Sentenza n. 57 del 1972

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 SENTENZA N. 57

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 21 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 (disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporti in concessione), modificato dal r.d.1. 2 dicembre 1923, n. 2682, e dell'art. 10 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148 (coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 10 aprile 1970 dal tribunale di Bolzano nel procedimento civile vertente tra Defranceschi Carlo e la società Autolinee "Lana- Merano", iscritta al n. 178 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 150 del 17 giugno 1970;

2) ordinanze emesse il 30 ottobre 1970 dal pretore di Parma nei procedimenti civili vertenti rispettivamente tra Melegari Antonio ed altri e Camellini Sergio ed altri contro l'Azienda municipalizzata pubblici servizi di Parma, iscritte ai nn. 55 e 56 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 87 del 7 aprile 1971;

3) ordinanza emessa il 21 ottobre 1970 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Bernardoni Anelgiro ed altri e l'Azienda trasporti municipali di Milano, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 del 12 maggio 1971;

4) ordinanza emessa l'11 marzo 1971 dal tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra Rutigliani Pasquale e la società Ferrotranviaria, iscritta al n. 226 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 14 luglio 1971.

Visti gli atti di costituzione di Melegari Antonio ed altri, di Bernardoni Anelgiro ed altri, dell'Azienda trasporti municipali di Milano e della società Ferrotranviaria;

udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1972 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

uditi l'avv. Luciano Ventura, per Melegari ed altri e per Bernardoni ed altri, l'avv. Salvatore Villari, per l'Azienda trasporti municipali di Milano, e l'avv. Luigi Montesano, per la società Ferrotranviaria.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 10 aprile 1970 emessa nel procedimento civile vertente tra Defranceschi Carlo e la società Autolinee "Lana-Merano", il tribunale di Bolzano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148 (coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro con quelle sul trattamento giuridico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione) - prima che fosse modificato con l'articolo unico della legge 24 luglio 1957, n. 633 - in riferimento agli artt. 3, 24 e 36 della Costituzione.

La detta questione é stata sollevata anche dal pretore di Parma - in riferimento soltanto agli artt. 24 e 36 della Carta - con due ordinanze entrambe del 30 ottobre 1970, emesse, rispettivamente, nei procedimenti civili vertenti tra Melegari Antonio, Adani Giuseppe, Barozzi Giuseppe, Darecchio Bruno, Guasti Wilmer, Marrone Bruno e l'Azienda municipalizzata pubblici servizi di Parma e tra questa e Camellini Sergio ed altri, nonché dal tribunale di Milano - in riferimento anche all'art. 76 della Carta - con ordinanza 21 ottobre 1970, emessa nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Bernardoni Anelgiro, Bacchella Pierino, Valenti Giuseppe e l'Azienda trasporti municipali di Milano.

Con le suddette due ordinanze il pretore di Parma ha sollevato altresì la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 21 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 (disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporti in concessione), modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, in riferimento all'art. 36 della Costituzione.

Con ordinanza dell'11 marzo 1971, emessa nel procedimento civile vertente tra Rutigliani Pasquale e la Ferrotranviaria S.p.a., il tribunale di Bari ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del secondo e del terzo comma del sopra cennato art. 10 del r.d.l. 8 gennaio 1931, n. 148, così come modificato dall'articolo unico della legge 24 luglio 1957, n. 633, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Nei giudizi avanti questa Corte conseguiti alle suddette ordinanze, non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. Si sono costituiti Melegari, Adani, Barozzi, Darecchio, Guasti, Marrone, Bernardoni, Bacchella e Valenti, nonché l'Azienda trasporti municipali di Milano e la società Ferrotranviaria.

 

Considerato in diritto

 

1. - Trattandosi di procedimenti aventi tutti per oggetto il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, la Corte ritiene di disporne la riunione e la definizione con unica sentenza.

2. - L'ordinanza del tribunale di Bari denunzia l’illegittimità del secondo e del terzo comma dell'art. 10 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, così come modificato dall'articolo unico della legge 24 luglio 1957, n. 633, ritenendo che siano in contrasto con l'art. 24 della Costituzione in quanto dispongono che, per le controversie di natura non patrimoniale, l'azione giudiziaria é improponibile se non é stato proposto il reclamo gerarchico entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento e se non sono decorsi trenta giorni dalla presentazione del reclamo stesso; e violino altresì il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. per il trattamento differenziato del personale addetto ai servizi autoferrotranviari rispetto a tutti gli altri lavoratori.

3. - La questione non é fondata.

