regione lombarda aveva stabilito il trattamento economico da corrispondere al personale comandato dallo Stato e dagli enti locali, per la prima costituzione degli uffici e servizi regionali, in via transitoria fino al 30 giugno 1972, e così disponendo appariva viziata nel suo complesso per incompetenza assoluta della Regione a provvedere sul trattamento economico e sullo status giuridico di personale appartenente a ruoli organici dello Stato e degli enti locali, ancorché dipendente funzionalmente dalla Regione. Subordinatamente poi altro vizio doveva essere ravvisato nella violazione dell'art. 67 della legge n. 62 del 1953 per avere attribuito al personale in questione un trattamento economico notevolmente superiore a quello previsto pel personale statale. Ed infatti, tanto l'art. 117 della Costituzione, quanto gli artt. 6, n. 6, e 47 dello Statuto, nell'attribuire alla Regione competenza per l'ordinamento degli uffici, degli enti amministrativi e del personale dipendente dalla Regione, farebbero riferimento a una dipendenza organica e non funzionale, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza 10 luglio 1968, n. 93. In tale prospettiva, lo status giuridico ed il trattamento economico del personale comandato devono continuare ad essere quelli dei rispettivi ruoli di provenienza fino a quando leggi della Repubblica non detteranno norme in proposito, ai sensi dell'VIII disposizione transitoria della Costituzione. Per giustificare la disparità di trattamento così introdotta tra il personale comandato e le altre categorie di dipendenti statali e di enti locali, non si potrebbe far leva sulla transitorietà della legge. Anzi, poiché il personale comandato può essere in ogni momento richiamato, anche d'ufficio, presso l'ente di provenienza, l'avere ad esso attribuito un trattamento autonomo - e nella specie, a vari livelli, superiore a quello degli status originari -, potrebbe costituire un attentato al buon andamento dell'amministrazione rendendo psicologicamente difficile una scelta obbiettiva tra la permanenza presso la Regione e l'eventuale rientro presso l'ente di provenienza.

Si costituiva in giudizio la Regione lombarda, rappresentata e difesa dagli avvocati Benvenuti, Elia e Lorenzoni. La Regione sollevava pregiudizialmente eccezione di inammissibilità del ricorso, in considerazione della circostanza che questo non era stato preceduto da una deliberazione del Consiglio dei ministri e nemmeno da una formale determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri, che, benché incompetente, avesse deliberato la proposizione del ricorso in via d'urgenza. In tale situazione l'impugnativa era meramente apparente, perché proposta dalla sola Avvocatura dello Stato, e come tale affetta da assoluta nullità ed inammissibilità, nonostante la tardiva conferma del Consiglio dei ministri deliberata nella riunione del 22 febbraio 1972, essendo da escludere che la conferma o ratifica potessero sanare l'originario vizio.

Venendo quindi al merito del ricorso, la Regione rilevava in primo luogo che la legge impugnata regolava transitoriamente il solo trattamento economico del personale comandato. Essa era espressione del fondamentale principio di eguaglianza perché intesa a parificare il trattamento economico di personale che, pur con diverse qualifiche e diversa provenienza, si era trovato a svolgere lo stesso lavoro e le stesse mansioni, perdendo, per di più, quella parte di retribuzione reale costituita da indennità, gettoni di presenza e emolumenti di altra natura, già variamente percepita presso gli enti di provenienza.

Quanto al secondo profilo della asserita incompetenza della Regione a disciplinare il trattamento economico di personale da essa dipendente solo funzionalmente, si rilevava dapprima che male era stato invocato l'art. 97 della Costituzione, poiché il buon andamento (che, secondo la disposizione richiamata, deve essere assicurato) si riferisce alla singola Amministrazione, nella specie alla Regione lombarda; buon andamento che certo non si sarebbe avuto con il sistema dei diversi emolumenti concessi al personale comandato.

