Sentenza n. 39 del 1971
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SENTENZA N. 39

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 17 e 20 della legge 16 maggio 1970, n. 281, concernente provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario, promossi:

1) dalla Regione della Lombardia, con ricorso notificato il 27 agosto 1970, depositato in cancelleria il 5 settembre successivo ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 1970;

2) dalla Regione del Veneto, con ricorso notificato il 31 agosto 1970, depositato in cancelleria il 9 settembre successivo ed iscritto al n. 16 del registro ricorsi 1970;

3) dalla Regione degli Abruzzi, con ricorso notificato il 2 ottobre 1970, depositato in cancelleria il 10 successivo ed iscritto al n. 18 del registro ricorsi 1970.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 dicembre 1970 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi l'avv. Enrico Allorio, per la Regione della Lombardia, l'avv. Pietro Tranquilli-Leali, per la Regione degli Abruzzi, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con ricorso notificato il 27 agosto 1970 e depositato il 5 settembre successivo, la Giunta regionale della Lombardia, in persona del suo Presidente, ha impugnato di legittimità costituzionale gli artt. 17 e 20 della legge 16 maggio 1970, n. 281, concernente provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario, per contrasto con gli articoli 5, 117, 119 e 123 della Costituzione.

Il ricorso muove, anzitutto, dalle premesse che debbano ritenersi invasive della sfera di competenza assegnata dalla Costituzione alla Regione non soltanto tutte le leggi che disciplinino materie riservate alla competenza statutaria o legislativa di questa, ma altresì quelle che pongano all'esercizio di tali competenze regionali limiti ulteriori rispetto a quelli costituzionalmente previsti o che, comunque, impediscano, ostacolino od indebitamente limitino l'esercizio da parte della Regione delle sue competenze di qualsiasi tipo (statutarie, legislative o amministrative).

E precisa, poi, in relazione all'art. 17, una prima censura per la parte in cui questa norma contiene il divieto dell'esercizio della potestà legislativa regionale fino al momento in cui non siano state emanate da parte dello Stato le corrispondenti leggi- cornice o non siano comunque trascorsi due anni dalle elezioni del Consiglio regionale. Il divieto in questione nella sua formulazione alternativa da un lato sembrerebbe escludere, e dall'altro ammettere che la preventiva determinazione dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato ex art. 117 della Costituzione possa rinvenirsi con opportuna ricerca ermeneutica nella preesistente legislazione statale, senza necessità di una esplicita e rigorosa enunciazione attraverso leggi-cornice.

Lo stesso art. 17 sarebbe, inoltre, illegittimo nella parte in cui, dettando i criteri cui il Governo dovrà attenersi nella emanazione dei decreti delegati per il trasferimento delle funzioni dallo Stato alle Regioni, prevede che allo Stato restino conservati poteri di indirizzo e coordinamento nelle materie attribuite alle competenze regionali: imponendo, in tal modo, per queste ultime un ulteriore limite non ammesso dalla Costituzione (cfr. il combinato disposto degli artt. 117 e 118).

L'art. 20, a sua volta, prescrivendo nei commi primo e terzo il coordinamento del sistema di classificazione delle entrate e delle spese con le norme della legge 1 marzo 1964, n. 62, come pure l'osservanza delle norme sull'amministrazione del patrimonio e della contabilità dello Stato, violerebbe l'autonomia normativa delle Regioni in materia di contabilità, quale risulta presupposta e garantita dall'art. 117 della Costituzione che attribuisce alla potestà legislativa regionale la materia dell'ordinamento degli uffici, nonché la loro autonomia finanziaria tutelata dall'art. 119.

Il quarto comma dell'art. 20, infine, sarebbe in contrasto con l'autonomia statutaria prescritta dall'art. 123 della Costituzione, perché stabilisce la forma di approvazione del bilancio regionale.

Le conclusioni della parte ricorrente sono, pertanto, intese ad ottenere la declaratoria di incostituzionalità delle norme anzidette.

