Sentenza n. 87 del 1971
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SENTENZA N. 87

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 91, secondo comma, del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (testo unico delle norme sulla circolazione stradale), promosso con ordinanza emessa il 17 aprile 1969 dal pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Dassetto Maria Magda, iscritta al n. 304 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 207 del 13 agosto 1969.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 febbraio 1971 il Giudice relatore Angelo De Marco;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri  

Ritenuto in fatto 

Nel procedimento penale a carico di Maria Magda Dassetto, imputata della contravvenzione di cui all'art. 80 del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (cosiddetto codice della strada) per avere circolato guidando un'automobile, nonostante la patente di guida le fosse stata ritirata dal prefetto di Torino, nell'esercizio del potere attribuitogli dall'art. 91, comma secondo, del predetto d.P.R., essendo essa Dassetto diffidata, ai sensi dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, il pretore di Torino, accogliendo analoga richiesta della difesa dell'imputata, con ordinanza 17 aprile 1969, sollevava questione di legittimità costituzionale di detto articolo 91, comma secondo, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Il pretore dichiarava rilevante ai fini del giudizio la sollevata questione, in quanto nel caso di illegittimità del potere del prefetto di ritirare la patente, sarebbe caduto il presupposto del reato attribuito all'imputata.

Ne motivava, poi, la non manifesta infondatezza, rilevando testualmente: "Infatti la norma attribuisce al prefetto una discrezionalità assoluta circa i casi e i tempi della sospensione della patente all'art. 91, comma secondo, nei successivi commi, invece, sono stabiliti sia i periodi minimi e massimi di sospensione sia le fattispecie alle quali la sospensione é ricollegata.

Inoltre negli altri casi la sospensione é sottratta alla discrezionalità del prefetto che "sospende " e non soltanto "può sospendere ".

La discrezionalità della sospensione lede il principio di uguaglianza, perché determina in concreto una disuguaglianza tra cittadini che si trovano nella medesima condizione di diffidati (condizione a sua volta conseguenza di altra valutazione discrezionale di autorità amministrativa): vi sarà quindi il diffidato che conserva la patente ed il diffidato al quale la patente é sospesa, senza nessun punto di riferimento obbiettivo per la decisione dei prefetto".

Dopo gli adempimenti di legge, il giudizio così promosso viene oggi alla cognizione della Corte.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, con l'atto di intervento, depositato il 28 giugno 1969, richiamati i principi generali in materia amministrativa, quali risultano anche affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, chiede che la questione venga dichiarata infondata.  

Considerato in diritto 

1. - Con l'ordinanza di rinvio, il giudice a quo, pur accennando ad altri motivi, in sostanza, denunzia a questa Corte l'art. 91, comma secondo, del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (che approva il testo unico sulla circolazione stradale), soltanto in riferimento all'art. 3 della Costituzione, in quanto la discrezionalità della sospensione della patente, nel citato secondo comma preveduta, lederebbe il principio di uguaglianza perché determinerebbe una distinzione tra cittadini che si trovano nella medesima condizione di diffidati: vi sarebbe, quindi, il diffidato che conserva la patente ed il diffidato al quale la patente é sospesa senza alcun punto di riferimento obbiettivo per la decisione del prefetto

2. - É vero, come osserva il giudice a quo, che nei successivi commi dell'impugnato art. 91, la sospensione della patente é preveduta come atto dovuto e non discrezionale del prefetto, ma lo é appunto perché sono stabilite le fattispecie alle quali la sospensione é ricollegata, fattispecie non suscettibili di apprezzamento discrezionale, in quanto rispecchiano ipotesi o di ripetute trasgressioni di legge, costituenti contravvenzioni, o di reati particolarmente gravi (commi terzo, quarto e quinto).

Dato, poi, che in tali ipotesi la sospensione assume il carattere di vera e propria sanzione accessoria, sia pure amministrativa, ben si spiega che ne siano prefissati i termini minimi e massimi.

L'ipotesi preveduta dal secondo comma, invece, si ricollega ad una attività tipicamente amministrativa, in quanto attiene ai requisiti richiesti dalla legge per il rilascio della patente.

