Sentenza n. 43 del 1972

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         SENTENZA N. 43

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, lettera d, della legge 15 luglio 1906, n. 327 (sull'esercizio della professione di ragioniere), dell'art. 31, n. 5, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), in relazione alla relativa legge di delega 28 dicembre 1952, n. 3060, e dell'art. 1, terzo comma, del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9 (riordinamento degli esami di Stato di maturità, di abilitazione e di licenza della scuola media), convertito in legge con modificazioni dalla legge 5 aprile 1969, n. 119, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 gennaio 1971 dal tribunale di Novara sul ricorso di Uglietti Angelo, iscritta al n. 86 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 106 del 28 aprile 1971;

2) ordinanze emesse il 20 novembre 1970 dal Tribunale di Torino sul ricorso di Savio Marco e il 2 febbraio 1971 dal tribunale di Lucca sul ricorso di Susini Silvano, iscritte ai nn. 180 e 184 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 7 luglio 1971;

3) ordinanze emesse il 23 marzo 1971 dal Consiglio nazionale dei geometri sui ricorsi di Salardi Mario, Ravazzini Antonio e Valcavi Oscar contro il Collegio dei geometri di Reggio Emilia, iscritte ai nn. 203, 204 e 205 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 7 luglio 1971.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione del Collegio dei geometri di Reggio Emilia;

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1972 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per il Collegio dei geometri di Reggio Emilia, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il ragioniere Angelo Uglietti, che nel 1963 aveva conseguito il diploma di abilitazione tecnico commerciale e quello di ragioniere e perito commerciale, chiedeva con domanda del 14 maggio 1969 di essere iscritto nell'albo dei ragionieri e periti commerciali tenuto dal Consiglio del Collegio di Novara. La domanda veniva rigettata. Identica sorte subiva il successivo ricorso davanti al Consiglio nazionale.

Adito in sede di reclamo il tribunale di Novara, l'Uglietti insisteva nella sua richiesta ed in via pregiudiziale proponeva due eccezioni di illegittimità costituzionale a proposito dell'art. 31, n. 5, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (e la seconda, tenuto conto del disposto dell'art. 2 dello stesso decreto), in relazione alla legge 28 dicembre 1952, n. 3060, per violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Il tribunale, con ordinanza del 19 gennaio 1971, in accoglimento della prima eccezione sollevava questione di legittimità costituzionale del citato art. 31, n. 5, del d.P.R. n. 1068 del 1953, in relazione alla legge di delegazione n. 3060 del 1952, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

In ordine alla rilevanza, osservava che ai fini della pronuncia di merito non si potesse prescindere dall'esame e dall’eventuale applicazione della norma denunciata.

Circa la non manifesta infondatezza, premesso che il legislatore delegato, pur tenendo presente la legge 15 luglio 1906, n. 327, non aveva mantenuto fermo il requisito (biennio di pratica e superamento dell'esame pratico) posto dall'art. 2, comma secondo, lettera d, di detta legge, e nonostante il preciso proposito di innovare, si era limitato a rimettere ad un'altra apposita norma legislativa la disciplina del termine e delle modalità per il conseguimento dell'abilitazione all'esercizio della professione, il tribunale assumeva che il vuoto legislativo così determinato integrasse un difetto di attività legislativa da parte del Governo che si risolveva in una diversità ed in una non conformità della legge delegata a quella di delegazione, con conseguente violazione delle citate disposizioni della Costituzione.

L'ordinanza veniva notificata all'Uglietti, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri, ed era regolarmente comunicata e pubblicata.

Davanti a questa Corte si costituiva il Collegio dei ragionieri e periti commerciali di Novara il quale, a mezzo degli avvocati Vittorio Mandel e prof. Massimo Severo Giannini concludeva per la non fondatezza della questione.

2. - Sulla domanda di iscrizione all'albo dei ragionieri e periti commerciali di Torino, avanzata dal ragioniere Marco Savio, che aveva conseguito il diploma nel 1965, sia il Consiglio del Collegio dei ragionieri e periti commerciali di Torino che il Consiglio nazionale, in sede di ricorso, si pronunciavano in senso negativo.