2. - Anche la Giunta regionale del Veneto, con atto notificato il 31 agosto 1970 e depositato il 9 settembre successivo, ha impugnato di legittimità costituzionale le stesse norme per motivi analoghi a quelli esposti nel ricorso che precede e per contrasto con le medesime disposizioni della Costituzione.

Questo ricorso comprende, peraltro, anche l'art. 115 fra le norme della Costituzione che risulterebbero violate e prospetta, relativamente all'art. 17 della citata legge n. 281, una ulteriore censura motivata sotto il profilo che tale norma prevede - in contrasto con l'art. 117 della Costituzione - il ricorso alla delega per il passaggio delle funzioni dallo Stato alle Regioni. Quanto all'art. 20, si deduce la incostituzionalità anche del secondo comma, di riflesso a quella del primo e del terzo.

Le conclusioni sono identiche a quelle del ricorso che precede.

3. - Un terzo ricorso, promosso dalla Giunta regionale degli Abruzzi con atto notificato il 2 ottobre 1970 e depositato il 10 ottobre successivo, impugna anch'esso con analoga motivazione le norme innanzi esaminate della legge finanziaria per le regioni ed estende inoltre i profili di illegittimità dedotti anche nei riguardi di quelle disposizioni dell'art. 17 che concernono il passaggio alle regioni delle funzioni amministrative di cui all'art. 118 della Costituzione, la predisposizione di vincoli atti a garantire l'inalienabilità, l'indisponibilità e la destinazione di alcuni beni trasferiti alle Regioni, la previsione di rimedi contro l'inattività delle Regioni nell'esercizio di funzioni ad esse delegate, il procedimento per la emanazione dei decreti delegati di concerto tra vari ministri.

Anche le conclusioni di questa Regione sono per la illegittimità costituzionale dell'intera normativa in questione.

4. - Si é costituito in tutti e tre i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atti depositati rispettivamente per i primi due ricorsi il 15 settembre 1970 e per il terzo il 21 ottobre successivo.

L'Avvocatura dello Stato deduce preliminarmente la inammissibilità dei ricorsi, sia perché tardivi, sia perché concernenti una legge che - al pari di quelle n. 62 del 10 febbraio 1953 e n. 108 del 17 febbraio 1968 - deve considerarsi quale vera e propria " matrice" delle Regioni e per conseguenza non impugnabile direttamente da esse, ad evitare l'assurda conseguenza che una sua declaratoria di incostituzionalità finisca per travolgere l'ente appena costituito, i suoi organi e la stessa valida proposizione del ricorso. Questo secondo profilo é stato, peraltro, abbandonato dall'Avvocatura nella discussione all'udienza.

Un terzo motivo di inammissibilità per le impugnative dirette da parte delle Regioni si ricaverebbe poi dal disposto della IX disposizione transitoria della Costituzione, che prevede il termine di un triennio per l'adeguamento delle leggi statali alle esigenze delle autonomie locali ed alla competenza legislativa regionale.

Nel merito, l'Avvocatura oppone in generale alle censure di illegittimità dedotte dalle Regioni i principi di unità ed indivisibilità della Repubblica e la conseguente soggezione ad essa degli enti autonomi regionali, secondo quanto dispongono gli artt. 5 e 114 della Costituzione.

In particolare, con riferimento al temporaneo divieto di esercizio della potestà legislativa regionale, si invoca, poi, la necessità di una indicazione autentica proveniente dal Parlamento nazionale dei principi fondamentali enucleabili per le singole materie: necessità non espressamente enunciata, ma chiaramente desumibile dall'art. 117 della Costituzione, specialmente se interpretata anche in coordinamento al disposto delle norme transitorie VIII e IX della Costituzione. Anche l'aspetto di incostituzionalità che attiene all'altra parte dell'art. 17 si rivelerebbe infondato di fronte alle esigenze di carattere unitario, agli obiettivi del programma economico nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali che costituiscono gli unici settori - tutti di indubbia competenza statuale - nei quali le attività regionali possono subire il lamentato coordinamento.

Quanto agli altri profili di illegittimità prospettati, sempre in relazione all'art. 17, particolarmente dalla Giunta regionale degli Abruzzi, l'Avvocatura osserva che la previsione di vincoli per la disponibilità dei beni trasferiti dallo Stato riguarda solo determinate categorie di beni ed obbedisce, in funzione degli interessi generali dello Stato, a criteri di necessità giuridica e razionalità.

