Sentenza n. 44 del 1972

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 SENTENZA N. 44

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge regionale 7 ottobre 1970, riapprovata dal Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige il 21 aprile 1971, recante "nuove norme per l'industria del quarzo e del gesso", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 14 maggio 1971, depositato in cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 1971.

Visto l'atto di costituzione della Regione Trentino- Alto Adige;

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1972 il Giudice relatore Paolo Rossi;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il ricorrente, e l'avv. Aldo Piras, per la Regione.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso notificato il 14 maggio 1971 e depositato il 19 maggio 1971, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 1 e 2 della legge regionale Trentino-Alto Adige, riapprovata il 21 aprile 1971, recante "nuove norme per l'industria del quarzo e del gesso", per contrasto con gli artt. 4, n. 6, e 58, primo comma, dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige e 3 e 42 della Costituzione.

Le norme impugnate trasferiscono i minerali di quarzo e di gesso dalla seconda categoria (quella delle cave) alla prima (quella delle miniere) dell'elenco stabilito dall'art. 2 della c.d. legge mineraria 29 luglio 1927, n. 1443, e attribuiscono in concessione trentennale i giacimenti di quarzo e di gesso, che risultino in normale coltivazione, ai proprietari del suolo ove é situato il giacimento.

Osserva l'Avvocatura dello Stato che siffatte disposizioni sono costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi:

1) la competenza legislativa primaria della Regione nella materia congiunta delle miniere, cave e torbiere, va esercitata in maniera non difforme dai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, i quali esigerebbero il rispetto della classificazione seguita dalla c.d. legge mineraria;

2) la violazione dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato sarebbe ravvisabile nel menzionato mutamento di categoria anche perché attuato mediante norma legislativa, anziché mediante atto amministrativo (così come previsto dall'ordinamento statale), con conseguente soppressione della tutela giurisdizionale;

3) il superamento della tradizionale distinzione tra cave e miniere, operato con legge meramente regionale, assoggetta identici beni a diversi regimi giuridici e crea un'ingiustificata disparità di trattamento tra i cittadini specie se rapportato al disposto dell'art. 117 della Costituzione;

4) la sottrazione della piena disponibilità della cava al proprietario, che non abbia manifestato alcuna colpevole inerzia nello sfruttamento del giacimento, contrasterebbe con la riserva di indennizzo stabilita dall'art. 42 della Costituzione.

Nel presente giudizio si é costituito il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige, rappresentato e difeso dall'avvocato Aldo Piras, chiedendo la reiezione del ricorso proposto dallo Stato.

La difesa della Regione premette che la sottoposizione del quarzo e del gesso al regime minerario é stata adottata per consentire il sorgere di una moderna industria estrattiva che richiede un elevato costo degli impianti, sostenibile solo da imprese cui sia garantita una notevole durata della concessione.

Osserva quindi che nessuno degli argomenti addotti a sostegno dell'illegittimità delle norme nel ricorso dello Stato appare fondato. Invero va rilevato che: 1) la distinzione dei beni estrattivi in due categorie, rispettivamente assoggettate al diverso regime delle miniere e delle cave, non costituisce uno dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, sicché la Regione, che ha competenza legislativa primaria in materia, non é tenuta a rispettarla; 2) non sembra esatto che la Regione possa disporre il mutamento di categoria dei beni soltanto con atto amministrativo, poiché la adozione del provvedimento per legge non comporterebbe diminuzione della garanzia giurisdizionale concessa all'interessato; 3) non v'é violazione dell'art. 58 dello Statuto, secondo cui sono incluse nel patrimonio indisponibile della Regione le cave la cui disponibilità sia sottratta al proprietario, posto che le norme impugnate sottraggono a quest'ultimo la disponibilità dei minerali di quarzo e di gesso; 4) non v'é scavalcamento della distinzione tradizionale tra cave e miniere, ma passaggio di alcune categorie di beni dal regime delle cave a quello delle concessioni minerarie; la differenza di regime cui vengono assoggettati i giacimenti di quarzo e di gesso a seconda della loro ubicazione nel territorio nazionale non implica, automaticamente, violazione del principio costituzionale di uguaglianza, dovendosi considerare la peculiarità del complesso giacimentologico della Regione Trentino-Alto Adige; 5) le norme impugnate, inserendo il quarzo ed il gesso tra i beni soggetti al regime minerario, operano nei confronti di una generalità di soggetti e si riferiscono a beni identificabili a priori per contrassegni intrinseci; la sottrazione di tali beni al regime che ne ammetteva la disponibilità in capo al proprietario del suolo, attuata per l'interesse pubblico riconosciuto inerente ai beni stessi, non esige, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, alcun indennizzo, e pertanto la concessione trentennale di sfruttamento al proprietario che coltivi la cava dimostra soltanto la preoccupazione della Regione di salvaguardare ogni legittimo interesse e la libertà di iniziativa privata.

Le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive argomentazioni nella discussione orale.

 

Considerato in diritto

 

Corre l'obbligo innanzitutto di rilevare che nelle more del giudizio é intervenuta la legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, recante modificazioni allo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, per effetto della quale la potestà legislativa primaria nella materia delle "miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere", già spettante alla Regione, é stata attribuita alle due Provincie di Trento e di Bolzano. La nuova normativa costituzionale stabilisce inoltre, con apposita disposizione transitoria (art. 56), che nelle materie trasferite dalla competenza della Regione a quella delle Provincie continuano ad applicarsi, finché non sia diversamente disposto con legge provinciale, le leggi regionali vigenti alla data di entrata in vigore del nuovo Statuto.

Osserva la Corte che la sopravvenuta modifica statutaria rende inutile il giudizio nel merito del ricorso in esame.

Nella specie il disegno di legge regionale, recante "nuove norme per l'industria del quarzo e del gesso", non potrebbe mai più essere promulgato e assumere forza di legge, a seguito delle sopravvenute disposizioni costituzionali: infatti queste fanno salve, nelle materie trasferite alla competenza delle Provincie, le sole leggi regionali già in vigore il 20 gennaio 1971, tra le quali indubbiamente non può rientrare l'atto regionale impugnato.

Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse alla pronuncia nel merito.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe indicato, per sopravvenuto difetto di interesse alla pronuncia nel merito.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Paolo ROSSI

Depositata in cancelleria il 15 marzo 1972.