Apodittico era poi ritenere che la Regione non potesse migliorare a fini perequativi il trattamento economico di personale funzionalmente dipendente che restava determinato fondamentalmente dallo Stato o dagli altri enti pubblici. Ed infatti, se é vero che gli emolumenti sono collegati con il grado rivestito, é anche vero che al grado corrispondono determinate funzioni, sicché sarebbe proprio il momento della dipendenza funzionale, più di quello della dipendenza organica, a definire la causa degli emolumenti.

Quanto alla legge n. 62 del 1953, essa all'art. 65 vieta agli enti di provenienza di attribuire indennità al personale comandato, ma non pone alcuna norma che inibisca alla Regione di attribuire indennità o attraverso premi in deroga ed analoghe "provvidenze", o predisponendo un sistema obbiettivo di compensi corrispondenti al valore delle funzioni esercitate. Né infine si poteva richiamare l'art. 67 della legge n. 62 del t953, poiché questa disposizione non dava luogo a norme di principio in ordine al trattamento economico, non ponendo procedure per la determinazione di tale trattamento o parametri minimi in relazione a determinate funzioni.

Concludeva pertanto per la reiezione del ricorso in quanto inammissibile e infondato nel merito.

Nella memoria successivamente depositata, l'Avvocatura dello Stato, dopo aver richiamato la sentenza n. 6 del 1969 della Corte costituzionale al fine di dimostrare l’irrilevanza di una ricerca di una formale deliberazione del Presidente del Consiglio dei ministri, resisteva all'eccezione di inammissibiltà del ricorso per l'omessa previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Al proposito, deduceva che l'art. 127 della Costituzione (unica norma di rango costituzionale che disciplina la materia) non richiede tale previa deliberazione, prescritta, invece, solo dalla legge ordinaria (art. 31 legge 11 marzo 1953, n. 87). Ne ricavava che alla rigida applicazione della legge n. 87 del 1953 si sarebbe potuta contrapporre un'interpretazione più conforme a situazioni eccezionali come quella di specie. Era infatti accaduto che, durante la pendenza del termine per impugnare, il Governo dimissionario era stato sostituito da un nuovo Governo, che peraltro si era completamente formato, con il giuramento del Ministro per il lavoro, solo nel giorno stesso della scadenza del termine per l'impugnazione. Pertanto, mentre al Governo dimissionario non poteva muoversi alcun addebito per non aver proposto il ricorso, il nuovo Governo non si sarebbe potuto riunire, perché non formato, prima del giuramento del Ministro del lavoro, giuramento che, tuttavia, era intervenuto in un momento in cui era materialmente impossibile notificare il ricorso. Nell'evidente impossibilità giuridica, politica e di fatto, di convocare un Consiglio dei ministri ad horas, per deliberare a Roma sulla proposizione di un atto, che doveva essere notificato a Milano, il Presidente del Consiglio dei ministri, in via di urgenza, diede corso all'impugnativa e sottopose la questione, per la ratifica e conferma, al primo Consiglio dei ministri (22 febbraio 1972), che approvò.

Nessun precedente della Corte si attagliava, quindi, a tale situazione, per la quale conveniva adottare un'interpretazione razionale e conservativa dei diritti della parte ricorrente, come era stato fatto nella sentenza n. 39 del 1971. Nel merito l'Avvocatura ribadiva le argomentazioni precedentemente svolte per dimostrare l'incompetenza della Regione a disciplinare lo status giuridico ed il trattamento economico di personale non organicamente dipendente.

La Regione lombarda, a sua volta, insisteva nell'eccezione di inammissibilità, sottolineando, dopo aver richiamato precedenti della Corte in materia, che la richiesta di una previa deliberazione del Consiglio dei ministri é già contenuta nell'art. 127 della Costituzione che attribuisce a questo organo il potere di deliberare il ricorso, come la Corte costituzionale aveva ritenuto nella sentenza n. 8 del 1967. La stessa Corte, inoltre, nella sentenza n. 119 del 1966 aveva opposto il principio della inderogabilità delle competenze costituzionali all'opinione che situazioni eccezionali legittimerebbero il Presidente del Consiglio ad adottare provvedimenti di urgenza, salva ratifica del Consiglio dei ministri.