Infine, il coordinamento del sistema della contabilità regionale con quello statale e l'approvazione con legge dei bilanci regionali, che formano oggetto dell'art. 20 della legge impugnata, non soltanto possono considerarsi, avuto riguardo alla esperienza anche delle regioni a statuto speciale, come espressione di principi generali dell'ordinamento, ma trovano - ad avviso dell'Avvocatura dello Stato - specifico fondamento: il primo nell'art. 119 della Costituzione, che impone il coordinamento tra la finanza regionale e quella statale; la seconda nella necessità di una corrispondenza di forma rispetto all'esercizio della stessa autonomia legislativa regionale da cui il bilancio trae la sua origine ed il suo contenuto.

Le conclusioni della parte resistente sono, pertanto, intese ad ottenere una declaratoria di inammissibilità o di infondatezza dei ricorsi.

5. - Nell'udienza pubblica le difese delle parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.  

Considerato in diritto 

1. - I ricorsi delle Regioni della Lombardia, del Veneto e degli Abruzzi hanno lo stesso oggetto e vanno perciò decisi con unica sentenza.

2. - Non può essere accolta l'eccezione pregiudiziale di inammissibilità dei ricorsi perché tardivi. É ben vero che il termine stabilito nell'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, ha carattere perentorio, ma il problema che si pone nell'attuale giudizio, in relazione ad una situazione per sua natura irripetibile, concerne unicamente il dies a quo, che non può farsi risalire ad un momento anteriore a quello in cui gli enti regionali sono diventati, da soggetti virtuali, soggetti attuali, in grado di concretamente operare e di agire a tutela dei propri interessi. Ciò perché nessun soggetto esisteva per l'innanzi che fosse, ad un tempo, legittimato a ricorrere contro leggi statali aventi - come quella in oggetto - specifico e diretto riferimento alle regioni, ed effettivamente costituito negli organi a ciò competenti.

Risponde pertanto alla ratio della menzionata norma dell'art. 2, nella sua applicazione alla fase di prima attuazione dell'ordinamento regionale, ritenere che, in tal caso, il termine inizi a decorrere - anziché dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle leggi statali ritenute invasive della competenza costituzionalmente attribuita alle Regioni - dalla data di formazione delle rispettive Giunte, vale a dire degli organi per ciascuna di esse competenti a deliberarne la impugnazione.

3. - Nel merito, la prima censura dei ricorsi si rivolge contro la norma dell'art. 17, ultimo comma, della legge n. 281, che subordina l'esercizio delle funzioni legislative regionali alla previa emanazione dei decreti legislativi previsti dal primo comma per regolare il passaggio alle Regioni delle funzioni ad esse attribuite sulle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, ovvero - in mancanza - al decorso di un biennio dall'entrata in vigore della stessa legge. Solo per equivoco, nei ricorsi della Regione della Lombardia e della Regione del Veneto (a differenza che in quello della Regione degli Abruzzi) si fa questione, al riguardo, di leggi-cornice statali, che dovrebbero obbligatoriamente precedere l'esplicarsi delle competenze regionali; e l'equivoco trae probabilmente origine dalla complessa formulazione dell'intero contesto dell'art. 17, che sostituisce in parte le precedenti disposizioni dell'art. 9 della legge n. 62 del 1953 occupandosi congiuntamente sia delle cosidette leggi-cornice, che erano in questa previste, sia dei decreti legislativi regolanti il trasferimento delle funzioni dallo Stato alle Regioni: ai quali ultimi ha particolare e prevalente riferimento lo stesso art. 17, a cominciare dal suo primo comma.

