Sentenza n. 141 del 1970
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SENTENZA N. 141

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 15 e 18, primo e secondo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 17 ottobre 1968 dal tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra Del Cal Pietro, Zacchetti Sergio e il fallimento Del Cal Pietro ed altri, iscritta al n.45 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969;

2) ordinanza emessa il 29 gennaio 1969 dalla Corte d'appello di Brescia nei procedimenti civili riuniti vertenti tra la Banca Agricola Mantovana e il fallimento della ditta Illsa, Martini Benvenuto ed altri, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 91 del 9 aprile 1969;

3) ordinanza emessa l'11 marzo 1969 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Levay Ignac, iscritta al n. 171 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969;

4) ordinanza emessa il 7 novembre 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Garbellini Giordano e il fallimento Garbellini Giordano ed altri, iscritta al n. 228 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 2 luglio 1969;

5) ordinanze emesse il 12 marzo 1969 dal pretore di Roma e il 19 maggio 1969 dal tribunale di Roma nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Fusco Angelo e di Sarnataro Luigi, iscritte ai nn. 231 e 237 del registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 del 9 luglio 1969;

6) ordinanza emessa il 6 dicembre 1969 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Palombo Luigi, iscritta al n. 17 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 25 febbraio 1970.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione della Banca Agricola Mantovana e del fallimento della ditta Illsa, Martini Benvenuto ed altri;

udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1970 il Giudice relatore Nicola Reale;

uditi gli avvocati Alberto Scalori, Carlo Fornario e Pio Pompa, per la Banca Agricola Mantovana, l'avv. Mario Cassola, per il fallimento della ditta Illsa, Martini Benvenuto ed altri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Nel corso del procedimento di opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento promosso da Pietro Del Cal e Sergio Zacchetti, il tribunale di Venezia, con ordinanza 17 ottobre 1968 (reg. ord. n. 45/1969), ha sollevato, in riferimento all'art. 24 , secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 15 e 18, primo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, recante la disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa.

Affermata la rilevanza delle questioni, detto tribunale ha osservato che le prevalenti finalità di interesse pubblico, connesso al turbamento dell'ordine economico che consegue al dissesto di una impresa commerciale, non sono sufficienti a giustificare sul piano costituzionale l'attribuzione al giudice del potere discrezionale di disporre o non l'audizione del debitore. L'esercizio del diritto di difesa, nella fase di cognizione sommaria precedente la dichiarazione di fallimento, risulterebbe in tal caso condizionato dalla mera eventualità che il debitore stesso sia informato, mediante l'ordine di comparizione, della pendenza del procedimento fallimentare. E ciò sembrerebbe contrastare col ricordato principio costituzionale, in considerazione della gravità degli effetti che dal fallimento derivano sulla persona e sul patrimonio del debitore.

Afferma ancora il tribunale, in ordine alla seconda questione, che la difesa del debitore non si potrebbe ritenere, in ogni caso, assicurata dal diritto di proporre opposizione. Ciò in considerazione del fatto che il termine per esperire tale rimedio, ai sensi del citato art. 18, primo comma, decorre dalla data di affissione dell'estratto della sentenza dichiarativa di fallimento, alla porta del tribunale, indipendentemente dalla effettiva conoscenza che ne abbia avuta il debitore.

Davanti a questa Corte, con atto di intervento 11 febbraio 1969, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, si é costituita l'Avvocatura generale dello Stato.

Questa ha premesso che la questione prospettata riguarda l'ipotesi, del tutto eccezionale, che l'imprenditore nulla sappia della procedura di fallimento a suo carico prima della emanazione della sentenza che ne accerti lo stato di dissesto. Ma anche in questa ipotesi, che spesso si realizza per la fuga o la latitanza dello stesso imprenditore insolvente, il diritto alla difesa sarebbe assicurato nella fase successiva alla dichiarazione di fallimento, mediante l'opposizione alla sentenza. Il dubbio sulla legittimità costituzionale del citato art. 15 legge fallimentare non avrebbe, quindi, alcun fondamento.

E nemmeno violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione si ravvisa nel disposto dell'art. 18, primo comma, il quale concerne, appunto, la disciplina dell'opposizione. La costituzionalità di detta norma é stata, infatti, già affermata dalla menzionata sentenza n. 93 del 1962 di questa Corte, la quale ne ha chiarita la compatibilità con le garanzie della difesa del debitore, con particolare riguardo alla congruenza del termine stabilito per l'esercizio della opposizione.

2. - La legittimità degli stessi artt. 15 e 18, primo comma, é stata posta in dubbio, sempre in relazione all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, anche dal pretore di Roma, in base a motivi analoghi a quelli sopra riferiti, con ordinanza 12 marzo 1969 (reg. ord. n. 231/1969), nel procedimento penale a carico di Fusco Angelo, imputato del delitto di bancarotta semplice.