Del resto era dubbio che la situazione fosse nella specie eccezionale, poiché anche il Governo dimissionario avrebbe potuto proporre il ricorso. Una deroga al principio della collegialità costituirebbe, comunque, un grave precedente che potrebbe condurre ad una prassi tale da vanificare il dettato costituzionale, tanto più che la ratifica o conferma dell'iniziativa presidenziale diverrebbe automatica o quasi, per la menomazione del prestigio del Presidente che si avrebbe ove il Consiglio dei ministri non ratificasse il ricorso.

Nel merito la Regione si riportava a quanto precedentemente dedotto.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con ricorso del 19 febbraio 1972 il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso la questione di legittimità costituzionale della legge approvata il 9 dicembre 1971 dal Consiglio regionale della Regione Lombardia e, a seguito di rinvio, riapprovata il 3 febbraio 1972 a maggioranza assoluta dei componenti dello stesso Consiglio, recante norme concernenti il trattamento economico del personale per la prima costituzione degli uffici e dei servizi regionali, per violazione dell'art. 117, dell'VIII disposizione transitoria e dell'art. 97 della Costituzione, nonché dell'art. 6, comma quinto, n. 6, e dell'art. 47 dello Statuto approvato con legge 22 maggio 1971, n. 339.

2. - Per la Regione Lombardia il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe apparente, inesistente o nullo, perché non sarebbe stato preceduto da una - anche se illegittima - formale determinazione di esso Presidente e sarebbe stato solo sottoscritto da un Avvocato dello Stato, che, per la mancanza di una qualsiasi deliberazione, non avrebbe la veste di rappresentare il Governo.

Sulle ragioni poste a fondamento delle eccezioni e sviluppate nella memoria di costituzione, la resistente non si sofferma più nella memoria difensiva, senza peraltro rinunciarvi: é quindi necessario che la Corte se ne occupi.

Risulta in punto di fatto che il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso la questione di legittimità costituzionale sopra specificata, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato; e dal ricorso non emerge se vi sia stata una formale deliberazione o determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri.

Non vi é dubbio però che la redazione e la sottoscrizione del ricorso da parte dell'Avvocato generale dello Stato e per esso da un sostituto Avvocato generale, siano state precedute da una determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri.

Per l'esistenza ed operatività di un atto del genere non occorre una particolare forma, ma basta, come osserva l'Avvocatura generale, che la volontà del Presidente del Consiglio si esprima, di volta in volta, attraverso i canali necessari e sufficienti in relazione al contenuto dell'atto stesso.

Nella specie, essendoci stata la volontà del Presidente del Consiglio di impugnare davanti alla Corte la legge de qua, come inequivocabilmente é dimostrato dal comportamento dello stesso Presidente ed indirettamente é comprovato dalla deliberazione consiliare del 22 febbraio 1972, di cui infra, ed essendo stata tale volontà portata utilmente a conoscenza dell'Avvocatura generale dello Stato, questa legittimamente ha proposto il ricorso a nome e nell'interesse del Presidente del Consiglio dei ministri.

Nei giudizi in via d'azione valgono circa la rappresentanza e difesa del Governo le norme che sono dettate per l'intervento nei giudizi incidentali (art. 20, comma terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87), e sono applicabili i principi riconosciuti validi da questa Corte (sentenza n. 6 del 1969) a proposito della non necessarietà di un mandato o di uno specifico atto da cui risulti la volontà del Presidente del Consiglio dei ministri.

Stante ciò, la sopraddetta eccezione é infondata.

3. - La Regione Lombardia eccepisce altresì ed in modo preminente che il ricorso sarebbe inammissibile perché la proposizione della questione operata dal Presidente del Consiglio non sarebbe stata preceduta da una conforme deliberazione del Consiglio dei ministri e perché al riguardo non sarebbe consentito al Presidente, neppure per ragioni di urgenza, di sostituirsi al Consiglio.