Adito dal Savio il tribunale di Torino e sollevata dall'interessato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 31, n. 5, del d.P.R. n. 1068 del 1953 negli stessi termini di cui al precedente giudizio, il tribunale, con ordinanza del 20 novembre 1970, riteneva d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma secondo, lettera d, della legge n. 327 del 1906 in riferimento agli artt. 3 e 33, comma quinto, della Costituzione. L'esame pratico previsto da questa norma - ad avviso del tribunale - non offrirebbe le necessarie garanzie di sorveglianza, e non sarebbero denunciabili le eventuali irregolarità; d'altra parte quell'esame non potrebbe definirsi "di Stato" e si risolverebbe in un semplice accertamento di carattere pratico odiernamente non più adeguato alle esigenze poste a base dell'esame di Stato richiesto per l'esercizio professionale. Si avrebbe infine un'evidente disparità di trattamento tra i ragionieri e gli altri professionisti, per ciò che accanto all'esame pratico, per altro meno importante e meno garantito dell'esame di Stato prescritto per gli altri professionisti, é richiesto un biennio di pratica.

L'ordinanza veniva notificata al ricorrente, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri, ed era regolarmente comunicata e pubblicata.

Davanti a questa Corte si costituiva il Collegio dei ragionieri e periti commerciali di Torino che, a mezzo degli avvocati Antonio Forchino, Vittorio Mandel e prof. Massimo Severo Giannini si pronunciava per la legittimità costituzionale della norma oggetto della denuncia.

Spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, che a mezzo del sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese concludeva per l'infondatezza della questione. Ad avviso della difesa dello Stato, non essendo stata a tutt'oggi emanata la norma legislativa di cui all'art. 31, n. 5, del d.P.R. n. 1068 del 1953, deve ritenersi, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalente, che sia in vigore la disciplina della legge n. 327 del 1906 e del relativo regolamento. Gli esami sostenuti al termine dei corsi di studio dagli iscritti agli istituti tecnici commerciali sarebbero veri e propri esami di Stato, e perciò non avrebbe fondamento la denuncia che presuppone una disparità di trattamento tra ragionieri ed altri professionisti.

In particolare, non si può dire che detto esame costituisca un di più richiesto dalla legge ai ragionieri per l'iscrizione all'albo perché esso deve essere considerato integrativo dell'esame di Stato previsto al termine dei corsi di studio presso gli istituti tecnici commerciali. E non può contestarsi al legislatore la facoltà di aggiungere in modo razionale (come nel caso in esame), per particolari categorie di professionisti, ad un esame di Stato, altri accertamenti della loro capacità a fini professionali. Né codesto ulteriore accertamento é in contrasto con l'art. 33, comma quinto, della Costituzione che si limita a richiedere un requisito minimo per l'abilitazione all'esercizio professionale. Né infine é censurabile sotto profili costituzionali la prescrizione del biennio di pratica, essendo la necessità di un periodo minimo di tirocinio pratico prevista per altre categorie di professionisti.

3. - Davanti al Consiglio del Collegio dei ragionieri e periti commerciali di Lucca e successivamente davanti al Consiglio nazionale, il ragioniere Silvano Susini, che nel 1920 aveva conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale, nonché quello di abilitazione tecnico commerciale, proponeva domanda di iscrizione all'albo professionale.

Avverso la pronuncia sfavorevole del Consiglio nazionale l'interessato ricorreva davanti al tribunale di Lucca insistendo nella richiesta e pregiudizialmente sollevando la stessa questione prospettata dai ragionieri Uglietti e Savio nei procedimenti già ricordati.

In camera di consiglio si presentava e depositava comparsa il ragioniere Vittorio Varetti, in proprio e quale Presidente del Consiglio del Collegio di Lucca, ma il tribunale nel contrasto delle parti dichiarava inammissibile codesto intervento e disponeva di conseguenza.

Dopodiché con altra ordinanza del 2 febbraio 1971 il giudice considerava rilevante (limitandosi ad osservare che la decisione avrebbe influito sulla pronuncia di merito) e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 1969, n. 119, in riferimento all'art. 33 , comma quarto (recte: quinto) della Costituzione.

Secondo il tribunale l'illegittimità costituzionale risiederebbe nel fatto che mentre il precetto costituzionale prevede due esami, uno per la conclusione degli studi in ogni ordine e grado di scuola ed un altro per l'abilitazione all'esercizio professionale, in base alla norma denunciata il titolo conseguito nell'esame conclusivo degli studi svolti negli istituti tecnici abiliterebbe direttamente all'esercizio della professione e nessun altro esame quindi sarebbe necessario.

L'ordinanza veniva notificata alla parte, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri ed era oggetto di regolare comunicazione e pubblicazione.