La sentenza di questa Corte n. 130 del 1970 ha riconosciuto che in considerazione degli scopi di interesse generale cui é rivolto il procedimento amministrativo nel caso in esame - la tutela giurisdizionale non si può dire menomata per il fatto che il lavoratore debba far conoscere all'azienda, attraverso il reclamo gerarchico, le sue pretese e debba inoltre far trascorrere trenta giorni prima dell'inizio dell'azione giudiziaria. Per quanto la questione allora proposta riguardasse le controversie per prestazioni di natura patrimoniale di cui al quarto comma dell'art. 10, sta di fatto che il reclamo é obbligatorio per tutti i provvedimenti aziendali, di qualunque natura siano, sicché gli argomenti addotti in quella sentenza per dimostrare la legittimità di tale reclamo, valgono, a maggior ragione, per i provvedimenti che non hanno carattere patrimoniale, per i quali il tribunale di Bari propone la questione di legittimità costituzionale. Le due ipotesi differiscono esclusivamente perché, per i provvedimenti di cui si occupa l'ordinanza di rimessione, il terzo comma dell'art. 10 sancisce la non proponibilità dell'azione giudiziaria in caso di mancata presentazione del reclamo entro il termine di sessanta giorni, mentre per i provvedimenti relativi ai diritti contemplati dal quarto comma il reclamo può essere presentato fino a quando tali diritti non siano caduti in prescrizione secondo le norme degli artt. 2948, 2955 e 2956 del codice civile.

Una volta accertato che l'obbligo di presentazione del reclamo non viola l'art. 24 della Costituzione, legittimo appare - in relazione alla tutela di diritti di natura non strettamente patrimoniali - anche il termine suddetto.

Ed invero, le controversie relative a tali diritti (riconoscimento di una qualifica, progressione di carriera, ecc.) possono turbare l'organizzazione del personale ed il funzionamento dei servizi, che la legge intende mantenere costantemente in efficienza e possono incidere altresì su interessi consimili degli altri dipendenti della azienda, interessi che é opportuno non siano esposti, per lungo tempo, ad incertezze ed a rischi.

Ad appagare questa esigenza mira il termine di sessanta giorni, prescritto per la presentazione del reclamo, volendosi con ciò conseguire una sollecita definizione - in via amministrativa - delle controversie, oppure, nel caso in cui questa per tal via non si realizzi, far sì che si adisca al più presto l'autorità giudiziaria.

Ciò posto, non vi é violazione dell'art. 24 Cost. perché - come questa Corte ha ritenuto più volte - non sono illegittime le norme come quella in esame che disciplinano l'esercizio del diritto di difesa, ammettendo oneri, onde evitare abusi od eccessi, o salvaguardare interessi generali che con tale diritto sostanziale non contrastano (sent. n. 83 del 1963; 113 del 1963; 47 del 1964).

4. - Neppure il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione é violato, perché il trattamento differenziato per il personale autoferrotranviario é giustificato da esigenze preminenti. Il complesso di interessi che attengono ad un pubblico servizio, cui é connessa la regolarità del traffico e la sicurezza stessa dei viaggiatori, fa sì che anche nel caso in cui la gestione venga affidata in concessione ad imprese private, esso non perda le caratteristiche del pubblico interesse.

In conseguenza di ciò, il rapporto di lavoro del personale assume una particolare struttura, per cui - se pur inquadrato nell'ambito del diritto privato - conserva le caratteristiche di pubblicità che giustificano la vigilanza ed il controllo delle autorità sul servizio e di particolari compiti e doveri, che il personale deve assolvere non soltanto verso l'azienda concessionaria ma anche verso il pubblico. Ond'é che tale rapporto di lavoro é giustificatamente differenziato da quello degli altri lavoratori.

5. - Anche il testo originario dell'art. 10 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, che dichiara l'improponibilità dell'azione giudiziaria qualora il prestatore d'opera non abbia presentato reclamo gerarchico entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione del provvedimento dell'azienda lesivo dei suoi diritti, viene impugnato dalle ordinanze del tribunale di Bolzano, del tribunale di Milano e del pretore di Parma, perché avrebbe violato, per eccesso di delega, l'art. 76 Cost. e perché sarebbe in contrasto con i principi affermati dagli artt. 3, 24 e 36 della Costituzione.

In merito al denunziato eccesso di delega, la Corte osserva che l'art. 23 della legge 3 aprile 1926, n. 563, sulla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro, autorizzò il Governo "a dare, per decreto, le disposizioni per l'attuazione della legge stessa e per il suo coordinamento con le disposizioni del r.d. 19 ottobre 1923, n. 2311, della legge 15 giugno 1893, n. 295, e del r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2686, che saranno sottoposti alla necessaria revisione, e con ogni altra legge dello Stato".

Non si trattava dunque di coordinare soltanto le norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sull'equo trattamento del personale addetto alle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna esercitate dalla industria privata, da provincie e da comuni, di cui al r.d.l. n. 2311 del 1923, come ritengono le ordinanze di rimessione, ma di un coordinamento di maggiore portata, esteso alla legge n. 295 del 1893, ed ai r.d. del 1923 sopraindicati. Orbene, il principio della presentazione di un reclamo gerarchico per un tentativo di conciliazione fra l'azienda ed il prestatore d'opera faceva parte del sistema introdotto dalla legge sui probi viri del 1893 e riprodotto poi dai due r.d. del 1923 con i quali la nuova legge andava coordinata.