Invero, alla proposizione del ricorso entro il termine di cui all'art. 127, comma quarto, della Costituzione e all'art. 31, comma primo, della legge n. 87 del 1953, ha fatto seguito, al di là della scadenza del termine stesso, una deliberazione con cui il Consiglio dei ministri ha confermato l'impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale proposta in via d'urgenza dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Ed a queste premesse si riporta la tesi sostenuta dall'Avvocatura dello Stato, per cui, in caso di necessità ed urgenza, il Presidente, salvo ratifica o conferma del Consiglio dei ministri, é legittimato a sostituirsi al Consiglio stesso nell'iniziativa di promuovere una questione di legittimità costituzionale in via principale relativamente ad una legge regionale.

Tale tesi, però, in linea di principio, non può essere condivisa.

Questa Corte ha più volte (sentenze n. 76 del 1963, n. 119 del 1966 e n. 8 del 1967) precisato che il potere di proporre la detta impugnativa spetti al Governo, che sia il Consiglio dei ministri a dover deliberare al riguardo e che il Presidente del Consiglio sia legittimato ad agire se ed in quanto sussista la detta determinazione del Consiglio dei ministri, e correlativamente che neppure per ragioni di urgenza il Presidente si possa sostituire in sede decisionale al Consiglio dei ministri.

Ed ora ritiene che non ricorrono nuove ragioni per mutare il proprio convincimento. In particolare, non é dell'avviso che l'art. 127, ultimo comma, come invece si legge nella difesa dello Stato, "non esclude, di per sé, che, osservato il termine perentorio di quindici giorni, il Presidente del Consiglio dei ministri si assuma, in via d'urgenza, i poteri del Gabinetto, di cui egli rappresenta (art. 95 della Costituzione) la sintesi dell'attività politica generale e di quella di indirizzo politico, salva la successiva conferma o ratifica da parte del Consiglio dei ministri". É vero che solo la legge ordinaria (art. 31 citato) prescrive la previa deliberazione del Consiglio dei ministri, ma tale norma non si presta ad essere interpretata nel senso ora detto, perché é proprio l'art. 127 della Costituzione a ricollegare al Governo e cioé al Consiglio dei ministri i poteri in ordine alla proposizione del ricorso. Senonché, con il mancato accoglimento della tesi difensiva del Presidente del Consiglio dei ministri, non si perviene, come vorrebbe la Regione Lombardia, alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Bisogna anzitutto porre mente al fatto che l'art. 127 si occupa del controllo dello Stato nei confronti delle leggi regionali, prevedendone l'esercizio nei modi del visto e del rinvio per riesame. E che tale controllo può essere fine a se stesso ovvero, per quanto in questa sede rileva, può presupporre e comportare che venga instaurato il giudizio di legittimità costituzionale.

In questa seconda ipotesi, qualora, come nel caso in esame, la legge regionale venga riapprovata nell'identico testo, non appare utile distinguere, nel procedimento di controllo latamente inteso, due fasi, e ritenere che la prima finisca con la riapprovazione della legge (come implicitamente ammesso con la sentenza n. 8 del 1967). E ciò perché il rinvio della legge al Consiglio regionale deve essere preceduto dal controllo del Consiglio dei ministri, e quando questo rinvia con atto motivato, esso rileva vizi di legittimità costituzionale della legge ed invita il Consiglio regionale a considerarli ed a rimuoverli in sede di nuova approvazione.

Tale atto ha una sua componente di volontà in relazione ad un comportamento immediatamente successivo (rinvio) o futuro ed eventuale (ricorso per illegittimità costituzionale alla Corte). E come tale non é istantaneo, ma perdurante, sia pure a date condizioni (e soprattutto a quella della riapprovazione della legge); per cui appare, siccome rilevato in dottrina, come predeterminazione da parte del Governo delle linee essenziali dell'eventuale ricorso alla Corte e del conseguente giudizio di legittimità.