Davanti a questa Corte si costituiva il Collegio dei ragionieri e periti commerciali di Lucca il quale, a mezzo degli avvocati Vittorio Mandel e prof. Massimo Severo Giannini, concludeva, perché, in via principale, fosse dichiarata fondata la questione, ed in via subordinata, fosse accertata la vigenza ed applicabilità della sopra citata norma della legge n. 119 del 1969 per lo svolgimento dell'attività di ragioniere non avente carattere professionale nel senso giuridico del termine, e dell'art. 31 del d.P.R. n. 1068 del 1953 ed in relazione al Regolamento del 1906 per lo svolgimento dell'attività professionale in senso proprio.

Spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri che a mezzo del sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, chiedeva alla Corte di voler dichiarare inammissibile (per assoluta ed evidente inapplicabilità della normativa del 1969 alla specie) o comunque non fondata la questione.

A quest'ultimo riguardo la difesa dello Stato osservava che la norma denunciata non aveva portata innovativa rispetto alla legislazione precedente in tema di esercizio pubblico della professione e pertanto le norme relative dovevano considerarsi in vigore, con la conseguenza della loro piena compatibilità con l'art. 33 della Costituzione. Rilevava altresì che alle medesime conclusioni si doveva pervenire in ipotesi qualora si volesse ammettere il carattere innovativo della legge del 1969: fermo l'obbligo costituzionale dell'esame di Stato sarebbe riservato al legislatore ordinario di tener conto nella concreta disciplina dell'istituto delle esigenze del pubblico interesse di volta in volta emergenti. E ciò sarebbe dato rilevare nella specie.

Comunque non dovrebbe essere trascurata la circostanza che secondo la normativa in oggetto l'esame di maturità avrebbe assunto caratteristiche tali da renderlo idoneo ad accertare anche la capacità professionale.

4. - Relativamente ai tre giudizi, fin qui richiamati, i Collegi dei ragionieri e periti commerciali di Novara, di Torino e di Lucca presentavano un'unica memoria.

L'Avvocatura generale dello Stato del pari presentava un’unica memoria per le questioni sollevate dai tribunali di Torino e di Lucca.

Con i detti scritti difensivi i Collegi locali ed il Presidente del Consiglio dei ministri svolgevano le ragioni a sostegno delle rispettive domande, ed insistevano nelle precedenti conclusioni.

5. - Con tre ordinanze di identico contenuto, emesse in data 23 marzo 1971 nei procedimenti rispettivamente promossi dai geometri Mario Salardi, Antonio Ravazzini ed Oscar Valcavi, il Consiglio nazionale dei geometri, ritenuta l'applicabilità alle specie della legge 5 aprile 1969, n. 119 (dato che i ricorrenti avevano chiesto l'iscrizione all'albo in base a diplomi conseguiti ai sensi della citata legge), riteneva costituzionalmente illegittima, per contrasto con l'art. 33, comma quinto, della Costituzione la norma di cui all'art. 1, comma terzo, del d.l. n. 9 del 1969 convertito nella legge n. 119 dello stesso anno.

Secondo il giudice a quo dall'art. 33 della Costituzione si desume il principio che per l'esercizio della professione occorre il superamento non solo dell'esame di Stato previsto a conclusione del ciclo scolastico ma anche di quello avente specificamente la funzione di abilitare all'esercizio professionale: i due esami peraltro assolvono nel sistema ad una diversa funzione. Quel principio poi non viene meno qualora i due esami si svolgano congiuntamente e sempre che il conseguimento delle due finalità sia garantito.

Senonché con la citata normativa del 1969 l'unificazione dell'aspetto accademico e di quello professionale dell'esame di Stato non é strutturata in modo tale da assicurare la rispondenza dell'esame stesso anche alla finalità tecnico- professionale: il ripetuto esame avrebbe carattere esclusivamente accademico e non professionale e non darebbe alcuna garanzia in ordine alle attività che debbono essere svolte dal professionista.

Le tre ordinanze venivano notificate, ed in ciascuno dei tre procedimenti, al ricorrente, al Consiglio del Collegio dei geometri ed al Procuratore della Repubblica di Reggio Emilia, e al Presidente del Consiglio dei ministri.

Davanti a questa Corte si costituiva soltanto il Collegio dei geometri di Reggio Emilia con tre identici atti di deduzioni ed a mezzo del prof. avv. Giuseppe Guarino. Non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Il Collegio dei geometri con le deduzioni e con una memoria, dopo un ampio svolgimento delle ragioni concludeva per la piena fondatezza della questione come sopra sollevata.