Per di più, l'art. 10 della legge del 1893 sanciva espressamente che "nessuna delle controversie concernenti rapporti di lavoro può essere posta innanzi... ai magistrati ordinari senza previo esperimento di conciliazione innanzi all'ufficio di conciliazione".

Non può pertanto affermarsi che, l'obbligo per il lavoratore di presentare un reclamo in via gerarchica sotto pena di improponibilità dell'azione giudiziaria sia una novità introdotta dal legislatore delegato in violazione dei principi informativi della delega.

6. - Per quanto riguarda la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione valgono gli argomenti innanzi addotti per l'art. 10 nel testo modificato dalla legge del 1957.

Tuttavia le ordinanze rilevano, in primo luogo, che la norma non distingue tra diritti di natura esclusivamente patrimoniale o meno, distinzione introdotta con l'articolo unico della legge n. 633 del 1957 e, in secondo luogo, che essa concede soltanto 15 giorni dalla comunicazione del provvedimento aziendale per presentare il reclamo.

Relativamente al termine la Corte ritiene che anche se il legislatore nel 1957 ha ritenuto opportuno di elevarlo a sessanta giorni, l'esame di legittimità costituzionale può essere fondato soltanto in relazione ai principi di razionalità e di congruità.

E, se così é, non sembra che il termine di quindici giorni sia tanto limitato da non consentire l'esercizio del diritto di difesa.

Infatti, va considerato che il reclamo gerarchico é un atto semplice, privo di formalità, avente per oggetto fatti facilmente rapportabili; che fra l'azienda ed i dipendenti non sussistono ostacoli di tempo o di luogo che possano impedire o ritardare la presentazione del reclamo; e che, infine, come innanzi detto, la sollecita definizione delle controversie in questione che interessano l’organizzazione del personale rientra fra le esigenze di interesse generale, che la legge tutela.

Pertanto non si ritiene irrazionale o non congruo e, quindi, illegittimo il termine di quindici giorni.

Per quanto attiene alla mancata differenziazione, va rilevato che quella distinzione operata dalla legge del 1957 e che la sentenza di questa Corte n. 39 del 1969 ha posto a base della dichiarazione di non fondatezza della questione sollevata in riferimento all'art. 36 della Costituzione deve essere tenuta presente nell'esame dell'impugnazione dell'originario testo dell'art. 10 in riferimento all'art. 24 ed allo stesso art. 36 della Costituzione.

I diritti di carriera, l'inquadramento in categorie o classi, il riconoscimento di una qualifica, ecc., non hanno alcun rapporto col precetto costituzionale, che assicura al lavoratore una retribuzione adeguata alla quantità del lavoro prestato, anche se da essi può derivare, indirettamente, un vantaggio economico, come ha già deciso la predetta sentenza n. 39 del 1969. Ma allorquando si tratti di tutela giurisdizionale per diritti di contenuto esclusivamente patrimoniale, la norma che dichiara la improponibilità dell'azione giudiziaria per mancata o tardiva presentazione del reclamo gerarchico viola gli artt. 24 e 36 della Costituzione. Limitatamente a tali diritti, va pertanto dichiarata la parziale illegittimità della norma impugnata.

7. - Le due ordinanze del pretore di Parma sollevano la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 delle disposizioni annesse al r.d. 19 ottobre 1923, n. 2328, modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, per contrasto con l'ultimo comma dell'art. 36 della Costituzione, che assicura il diritto del lavoratore al riposo settimanale.

La questione é stata decisa dalla sentenza n. 146 del 1971 di questa Corte, che ha dichiarato l'illegittimità del detto art. 21, perché si limita ad attribuire il diritto a 52 riposi periodici ogni anno, dando così vita ad una norma che, per la sua genericità, consente qualsiasi forma di raggruppamento dei riposi stessi, anche in guisa da snaturare od eludere il precetto costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 10 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148 (coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica del rapporto di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), limitatamente alla parte in cui dispone l'improponibilità dell'azione giudiziaria in caso di mancata o tardiva presentazione del reclamo gerarchico, per le controversie di lavoro aventi per oggetto competenze arretrate oppure prestazioni di natura esclusivamente patrimoniale;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, così come modificato dall'articolo unico della legge 24 luglio 1957, n. 633, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 36 e 76 della Costituzione dalle ordinanze del tribunale di Bolzano, del tribunale di Milano e del pretore di Parma, indicate in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 (disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporti in concessione), modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, sollevata dalle ordinanze del pretore di Parma, avendo questa Corte già dichiarato illegittima la suddetta norma con sentenza n. 146 del 1971.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ

Depositata in cancelleria il 29 marzo 1972.