Sentenza n. 1 del 1971
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SENTENZA N. 1

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 224, secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 28 febbraio 1969 dal giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni di Genova nel procedimento per il ricovero in riformatorio giudiziario del minore Pallanca Michele, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1970 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Il tribunale per i minorenni di Genova, in data 3 luglio 1968, dichiarava non doversi promuovere l'azione penale, per difetto di età, nei confronti di Michele Pallanca, di anni otto, che, in uno scatto d'ira, trovandosi in mano un coltellino, aveva inferto alla madre un colpo alla regione inguinale, dal quale era derivata la di lei morte.

Nel corso del procedimento per il ricovero del non imputabile in un riformatorio giudiziario, ai sensi dell'art. 224, secondo comma, del codice penale, il giudice di sorveglianza presso quel tribunale, con ordinanza del 28 febbraio 1969, riteneva rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale della citata disposizione, sotto il duplice profilo dell'automatismo della misura di sicurezza e della mancata previsione di un'età minima per la sua applicazione, facendo, nella motivazione (e non nel dispositivo), riferimento agli artt. 27, 30 e 31 della Costituzione.

Nell'ordinanza si fa presente che il minore, tuttora ricoverato in un istituto di osservazione - dove pur denotando elementi di immaturità in soggetto di intelligenza normale, aveva tenuto ottima condotta e dimostrato valida capacità di adattamento - era stato sottoposto ad approfonditi esami psico - diagnostici, che sconsigliavano l'adozione di misure di tipo punitivo e suggerivano, invece, il collocamento in un collegio a normale organizzazione e l'affidamento al servizio sociale, anche perché era apparso che il disadattamento intrafamiliare e la conseguente reattività fossero il risultato di una erronea impostazione educativa.

Ciò premesso, per quanto concerne l'automatismo di applicazione della misura, pur prendendosi atto della sentenza n. 19 del 1966, con la quale questa Corte ebbe a dichiarare non fondata analoga questione in riferimento all'art. 13 della Costituzione, si pongono tra l'altro in luce i profili differenti che il caso attuale presenta.

Al riguardo, si sottolinea il pregiudizio che, in un riformatorio giudiziario, subirebbe un bambino di così tenera età, pur se protagonista inconsapevole di tanto grave delitto. Si osserva che questo istituto, per quanto - lato sensu - destinato ad educare, é divenuto ricetto degli irriducibili e dei non altrimenti ricuperabili, a seguito delle innovazioni contenute nella legge n. 1404 del 1934 sul funzionamento del tribunale per i minorenni, a sua volta modificata dalla successiva legge n. 888 del 1956, le quali hanno messo a disposizione del giudice una gamma di istituti graduati per il recupero del minore disadattato o traviato.

Ad avviso del giudice di sorveglianza, l'assegnazione ad un riformatorio giudiziario di un minore dell'età del Pallanca si risolverebbe in una misura restrittiva assimilabile alla pena, che, avulsa dalle altre misure che tendono effettivamente alla rieducazione, contrasterebbe - per il suo indiscriminato automatismo e per il fatto di dover essere applicata, in ispregio ad ogni nozione di psicologia evolutiva -, in particolare, con l'obbligo dello Stato di sostituirsi positivamente alla famiglia in caso di incapacità dei genitori, nell'esplicazione dei suoi compiti di protezione dell'infanzia e della gioventù.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte privata.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto con atto depositato il 10 giugno 1969, nel quale chiede che la questione sia dichiarata non fondata.

Afferma l'Avvocatura che gli argomenti dell'ordinanza intesi a porre la questione dell'automatismo della misura denunziata su un piano diverso da quello considerato dalla sentenza n. 19 del 1966 di questa Corte, non sembrano decisivi, sia perché si verterebbe in un caso particolare di mero fatto, sia perché varrebbero, comunque, per essa i principi già affermati dalla Corte.

Ciò premesso, l'Avvocatura, limitando le sue argomentazioni ai precetti costituzionali espressamente menzionati nella motivazione dell'ordinanza, sostiene che la disposizione denunziata non avrebbe alcun rapporto né con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto tale precetto riguarda le pene e non le misure di sicurezza, a quelle non assimilabili, né con gli artt. 30 e 31, dappoiché, anzi, proprio al fine di sostituirsi positivamente alla famiglia, la legge ha previsto centri di rieducazione per i minorenni, e tra questi i riformatori giudiziari, con speciali sezioni per i minori non imputabili.

Circa la mancanza di un limite minimo di età per l'applicazione dell'anzidetta misura, l'Avvocatura deduce che tratterebbesi, tutt'al più, di un difetto della norma, al quale potrà supplire la sensibilità del magistrato, e, comunque, non tale da rendere illegittima la disposizione, quanto meno in rapporto ai precetti costituzionali esplicitamente indicati dal giudice a quo, le cui considerazioni potrebbero soltanto valere nell'ambito di un'auspicabile scelta legislativa, per il perfezionamento del sistema ora vigente.  

Considerato in diritto 

1. - Con l'ordinanza di rinvio, il giudice di sorveglianza presso il tribunale di Genova ha sottoposto a questa Corte la seguente questione: se sia costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli artt. 27 (finalità rieducative della pena), 30 (obbligo dello Stato di sostituirsi alla famiglia in caso di incapacità dei genitori) e 31 della Costituzione (protezione dell'infanzia e della gioventù) - l'art. 224, secondo comma, del codice penale, in quanto contempla la presunzione di pericolosità e dispone il ricovero obbligatorio del minore di anni quattordici in riformatorio giudiziario, allorché il delitto (non colposo) - per il quale egli non é imputabile - sia astrattamente punibile con "l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni", e ciò con riferimento sia alla conseguenzialità automatica dell'obbligo, sia alla mancata previsione di una età minima del minore cui é applicabile la misura di sicurezza.