6. - All'udienza del 12 gennaio 1972, preliminarmente la Corte, sentito il prof. avv. Massimo Severo Giannini nell'interesse dei tre Collegi locali dei ragionieri e periti commerciali, con separate ordinanze dichiarava l'inammissibilità delle relative costituzioni in giudizio.

Dopo di che il prof. avv. Giuseppe Guarino, per il Collegio dei geometri di Reggio Emilia, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri, svolgevano le rispettive difese.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le sei ordinanze indicate in epigrafe sono sollevate questioni di legittimità costituzionale identiche o strettamente connesse a proposito di norme relative o riferite all'ordinamento delle professioni di ragioniere e perito commerciale, e di geometra.

Infatti, il tribunale di Torino ritiene che sia in contrasto con gli artt. 3 e 33, comma quinto, della Costituzione la norma dell'art. 2, comma secondo, lettera d, della legge 15 luglio 1906, n. 327 (sull'esercizio della professione di ragioniere); per il tribunale di Novara, con l'art. 31, n. 5, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), in relazione alla legge 28 dicembre 1952, n. 3060 (contenente delega al Governo della facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio e di ragioniere), sarebbero violate le disposizioni di cui agli artt. 76 e 77 della Carta costituzionale; ed infine, secondo il tribunale di Lucca ed il Consiglio nazionale dei geometri (con tre ordinanze), l'art. 1, comma terzo, del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9 (riordinamento degli esami di Stato di maturità, di abilitazione e di licenza della scuola media), convertito nella legge 5 aprile 1969, n. 119, urterebbe contro il citato art. 33, comma quinto, della Costituzione.

Ricorrono, per ciò, i presupposti perché i giudizi così insorti siano riuniti e decisi con una sola sentenza.

2. - All'esame della questione sollevata dal tribunale di Lucca non é di ostacolo la circostanza, messa in rilievo dall'Avvocatura generale dello Stato, che, avendo l'interessato conseguito il diploma nel 1920, il giudice a quo non avrebbe mai potuto applicare nei di lui confronti la norma denunciata e cioé l'art. 1, comma terzo del citato d.l. n. 9 del 1969.

La Corte ritiene che non ricorre il dedotto palese difetto di rilevanza, perché il tribunale ha sostanzialmente interpretato la norma in questione nel senso che la stessa fosse applicabile a tutti quelli che avessero o avrebbero superato l'esame conclusivo degli studi nell'istituto tecnico.

Ad ogni modo, la stessa questione é prospettata dal Consiglio nazionale dei geometri, e per essa non esiste alcuna eccezione o ragione di inammissibilità.

3. - Le ordinanze emesse dai tribunali di Torino, di Novara e di Lucca denunciano l'esistenza di dubbi e di contrasti circa la vigenza e la portata di norme relative all'esercizio della professione di ragioniere e perito commerciale.

Chiamati a pronunciarsi sui reclami proposti da tre ragionieri contro decisioni del competente Consiglio nazionale, che aveva rigettato le loro domande di iscrizione nell'albo professionale, i detti tribunali hanno ritenuto rispettivamente che ai fini dell'iscrizione nell'albo fossero tuttora necessari, oltre il conseguimento e possesso del titolo di studio, il compimento di un biennio di pratica presso un ragioniere collegiato ed il superamento dell'esame pratico a sensi del citato art. 2, comma secondo, lettera d della legge n. 327 del 1906; che nei confronti di questa norma e delle relative disposizioni regolamentari (artt. 18 a 23 del r.d. 9 dicembre 1906, n. 715) il legislatore avesse voluto innovare con la citata legge n. 3060 del 1952 e con il citato d.P.R. n. 1068 del 1953 (art. 31, n. 5); e infine, che anche queste ultime norme fossero state abrogate con il citato d.l. n. 9 del 1969 (art. 1, comma terzo) e con la relativa legge di conversione n. 119 dello stesso anno.

Si presenta per ciò conveniente un esame analitico e complessivo di tutte le norme ora ricordate, onde accertare se ed in che senso le questioni sollevate dai tre tribunali concernano norme vigenti e attinenti all'ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale.