Mentre, però, per l'art. 9 della legge del 1953, leggi- cornice erano pregiudizialmente necessarie - eccezion fatta per alcune materie indicate nel secondo comma - affinché le regioni potessero iniziare a legiferare, per l'art. 17 della legge del 1970 i principi delimitanti materia per materia la potestà legislativa regionale possono anche desumersi dalla legislazione vigente, e possono altresì - naturalmente, ed anzi preferibilmente - essere formulati in apposite disposizioni legislative, senza però che a queste sia comunque cronologicamente subordinata la legislazione regionale. La quale viene tuttavia condizionata, ma ad altro e diverso presupposto, e precisamente al previo trasferimento delle funzioni, a norma della VIII disposizione transitoria della Costituzione, da effettuarsi con decreti legislativi sulla base della delegazione contenuta nella stessa legge n. 281, per l'esercizio della quale é prescritto il termine di un biennio.

E perciò, in conclusione: da un lato, il Governo viene delegato ad emanare entro due anni i decreti per il passaggio delle funzioni, dall'altro, l'esercizio della potestà legislativa regionale viene differito all'intervenuta emanazione di detti decreti, ovvero al decorso dei due anni; infine, sempre entro il medesimo periodo di tempo, é stabilito dall'ultimo comma dell'art. 17 che si provveda, a norma della IX disposizione transitoria della Costituzione, ad adeguare le leggi statali alle esigenze dell'autonomia e alle competenze legislative attribuite alle regioni (nel che può ritenersi implicito un riferimento alla adozione di apposite leggi-cornice).

4. - Alla stregua dell'art. 9 della precedente legge, nessun termine essendo prefissato all'adozione delle leggi-cornice e non essendo neanche prevista la possibilità per le regioni di legiferare senza di queste, sia pure dopo decorso un certo lasso di tempo, l'esercizio delle potestà legislative regionali rischiava di essere procrastinato sine die, ed era comunque praticamente rimesso alla mera discrezione del legislatore statale. Con il sistema accolto dalla nuova legge, invece, le regioni potranno cominciare a legiferare man mano che, entro i due anni, saranno stati emessi i decreti sul passaggio delle funzioni, e comunque - anche in mancanza di questi - dopo decorso il biennio. La situazione appare, sotto questo profilo, nettamente diversa.

Nella sostanza, poi, la previsione della necessità del previo trasferimento delle funzioni risponde a criteri di ordine generale non dissimili da quelli che stavano a base della necessaria precedenza, per l'innanzi stabilita dalla legge del 1953, delle leggi- cornice e cioè ad esigenze di certezza nei rapporti tra Stato e regioni, di ordinato e coordinato svolgimento delle rispettive attribuzioni, di necessaria gradualità nel passaggio da un sistema di organizzazione statale fortemente accentrato ad uno, per contro, di largo decentramento anche a livello legislativo.

La norma dell'art. 17 tende, insomma, a contemperare il rispetto dovuto all'autonomia regionale con le esigenze unitarie che trovano formale e solenne riconoscimento nell'art. 5 della Costituzione, predisponendo un sistema che non si pone in contrasto con alcuna norma della Costituzione. Questa, infatti, nulla stabilisce, neppure implicitamente, nell'uno o nell'altro senso, quanto ai tempi dell'effettiva assunzione da parte dei nuovi enti regionali dell'esercizio delle funzioni legislative ed amministrative di loro spettanza, limitandosi, nella VIII disposizione transitoria, a richiedere che sia lo Stato con propri atti legislativi a regolare il trasferimento delle funzioni, oltre che dei funzionari e dipendenti che si renda necessario a tal fine. Il legislatore ordinario era, dunque, libero, nella sua discrezionalità politica, di subordinare o meno quell'esercizio all'avvenuto trasferimento: purché evidentemente, entro termini e con modalità tali da non consentire pretestuosi indugi ed ingiustificati ritardi. E si é già detto poc'anzi che il meccanismo instaurato dall'art. 17 della legge impugnata non é, da questo punto di vista, né elusivo né arbitrario: tanto più che le Regioni interessate sono chiamate a collaborare alla formulazione dei decreti facendo pervenire le loro osservazioni in merito.