2. - Sebbene l'ordinanza, come si é premesso, invochi espressamente gli artt. 27, 30 e 31 della Costituzione, tuttavia dalle diffuse argomentazioni in essa contenute emerge più volte la doglianza di irragionevolezza: il che risulta pure, in maniera specifica, sia dalla seguente frase della motivazione:

"La questione appare non manifestamente infondata anche con riferimento allo spirito tutto, ai principi informatori della Costituzione per quanto concerne la tutela della personalità"; sia dal dispositivo che, mentre non menziona gli artt. 27, 30 e 31, si attaglia, così come é formulato, proprio all'art. 3 della Costituzione.

3. - Non é a parlarsi di violazione dell'art. 27 della Costituzione, il quale, per giurisprudenza costante e anche recente di questa Corte, attiene soltanto alle pene (vedi, per le misure di prevenzione della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, le sentenze n. 23 del 1964 e n. 76 del 1970).

É, del resto, da ricordare che, con le sentenze n. 19 del 1966 e n. 68 del 1967, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 204, secondo comma, del codice penale - che comprende l'ipotesi dell'art. 224, secondo comma -, ritenendo che non siano violate le disposizioni costituzionali degli artt. 13, 24, 27 e 32 e ravvisando una sufficiente garanzia nella motivazione del provvedimento e nella previsione della revoca della misura di sicurezza, dopo la trascorrenza di un determinato lasso di tempo, giustificato dalla necessità di un controllo sulle condizioni psichiche e sanitarie del soggetto (art. 207 cod. pen., il quale statuisce, inoltre, che la revoca della misura di sicurezza possa essere anticipata con decreto del ministro della giustizia).

Tali precedenti la Corte non ha ragione di smentire, per ciò che attiene al principio generale e complessivo della pericolosità presunta, entro i confini della pregressa prospettazione, che, in parte, corrisponde alla prospettazione attuale; non senza avvertire che, allora, non veniva direttamente in considerazione l'art. 224, secondo comma, cod. pen. Invero, il principio dell'applicazione obbligatoria di misure di sicurezza (detentive e non detentive: art. 215 cod. pen.) investe (o può investire) - oltreché l'età minore degli anni quattordici - altre svariate situazioni (età tra gli anni quattordici e i diciotto; abitualità, professionalità e tendenza a delinquere; infermità psichica, cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti e sordomutismo; ubriachezza abituale e uso abituale di sostanze stupefacenti, ecc.).

4. - Circa gli artt. 30 e 31, é stato obiettato che, proprio al fine di sostituire lo Stato alla famiglia e di conferirgli la funzione educativa che i genitori non abbiano esplicato o non esplichino, la legge ha istituito centri di rieducazione per i minorenni, tra cui sono, appunto, i riformatori giudiziari. L'inidoneità di questi centri (e di questi riformatori) - a causa della loro struttura e dell'ormai superato indirizzo pedagogico -, allo scopo per il quale sono stati predisposti riguarda la concreta organizzazione funzionale degli stessi ad opera della pubblica amministrazione e, in ultima analisi, postula l'intervento del legislatore.

5. - L'art. 3 della Costituzione appare, invece, per più versi vulnerato.

In primo luogo, situazioni diverse sono riguardate in modo identico: ed é pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l'art. 3 risulta violato non soltanto quando situazioni identiche vengono disciplinate in modo difforme dalla legge, bensì anche quando situazioni difformi vengono disciplinate in modo eguale (sentenze n. 53 del 1958 e n. 22 del 1966).

Non può negarsi davvero che diverso sia l'atteggiamento psichico, rispetto a una condotta qualsiasi (lecita o illecita o, più pertinentemente, rilevante dal punto di vista giuridico - penale), allorché si tratti di un minore che si avvicini ai quattordici anni di età (cioè sia in età matrimoniale: art. 84, secondo comma, cod. civ.) e allorché si tratti di un infante o di un bimbo in tenera età. Con la disposizione impugnata, al limite, anche l'infante dovrebbe essere ristretto in riformatorio giudiziario, per pericolosità presunta (il che, talvolta, é avvenuto): conseguenza, questa, tanto palesemente contraria a qualunque criterio di ragionevolezza, da costituire di per sé una condanna della norma da cui deriva.

6. - Non v'é dubbio che la severa misura di sicurezza sia obbligatoriamente comminata nel presupposto della pericolosità sociale del minore. Sennonché, la presunzione di pericolosità, che negli altri casi previsti dal codice si basa sull'id quod plerumque accidit, non ha fondamento allorché si tratti della non imputabilità del minore di anni quattordici: ché, al contrario, può ben dirsi che qui, data la giovanissima età del soggetto, la pericolosità rappresenti l'eccezione, per cui l'obbligatorietà ed automaticità del ricovero in riformatorio giudiziario non ha giustificazione alcuna. Da tale premessa muove la relazione ministeriale al recente disegno di legge che sopprime la norma denunciata (Atti del Senato, V Leg., doc. n. 351).

7. - La disposizione, dunque, va dichiarata illegittima per quanto concerne i minori degli anni quattordici.

Superfluo ricordare che l'art. 224, secondo comma, é applicabile anche a chi ha compiuto gli anni quattordici ma non ancora i diciotto, se egli sia riconosciuto non imputabile (terzo comma), e continuerà ad essere applicato pur dopo la presente pronunzia di illegittimità costituzionale: la questione relativa, essendo estranea al giudizio a quo, non é stata sollevata, né poteva esserlo, in questa sede.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 224, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui rende obbligatorio ed automatico, per i minori degli anni quattordici, il ricovero, per almeno tre anni, in riformatorio giudiziario.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 20 gennaio 1971.