4. - L'esercizio pubblico della professione di ragioniere é stato oggetto di apposita disciplina a mezzo della citata legge n. 327 del 1906, la quale lo ha riservato "ai ragionieri regolarmente iscritti nei Collegi" (art. 1) istituiti in ogni provincia, ed ha previsto tra le condizioni necessarie per far parte del Collegio che l'aspirante avesse conseguito il diploma di ragioniere oppure fosse abilitato all'insegnamento della ragioneria negli istituti tecnici, o licenziato da una scuola superiore di commercio, sezione di ragioneria o di commercio, o fosse stato abilitato all'esercizio della professione di ragioniere prima dell'ordinamento scolastico di allora e secondo le norme nel tempo vigenti (art. 2, comma secondo, lettera c); e che l'aspirante avesse, dopo ottenuto il diploma, fatto pratica, presso un ragioniere collegiato, durante due anni, ed avesse superato un esame pratico (lettera d dello stesso articolo, e artt. 18 a 23 del citato r.d. n. 715 del 1906).

A codesto ordinamento, per vari decenni, non sono state apportate modifiche. Anzi nel 1934, di esso si é implicitamente confermata la vigenza, stabilendosi con l'art. 1 del r.d.l. n. 565 del 19 marzo, contenente norme a favore dei ragionieri ex combattenti, che per questi il periodo di pratica sopra indicato fosse ridotto da due anni a tre mesi.

Solo con la citata legge n. 3060 del 1952 il legislatore ha voluto che si procedesse alla revisione del detto ordinamento.

Ed infatti ha delegato il Governo a provvedere a tale revisione, fissando i principi e criteri direttivi a cui il Governo stesso si sarebbe dovuto attenere. In particolare, a questo ultimo riguardo, ha stabilito che la determinazione del campo delle attività professionali dei ragionieri (e dei dottori commercialisti per la revisione del cui ordinamento era stata del pari concessa delega) non dovesse importare attribuzioni di attività in via esclusiva; che la costituzione degli organi professionali dovesse ispirarsi a principi democratici; che l'iscrizione negli albi non dovesse in alcun caso consentirsi agli impiegati dello Stato e delle altre pubbliche Amministrazioni, ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, fosse vietato l'esercizio della libera professione; e che i procedimenti relativi all'iscrizione e alla cancellazione dall'albo e quelli in materia disciplinare dovessero essere regolati in maniera da assicurare la tutela dei diritti degli interessati e la difesa degli incolpati.

Con il d.P.R. n. 1068 del 1953 il legislatore delegato, dopo avere statuito che il "ragioniere e perito commerciale non può esercitare la professione se non é iscritto nell'albo" (art. 2), ha disposto che per ottenere codesta iscrizione é necessario, tra l'altro, "avere compiuto il corso di studi negli istituti tecnici commerciali o essere abilitati all'insegnamento della ragioneria in detti istituti, ovvero essere stato abilitato all'esercizio della professione di ragioniere prima dell'entrata in vigore dell'ordinamento professionale approvato con legge 15 luglio 1906, n. 327" (art. 31, n. 4), e "oltre ad aver compiuto il corso di studi indicato nel numero 4, avere anche conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione nel termine e con le modalità che saranno stabilite con apposita norma legislativa, su proposta del Ministro per la pubblica istruzione di concerto con quello per la grazia e giustizia" (art. 31, n. 5).

Successivamente e sino ad oggi non é stata emanata la legge prevista in ordine al secondo dei requisiti ora detti e non sono state apportate modifiche o integrazioni al vigente ordinamento.

5. - Dall'esposizione che precede risulta con sicurezza che sono tuttora in vigore, sul punto relativo ai requisiti richiesti per l'iscrizione nell'albo e per l'esercizio pubblico della professione di ragioniere, le norme di cui alla legge n. 327 del 1906 (art. 2, comma secondo, lettera d), ed al relativo regolamento d'esecuzione (r.d.l. n. 715 del 1906, artt. 18-23), non essendo state le stesse abrogate o derogate da norme successive ed in particolare da quelle di cui alla legge n. 3060 del 1952 (articolo unico) e al d.P.R. n. 1068 del 1953 (articolo 31, nn. 4 e 5).

Con la legge di delegazione, in funzione dell'ordinamento della professione di ragioniere, sono stati fissati principi e criteri direttivi in coerenza con una volontà innovatrice ed in modo tale che l'emittenda disciplina potesse essere adeguata alle attuali esigenze, ma non si é inteso modificare né si é modificata la preesistente normativa circa il punto sopraddetto.