Difatti, l'art. 82, comma primo, tassativamente indica le categorie di persone che sono ritenute prive dei requisiti morali necessari per essere ammesse all'esame per ottenere la patente, mentre il comma secondo dispone che il prefetto può negare la patente stessa ai diffidati ai sensi dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423.

Appunto da questa norma si ricava quello che il giudice a quo definisce "il punto di riferimento obbiettivo per la decisione del prefetto".

Certamente il diffidato, quale persona pericolosa per la sicurezza o per la pubblica moralità, in astratto, dovrebbe ritenersi privo dei requisiti morali alla sussistenza dei quali il citato art. 82 subordina il rilascio della patente.

Sennonché, la diffida é un provvedimento che mira a recuperare per la società le persone che ne sono colpite, incitandole a cambiare condotta, con la sanzione, in caso di inosservanza, di applicazione delle misure amministrative di sicurezza personali o delle misure di prevenzione prevedute dall'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, che ai sensi del primo comma dell'art. 82 sopra richiamato non consentono neppure l'ammissione all'esame per ottenere la patente di guida.

Dati questi fini della diffida, evidentemente, per meglio raggiungerli, é necessario non ostacolare il diffidato nell'acquisire la possibilità di dedicarsi ad un onesto lavoro, quale può essere quello che si può svolgere con il possesso della patente di guida.

Ma se il diffidato, pur non arrivando a porre in essere gli estremi per la sottoposizione a misure di sicurezza o di prevenzione, si comporti in modo tale da non dare sufficienti garanzie di usare la patente per fini onesti, o, dopo averla ottenuta, ne faccia un uso, se non proprio disonesto, quanto meno sospetto, cadono i presupposti, che nell'intento del legislatore giustificano la concessione della patente a questa categoria di persone e, a seconda dei casi, la patente può essere negata (art. 82, comma secondo), sospesa (art. 91, comma secondo) o addirittura deve essere revocata (art. 91, comma 12, n. 2).

Si viene, così, a creare una situazione del tutto analoga a quella già decisa da questa Corte con la sentenza 27 febbraio 1969, n. 32, con la quale venne dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge n. 1423 del 1956, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione e motivata con l'assunto che la norma impugnata non conteneva alcun razionale criterio, in base al quale, fra persone appartenenti alle stesse categorie, alcune potevano essere diffidate ed altre no.

La Corte, con tale sentenza, ebbe a considerare che l'appartenenza a quelle categorie é condizione necessaria, ma non sufficiente per la sottoposizione a misure di prevenzione, in quanto perché in concreto tali misure possano essere adottate occorre anche un particolare comportamento che dimostri come la pericolosità sia effettiva ed attuale e non meramente potenziale.

Ebbe, inoltre, ad affermare che l'accertamento di questa specifica pericolosità - la quale tra l'altro realizza una differenza tra le persone comprese nelle categorie genericamente ritenute pericolose - si raggiunge necessariamente attraverso un apprezzamento di merito, nel procedere al quale vi é sempre un certo margine di discrezionalità.

Ebbe, infine, a rilevare che chiarita nel modo sopraddetto quale fosse la natura funzionale dell'accertamento affidato al questore, non si potesse ritenere violato il principio di uguaglianza, tanto più che in ogni caso l'esercizio del potere discrezionale é soggetto al controllo del giudice amministrativo, il quale si estende sicuramente alla razionalità, alla imparzialità, alla parità di trattamento

3. - Stabilito, come sopra si é fatto, a quali criteri deve ispirare la sua attività il prefetto nell'esercizio dei poteri conferiti dal secondo comma dell'art. 91 del t.u. n. 393 del 1959, evidentemente sono pienamente applicabili, per la risoluzione della questione in esame, i principi affermati con la richiamata sentenza di questa Corte e, quindi, la questione stessa dev'essere dichiarata non fondata  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 91, secondo comma, del testo unico delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale (approvato con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393), sollevata dal pretore di Torino, con ordinanza in data 17 aprile 1969, in riferimento all'art. 3 della Costituzione  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1971

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 29 aprile 1971.