La valutazione e il giudizio espressi dal Consiglio dei ministri non si caducano per decorso di tempo, ma vengono meno solo per il formarsi di una differente determinazione dello stesso Consiglio.

E per ciò all'atto in cui la legge, con lo stesso contenuto di prima, viene riapprovata, in relazione ad essa esistono quella valutazione e quel giudizio.

Di conseguenza, quando l'art. 127 dice che entro 15 giorni dalla comunicazione della nuova approvazione della legge il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale e quando l'art. 31, primo e secondo comma, della legge n. 87 del 1953 dispone che la questione può essere promossa e sollevata "previa deliberazione del Consiglio dei ministri, dal Presidente del Consiglio", si vuole che a fronte dell'atto di rinvio e del ricorso alla Corte esista una volontà attuale di opposizione per ragione di legittimità, del Governo nei confronti della legge regionale perché eccedente la competenza della Regione, e che codesta volontà (già formatasi ed espressa prima della negazione del visto) venga constatata dallo stesso Consiglio dei ministri come esistente al tempo della proposizione del ricorso.

Se però per ragioni eccezionali tale formale constatazione di attuale esistenza della volontà del Consiglio dei ministri non può aver luogo, deve ammettersi che sulla base di quella volontà per altro non modificata, il Presidente del Consiglio abbia il potere di promuovere il giudizio ed il Consiglio dei ministri, almeno prima del deposito del ricorso davanti alla Corte, abbia quello di riaffermare con una formale deliberazione la detta volontà, in modo diretto o in modo indiretto (ratificando o confermando il comportamento del Presidente del Consiglio), e di fornire di ciò la prova nella debita sede.

Nella specie, come risulta dall'atto di rinvio, il cui contenuto é riportato nella memoria di costituzione della Regione, il Consiglio dei ministri ha utilmente e regolarmente effettuato il controllo spettantegli sulla legge regionale de qua ed ha partecipato i motivi (del proprio convincimento e della propria determinazione ai fini) del rinvio al Consiglio regionale.

La volontà di opposizione del Governo alla promulgazione e pubblicazione della legge non ha subito alcuna modifica né tanto meno si é esaurita, per cui se ne può ritenere l'esistenza alla data in cui il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto il ricorso.

Questo atto, pertanto, proviene da un organo legittimato specificamente a sensi dell'art. 31, comma secondo, della legge n. 87 del 1953, a seguito della precedente e perdurante (almeno negli effetti) deliberazione del Consiglio dei ministri.

É mancata, é vero, in fatto la constatazione della perduranza di codesta volontà all'atto della proposizione del ricorso, ma a tale omissione si é ovviato con il successivo atto di conferma.

Da tutto ciò consegue che il ricorso, essendo stato legittimamente proposto ed essendo stato comunque sanato ogni suo eventuale vizio, debba dirsi pienamente ammissibile.

4. - Nel merito, il ricorso é fondato.

La legge in questione si riferisce non solo al trattamento economico ma anche allo stato giuridico del personale comandato.

Non appare sostenibile l'assunto della Regione secondo cui non si é voluto modificare lo stato giuridico del detto personale e si é inteso solo incidere sul suo trattamento economico, e non si é voluto dar vita ad un ruolo a parte ed attribuire qualifiche e mansioni in contrasto con le qualifiche che i singoli dipendenti avevano presso gli enti di appartenenza.

É vero che il titolo della legge fa riferimento al trattamento economico, e che nello stesso senso é il disposto dell'art. 1, comma primo, e dell'art. 2, cpv., ma non deve trascurarsi in contrario che, come ammette la stessa Regione, si é posto in essere un "mansionario" valido per tutto il personale (compreso quello comandato) e quindi si sono sostanzialmente modificate le qualifiche originarie, e tra l'altro e soprattutto si é operata un'integrazione della retribuzione percepita rivalutata attraverso la costruzione della carriera pregressa.