Vi si parla infatti di riforma e di revisione dell'ordinamento professionale, ma il solo principio o criterio direttivo attinente ai requisiti per l'iscrizione nell'albo (quello di cui alla lettera c del citato articolo unico) é dettato per i ragionieri, impiegati dello Stato e delle altre pubbliche Amministrazioni, ai quali sia vietato l'esercizio della libera professione. Il che significa che proprio per quei requisiti il legislatore non ha inteso dar vita ad una nuova disciplina (tanto é vero che al riguardo non ha indicato principi e criteri direttivi) ed anzi ha voluto che nella sostanza la preesistente normativa venisse confermata.

E la legge delegata, del pari, sul punto non innova espressamente; e non contiene neppure una norma di abrogazione di atti normativi precedenti. Né ricorre alcuna abrogazione o derogazione tacita delle preesistenti disposizioni.

Al contrario, di esse vi si trova un’importante conferma, essendo specificamente richiesto che il ragioniere per conseguire la iscrizione nell'albo deve aver superato sia l'esame di Stato scolastico che quello professionale. Tale volontà positiva, sicuramente esistente e risultante dal chiaro disposto dei nn. 4 e 5 dell'art. 31 non é poi svuotata di contenuto o eliminata dalla contestuale volontà di non disciplinare attualmente l'esame professionale (col rimetterne la determinazione del tempo e delle modalità, ad una successiva legge) perché la prima volontà, come si é detto, é meramente confermativa di una parte di precedenti norme e tutte, ed in special modo quelle relative al termine e alle modalità dell'abilitazione, erano e sono rimaste in vigore. Non vi é quindi alcun vuoto legislativo, che per altro sarebbe colmato, ma solo una omissione di atti normativi che, fermo il principio del doppio esame di Stato positivamente riaffermato, si sarebbero potuti rivolgere a disciplinare in modo eguale la stessa materia considerata dalle norme del 1906, le quali, pertanto, non essendo state modificate neppure in parte, sono rimaste integralmente in vigore.

6. - Sulla normativa attinente al campo professionale non hanno inciso le leggi che si sono succedute in materia scolastica, e fino al d.l. n. 9 del 1969 ed alla relativa legge di conversione.

Tali leggi, infatti, hanno un ambito ed un contenuto ben definiti e propri, essendo dettate per disciplinare le forme, i modi ed i tempi della istruzione pubblica, e non concernono minimamente la distinta e diversa materia delle libere professioni e non possono quindi riferirsi all'esercizio delle relative attività.

A proposito, poi, degli esami da sostenere a conclusione degli studi, esse leggi tendono a mantenerli distinti da quelli professionali, previsti dai vari ordinamenti.

E non rileva in contrario che attraverso il superamento degli esami scolastici conclusivi sia stato conseguito, almeno dal 1924 in poi, un titolo di abilitazione all'esercizio professionale.

Va al riguardo considerato che, in base all'ordinamento dell'istruzione media commerciale di cui al r.d. 15 maggio 1924, n. 749, "il diploma conseguito in seguito agli esami di abilitazione presso gli istituti commerciali, dà diritto all'esercizio della professione e all'iscrizione nei relativi albi professionali, alle condizioni fissate dalle vigenti disposizioni in materia" (art. 51); che con il riordinamento dell'istruzione media tecnica, attuato con la legge 15 giugno 1931, n. 889, chi abbia superato l'esame di abilitazione, al termine del corso superiore dell'istituto tecnico, consegue un diploma di abilitazione tecnica alle diverse professioni e precisamente, per la sezione commerciale, "il diploma di ragioniere e perito commerciale che abilita all'impiego in uffici amministrativi e commerciali pubblici e privati e all'esercizio professionale" (art. 65); ed infine che, secondo il d.l. n. 9 del 1969, "il titolo conseguito nell'esame di maturità posto a conclusione degli studi svolti nell'istituto tecnico... abilita... all'esercizio della professione" (art. 1, comma terzo).

Ma codesta normativa, dal contenuto costante, che parla di "diritto all'esercizio della professione" o di abilitazione "all'esercizio professionale" o "all'esercizio della professione", considera sempre il titolo di studio (a conclusione degli studi svolti nell'istituto tecnico) solo come titolo di legittimazione all'esercizio della professione, ma non anche come autorizzazione all'esercizio stesso, siccome é rigorosamente detto nel citato art. 51 del r.d. n. 749 del 1924.

Non va infine trascurato che la non incidenza delle norme sopra richiamate sull'ordinamento professionale dei ragionieri e periti commerciali, trova una conferma nell'avere il citato r.d.l. n. 565 del 1934 confermato, dopo l'entrata in vigore della citata legge n. 889 del 1931, la vigenza delle norme del 1906.