La censura non é dunque fondata; mentre inammissibile deve dichiararsi l'altra, fugacemente accennata nel ricorso della Regione veneta, e concernente l'adozione dello strumento della delegazione legislativa, anziché di quello della legge formale, per regolare il trasferimento delle funzioni. Dato e non concesso che sia configurabile nella specie una violazione della VIII disposizione transitoria della Costituzione (ciò che non é, i decreti delegati essendo pienamente parificati alle leggi formali anche ai fini di eventuali riserve di legge), le regioni non avrebbero comunque titolo a denunciarla in questa sede, perché i soli vizi di legittimità costituzionale di leggi statali suscettibili di dar luogo ad impugnazione diretta sono quelli che si risolvono in menomazione di funzioni, poteri e facoltà costituzionalmente attribuiti alle regioni.

5. - Infondata é anche la censura rivolta contro l'art. 17, lett. a), nella parte in cui prevede che, nelle materie trasferite, siano riservate allo Stato " funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività delle regioni che attengono ad esigenze di carattere unitario, anche con riferimento agli obiettivi del piano economico nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali".

Il vero significato di tale disposizione risulta mettendola in relazione con quella che subito la segue, nella lett. b), prima parte, e prescrivente che il trasferimento delle funzioni debba avvenire "per settori Organici di materie": evitando cioè quel frazionamento delle materie stesse che le Regioni ricorrenti mostrano di temere e che é sempre fonte di incertezze e di contestazioni. Conseguentemente a tale impostazione, confermata dal recente dibattito svoltosi nel Senato della Repubblica e dall'ordine del giorno votato a conclusione nella seduta del 18 dicembre 1970, la norma della lettera a) tende ad assicurare tuttavia l'unità di indirizzo che sia di volta in volta richiesto dal prevalere - conforme a Costituzione - di esigenze unitarie, che devono bensì essere coordinate, ma non sacrificate agli interessi regionali. Di guisa che, unitariamente interpretato, l'art. 17 vuole che alle Regioni siano assegnate per intero le materie indicate nell'art. 117 della Costituzione; ma vuole, d'altro lato, che, sia attraverso la esplicita enunciazione dei "principi fondamentali", di cui allo stesso art. 117, sia in altre e diverse forme, che non si risolvano in una preventiva e generale riserva allo Stato di settori di materie, lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere armonicamente conforme agli interessi unitari della collettività statale: giacché le Regioni, lungi dal contrapporvisi, ne costituiscono articolazioni differenziate. Ed in questo senso la norma denunciata rappresenta, per dir così, il risvolto positivo di quel limite generale del rispetto dell'"interesse nazionale e di quello di altre regioni", che l'art. 117 espressamente prescrive alla legislazione regionale e cui é preordinato il controllo successivo detto comunemente "di merito", spettante al Parlamento dietro ricorso dello Stato (art. 127 Costituzione).

É superfluo aggiungere che, qualora, in ipotesi, le disposizioni che saranno poste al riguardo dai decreti delegati di trasferimento delle funzioni, travalicando l'oggetto e gli scopi compatibili con i poteri costituzionali delle Regioni, fossero ritenute invasive delle competenze ad esse spettanti, non sfuggirebbero al sindacato di questa Corte, davanti alla quale le Regioni sarebbero legittimate ad impugnare i detti decreti dopo la loro pubblicazione.

6. - Considerazioni sostanzialmente analoghe valgono a dimostrare la infondatezza anche della censura, mossa senza motivazione alcuna, dalla Regione degli Abruzzi nei confronti del medesimo art. 17, nella parte relativa alla predisposizione di vincoli atti a garantire la inalienabilità, l'indisponibilità e la destinazione di taluni beni trasferiti al patrimonio indisponibile delle Regioni, " quando ciò sia necessario alla tutela degli interessi generali dello Stato in rapporto alla natura dei beni" (si pensi, a titolo di esempio, all'importanza delle foreste - che, appunto, a norma dell'art. 11 della legge, rientrano tra i beni trasferiti - ai fini della difesa del suolo). Non senza soggiungere al riguardo che l'art. 119 della Costituzione espressamente stabilisce, nel suo ultimo comma, che spetta alla legge dello Stato disciplinare le "modalità" relative al demanio ed al patrimonio di ogni Regione.