Stante ciò, la legge é illegittima:

a) Perché la Regione non ha il potere di disciplinare lo stato giuridico del personale che non sia regionale ma semplicemente presso di essa comandato (e tuttavia appartenente ai ruoli dello Stato o degli enti locali).

Non basta al detto fine che nella mancanza di un rapporto organico, vi sia un semplice rapporto funzionale.

Nulla può ricavarsi in contrario (come vorrebbe invece fare la Regione) dall'art. 117 della Costituzione e dal citato art. 6, n. 6, dello Statuto regionale. Ché anzi da tali testi emerge chiaramente la necessità, perché la Regione possa provvedere all'organizzazione degli uffici e dei servizi, che tale attività si rivolga, sul piano dei soggetti, nei confronti di personale regionale.

b) Inoltre, la Regione non può dettare un trattamento economico (qualsiasi) per il personale non regionale ancorché dipendente funzionalmente da essa.

É quanto mai significativo al riguardo il precedente in materia offerto dalla sentenza n. 93 del 1968, secondo cui "l'indispensabile presupposto della legittimità d'una legge regionale regolatrice del trattamento economico del personale di determinati uffici é costituito dal fatto che essa si riferisce a dipendenti della Regione".

E non vale eccepire che quello che definisce la causa degli emolumenti sia il momento della dipendenza funzionale perché é evidente che collegando formalmente o fittiziamente il trattamento economico alle mansioni, e modificando queste, si viene a incidere sullo stato giuridico del personale che sul terreno della retribuzione é ancorato al grado e alle qualifiche secondo i ruoli di appartenenza.

c) La Regione, ad ogni modo, si sarebbe dovuta adeguare ai principi a sensi del ripetuto art. 117 e dell'art. 67 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (giusta l'interpretazione datane da questa Corte con la sentenza n. 40 del 1972).

Codesti principi non sono - come vorrebbe la Regione - solo quelli che impongono certe procedure per la determinazione del trattamento economico o certi parametri minimi in relazione a certe funzioni. Sono tali anche, e tra gli altri, quelli che escludono l'automaticità degli scatti di stipendio e li condizionano all'assenza di demerito.

Contro questi ultimi principi é volto il "nuovo" sistema creato dalla Regione che tra l'altro si fonda sulla concessione di uno scatto di classe di stipendio al quinto anno ed in modo indiscriminato per tutti i dipendenti, e sulla attribuzione degli scatti di stipendio prescindendo dall'assenza di demerito.

Appare quindi evidente la violazione delle citate norme.

d) La Regione ha comunque violato direttamente il citato art. 67, seconda parte, della legge n. 62 del 1953, perciò che, fissando la misura degli scatti al sei per cento anziché al 2,50 per cento, ha previsto un trattamento economico più favorevole in assoluto per il personale comandato presso la Regione.

5. - Rimane così assorbito l'esame delle considerazioni relative alla denunciata violazione dell'art. 97 della Costituzione nonché dell'VIII disposizione transitoria.

6. - Si può pertanto concludere per la fondatezza del ricorso.

Ritenuto, infine, che il Presidente della Giunta regionale della Lombardia, nonostante la pendenza del presente giudizio, ha promulgato la legge e ne ha ordinato la pubblicazione e che questa ha avuto luogo nel Bollettino ufficiale n. 9 del 21 febbraio 1972, non può non essere rilevata la gravità di codesto comportamento posto in essere in piena carenza di poteri, senza attendere, in ordine al proposto ricorso, la decisione di questa Corte e cioé dell'unico organo competente ad esprimere al riguardo determinazioni costituzionalmente valide.

Ed essendo intervenuta la pubblicazione della legge, é di questa che deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia del 21 febbraio 1972, n. 2, contenente "norme concernenti il trattamento economico del personale comandato per la prima costituzione degli uffici e dei servizi regionali".

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Costantino MORTATI

Depositata in cancelleria il 27 luglio 1972.