7. - É pertanto alla luce delle considerazioni che precedono, che vanno esaminate le questioni sollevate con le ordinanze dei tribunali di Torino, di Novara e di Lucca.

A proposito di quella relativa all'art. 31 n. 5 del d.P.R. n. 1068 del 1953, interpretata nei sensi già detti la norma ed escluso quindi che il legislatore, con la legge di delegazione e con quella delegata, abbia innovato nei confronti della preesistente normativa, con l'abrogazione delle norme del 1906, ed abbia, con l'omissione di atti normativi, provocato un vuoto nel sistema, deve dirsi che la lamentata violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione non sussiste.

Codeste disposizioni, prescrivendo che l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo determinato e per oggetti definiti, e che il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria, fissano i presupposti, le condizioni ed i limiti dell'attività legislativa delegata.

E riflettono nel contempo l'esigenza che la legge delegata sia nel suo contenuto sostanziale conforme a quella di delegazione.

In particolare, non si ha difformità tra le due leggi, sufficiente ad integrare una violazione dei citati precetti costituzionali, qualora, con la legge delegata siano dettate o implicitamente mantenute norme già esistenti nel sistema, rientranti nella materia oggetto della delega e compatibili con i principi e criteri direttivi.

Non viola, per tanto, gli artt. 76 e 77 della Costituzione l'art. 31, n. 5, del d.P.R. n. 1068 del 1953, in relazione all'articolo unico della legge n. 3060 del 1952, perché, richiedendo, tra le condizioni per l'iscrizione nell'albo dei ragionieri e periti commerciali tenuto dal Collegio provinciale, oltre il possesso del titolo di studio, il superamento dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione nel termine e con le modalità che sarebbero stati stabiliti con successiva legge su proposta del Ministro per la pubblica istruzione di concerto con quello per la grazia e giustizia, da un canto conferma che per l'iscrizione all'albo occorre il superamento, oltre che dell'esame scolastico, anche di quello professionale (che per i ragionieri e periti commerciali é l'esame pratico richiesto, unitamente al biennio di pratica, dalle citate norme del 1906) e dall'altro, attraverso il rinvio, non dà vita a norme estranee alla materia della delega o incompatibili con i principi ed i criteri direttivi di cui alla stessa legge di delega.

8. - Sono parimenti non fondate le questioni sollevate dai tribunali di Torino e di Lucca, per cui le norme denunciate (art. 2, comma secondo, lettera d, della legge n. 327 del 1906, e art. 1, comma terzo, del d.l. n. 9 del 1969) sarebbero in contrasto con l'art. 33, comma quinto, e la prima anche con l'art. 3 della Costituzione.

Giova, al riguardo, tenere, anzitutto, presente che l'art. 33, comma quinto, intervenuto quando, per l'esercizio pubblico di date professioni, vigevano generali o speciali ordinamenti, ha necessariamente di questi preso e dato atto, e, prescrivendo "un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale", ha segnato e segna un limite all'attività, passata e futura, del legislatore.

In sede di disciplina degli esami di Stato, di quello conclusivo dei corsi degli studi e di quello professionale, distinti o unificati che essi siano, non possono mancare norme circa le condizioni di ammissione, i programmi di esame, e la struttura e funzione della commissione esaminatrice, e circa le garanzie per gli interessati, in modo tale che sia possibile ed effettivo un serio ed oggettivo accertamento del grado di maturità del discente e del concreto possesso da parte dello stesso della preparazione, attitudine e capacità tecnica necessarie perché dell'esercizio pubblico dell'attività professionale i cittadini possano giovarsi con fiducia.

Non viola per tanto il detto precetto costituzionale l'art. 2, comma secondo, lettera d, della legge n. 327 del 1906: sono, infatti, ed in particolare, tenuti distinti l'esame di Stato a conclusione del ciclo degli studi, e l'altro, parimenti di Stato, a carattere e fine professionale; e questo secondo esame, denominato "pratico", é strutturato in maniera tale da essere, anche se in misura ridotta e però appena sufficiente, idoneo ad un conveniente accertamento da parte della commissione della preparazione pratica di chi, in possesso del titolo di studio, aspiri a svolgere in modo autonomo e pubblico l'attività professionale.

Per queste stesse ragioni, rilevanti sotto altro profilo, la norma denunciata non risulta neppure in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Non si é in presenza di una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti di una categoria di professionisti, come sostiene il giudice a quo per ciò che le norme del 1906 richiederebbero, per autorizzare il ragioniere all'esercizio professionale, qualcosa di più (il biennio di pratica) o qualcosa di meno (un semplice esame pratico) di quel che altri ordinamenti esigono per altri professionisti.