7. - Vanno altresì disattese le censure rivolte all'art. 20, nella parte in cui demanda a un decreto presidenziale su proposta del ministro per il tesoro di provvedere alla disciplina dei bilanci regionali, per coordinarne il sistema delle entrate e delle spese con la legge 4 marzo 1964, n. 62, stabilendo inoltre che i bilanci debbano essere approvati con legge.

Coordinare non significa imporre artificiose uniformità, disconoscendo le caratteristiche peculiari di determinate voci della finanza regionale (specie quanto alle entrate). D'altronde, la stessa Costituzione, nell'art. 119, primo comma, garantisce bensì alle Regioni autonomia finanziaria, ma nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, "che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni". E questi, precisamente, sono la ragion d'essere ed il contenuto delle disposizioni impugnate dalle Regioni ricorrenti.

Per quanto più particolarmente riguarda, poi, la forma di approvazione del bilancio regionale, nulla essendo disposto in proposito dalla Costituzione, la legge non ha fatto che estendere a tutte le Regioni, anche a statuto ordinario, un principio generale già operante per quelle a statuto speciale, che ben si giustifica in considerazione delle analogie - di certo prevalenti rispetto agli elementi differenziali - tra i bilanci regionali e il bilancio dello Stato. Non ne risulta violata l'autonomia finanziaria delle Regioni per il motivo già detto che questa si esplica, a norma dell'art. 119, nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. E per questa medesima ragione non vale invocare l'autonomia statutaria, poiché per quanto restrittivamente si interpreti il richiamo dell'art. 123 alle leggi della Repubblica, sicuramente vi rientrano quelle cui espressamente rinviano disposizioni comprese nel Titolo V della Parte II del testo costituzionale, com'é il caso appunto, dell'art. 119.

É appena necessario, infine, rilevare come la forma richiesta assolva qui ad una precisa funzione di garanzia, ponendosi la legge - nei confronti dell'attività amministrativa regionale svolta dalla Giunta ex art. 121, terzo comma, della Costituzione - quale limite esterno insuperabile e giuridicamente vincolante.

8. - Le Regioni ricorrenti lamentano anche, sempre con riferimento all'art. 20, che sia ad esse imposta l'osservanza delle norme delle leggi statali sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato, "in quanto applicabili" e fino a quando non saranno state emanate in materia " leggi della Repubblica".

La censura é priva di fondamento, perché siffatto obbligo, stabilito in linea meramente provvisoria, mentre corrisponde ad esigenze pratiche incontestabili, é conforme al principio generale che le leggi statali seguitano ad essere validamente applicabili nelle Regioni finché queste non abbiano legiferato sulle materie di loro competenza.

Per quanto riguarda poi, più particolarmente, la previsione del terzo comma di future leggi "della Repubblica", questa deve ritenersi circoscritta a leggi statali contenenti disposizioni di coordinamento, da adottarsi a norma dell'ultimo comma dell'art. 119 della Costituzione, nel senso che si é sopra precisato al punto 7 della motivazione. Fermo restando che - come questa Corte ha già affermato con la sentenza n. 107 del 1970, sebbene con riguardo ad una regione a statuto speciale - la potestà di disciplinare l'amministrazione del patrimonio e la contabilità regionale rientra nella competenza legislativa spettante a tutte le regioni sull'ordinamento dei propri uffici, e perciò, quanto alle regioni a statuto ordinario, nella competenza bipartita prevista dall'art. 117 della Costituzione alinea, e dovrà quindi esercitarsi entro i limiti dei principi e delle norme di coordinamento della legislazione statale.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta dalla Regione veneta nei confronti dell'articolo 17 della legge 16 maggio 1970, n. 281, recante provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario, nella parte in cui prevede il ricorso alla delegazione legislativa per il trasferimento delle funzioni;

dichiara non fondata, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 115, 117 e 119 della Costituzione, dell'art. 20, terzo comma, della legge medesima;

dichiara non fondate le altre questioni di legittimità costituzionale proposte con i ricorsi di cui in epigrafe nei confronti degli artt. 17 e 20 della legge medesima, in riferimento agli artt. 115, 117, 118, 119 e 123 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 4 marzo 1971.