Non possono infatti dirsi eguali le situazioni degli esercenti le varie professioni e quindi é ben possibile che non siano uniformi le norme relative alle singole professioni.

E comunque, anche a voler ammettere che siano sostanzialmente comuni le esigenze da tutelare legislativamente, le norme emanate per le varie professioni, comparativamente considerate, sarebbero tuttavia coerenti con il principio di eguaglianza solo che rispecchiassero nella sostanza quelle esigenze.

In particolare, le norme del 1906, relative alla professione di ragioniere, messe a raffronto con quelle disciplinanti altre professioni, sono, come si é detto, sufficientemente rispettose delle garanzie volute dall'art. 33, comma quinto, ed in quanto tali tutelano le dette esigenze e riflettono comunque un ragionevole uso della discrezionalità spettante al legislatore.

9. - Non viola l'art. 33, comma quinto, della Costituzione neppure la norma di cui all'art. 1, comma terzo, del d.l. n. 9 del 1969, convertito nella legge n. 119 dello stesso anno.

Con la norma denunciata, infatti, a conferma di quanto in passato disposto con gli artt. 50 e seguenti del r.d. n. 749 del 1924, e 51, lettera f, e 65 della legge n. 889 del 1931, e per l'esame previsto a conclusione degli studi svolti presso gli istituti tecnici, si dichiara solamente che il diploma di maturità conseguito presso codesti istituti "abilita alla professione", e con ciò la disciplina é destinata ad operare sul terreno scolastico e non anche immediatamente e direttamente su quello professionale; e d'altra parte, ai fini dell'esercizio professionale per i ragionieri e periti commerciali rilevano le indicate norme del 1906 e del 1953, intese e coordinate nei modi anzidetti.

Deve quindi dirsi non fondata la questione che, relativamente alla detta norma il tribunale di Lucca ha sollevato con l'ordinanza indicata in epigrafe.

10. - Infine - e correlativamente - risulta non fondata la questione prospettata, con le tre ordinanze di identico contenuto, dal Consiglio nazionale dei geometri, concernente lo stesso art. 1, comma terzo, del d.l. n. 9 del 1969 e sempre in riferimento all'art. 33, comma quinto, della Costituzione.

Dato che la norma denunciata non ha portata innovativa e specificamente non dispone che colui che abbia superato l'esame di maturità alla fine dei corsi presso gli istituti tecnici per geometri, ed in quanto abilitato, per ciò solo, all'esercizio della professione, abbia diritto all'iscrizione nell'albo tenuto dal Consiglio del collegio provinciale, mancano le condizioni perché si possa riscontrare un qualsiasi contrasto tra quella norma e la disposizione costituzionale in riferimento.

Allo stato attuale della legislazione, per ciò, per la professione di geometra é il relativo ordinamento (ed in particolare, e tra le altre, la norma di cui all'art. 4, lettera c, del r.d. 11 febbraio 1929, n. 274) che andrebbe messo a raffronto con le disposizioni e i principi della Costituzione.

Una norma come quella denunciata, che - interpretata nei sensi sopraddetti - non concerne l'esame di abilitazione all'esercizio professionale, conseguentemente non é in contrasto con l'art. 33, comma quinto, là ove questo prescrive il detto esame.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 2, comma secondo, lettera d, della legge 15 luglio 1906, n. 327 (sull'esercizio della professione di ragioniere), in riferimento agli artt. 3 e 33, comma quinto, della Costituzione;

b) dell'art. 31, n. 5, del d.PR. 27 ottohre 1953, n. 1068 (ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), in relazione alla legge 28 dicembre 1952, n. 3060 (delega al Governo della facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio e di ragioniere), in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione;

c) dell'art. 1, comma terzo, del d.l. 15 febbraio 1969, n. 9 (riordinamento degli esami di Stato di maturità, di abilitazione e di licenza della scuola media), convertito in legge con modificazioni dalla legge 5 aprile 1969, n. 119, in riferimento all'art. 33, comma quinto, della Costituzione;

sollevate con le ordinanze indicate in epigrafe rispettivamente dal tribunale di Torino, dal tribunale di Novara, e dal tribunale di Lucca e dal Consiglio nazionale dei geometri.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe CHIARELLI

Depositata in cancelleria il 15 marzo 1972.