3. - La questione di legittimità costituzionale del solo art. 15 é stata parimenti sollevata dalla Corte di appello di Brescia con ordinanza 29 gennaio 1969 (n. 103 reg. ord. 1969), nel corso del procedimento di opposizione, in sede di gravame, promosso dal debitore Eros Martini e dalla creditrice Banca Agricola Mantovana contro la sentenza dichiarativa di fallimento, pronunziata dal tribunale di Mantova il 17 marzo 1965, a carico dello stesso Martini, di altri soci illimitatamente responsabili e della società Illsa.

Anche detta Corte d'appello ha ravvisato motivi di non manifesta infondatezza nella circostanza che, ove il tribunale non si avvalga della facoltà di convocarlo preventivamente in camera di consiglio, il debitore, non altrimenti e tempestivamente informato del procedimento in corso, non sarebbe posto in grado di svolgere le sue difese.

Davanti a questa Corte si sono costituite la Banca Agricola Mantovana, nonché il curatore del fallimento.

I difensori della Banca, con atto 13 marzo 1969, hanno concluso per la illegittimità costituzionale dell'art. 15.

Il principio della inviolabilità della difesa imporrebbe, si assume, che l'imprenditore possa agire per la tutela dei propri diritti prima che, in forza di sentenza avente efficacia immediatamente esecutiva e neppure suscettibile di sospensione, venga dichiarato il fallimento.

E si rileva che il rimedio della opposizione appare inadeguato a salvaguardare la sfera giuridica del debitore, la cui eventuale lesione, sotto l'aspetto non patrimoniale, non é risarcibile ai sensi dell'art. 21 della legge in esame.

In contrasto con le tesi predette la difesa del curatore del fallimento sostiene invece che anche la disposizione dell'articolo 15, come altre norme della stessa legge fallimentare, debba essere inquadrata fra quelle che apportano restrizioni alla sfera giuridica soggettiva per finalità di ordine sociale.

Né la gravità degli effetti della dichiarazione di fallimento potrebbe condurre a ravvisarne la illegittimità posto che le finalità proprie del fallimento rispondono ad evidenti interessi dei creditori e, almeno mediatamente, della collettività.

In rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri si é costituita l'Avvocatura dello Stato, depositando atto di intervento di contenuto analogo a quello di cui all'ordinanza n. 45/1969 del tribunale di Venezia.

Con atto di deduzioni depositato il 21 maggio 1970 nell'interesse del fallito Martini Eros si é costituito l'avv. Pio Pompa, allegando procura notarile in data 8 maggio 1970. Ma la costituzione é stata dichiarata inammissibile in quanto tardiva, con ordinanza pronunziata da questa Corte nella pubblica udienza del 3 giugno 1970.

4. - La stessa questione sulla costituzionalità dell'art. 15 sopra menzionato é stata ancora sollevata dal tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 7 novembre 1968 (n. 228 reg. ord. 1969), nel procedimento di opposizione al fallimento promosso dal signor Giordano Garbellini.

Si é osservato dal tribunale che la limitazione del diritto di difesa, risultante dalla norma in esame, diversamente da quanto stabilito nell'art. 147 dello stesso R.D. n. 267 del 1942 riguardo a fattispecie che il tribunale assume analoga, riveste particolare gravità sia in riferimento agli effetti che la dichiarazione di fallimento svolge sui diritti, garantiti costituzionalmente, alla segretezza della corrispondenza e alla libera circolazione sul territorio nazionale, sia quale presupposto di imputazioni qualificate dallo stato di fallimento.

Anche in questo giudizio l'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi con atto di intervento 7 marzo 1969 in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha svolto deduzioni e conclusioni identiche a quelle sopra ricordate.

5. - Sempre la stessa questione é stata prospettata con altre ordinanze, rispettivamente in data 11 marzo 1969 (n.171/ 1969) e 6 dicembre 1969 (n. 17/1970), recanti motivazioni analoghe alle precedenti, del pretore di Roma, nel corso di due giudizi penali per bancarotta ed altri reati fallimentari, a carico di Levay Ignazio il primo, di Palombo Luigi il secondo.

6. - Infine con ordinanza del 19 maggio 1969 (n. 237/ 1969), nel corso del procedimento penale in grado di appello per il reato di bancarotta semplice a carico di Sarnataro Luigi, dichiarato fallito a sua richiesta, il tribunale di Roma, ha ritenuto non manifestamente infondate e sempre in relazione all'art.24, secondo comma, della Costituzione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

1) dell'art. 15 del precitato decreto, sotto il profilo che esso "non consente al debitore di avvalersi della assistenza tecnica e professionale di un legale";

2) dell'art. 18, secondo comma, in quanto "vieta al debitore di opporsi alla dichiarazione di fallimento, quando egli stesso abbia proposta l'istanza".

Al fallito sarebbe preclusa, si é osservato dal tribunale, la possibilità di far valere, in sede di opposizione, " le sue ragioni, con argomentazioni e motivi di cui non ebbe prima ad intuire la rilevanza, anche per la mancanza di una adeguata assistenza tecnica e professionale".

Considerato in diritto 

1. - I giudizi aventi ad oggetto le stesse questioni di legittimità costituzionale, o questioni fra loro connesse, vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Le dette questioni, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione e nei termini sotto indicati, concernono le seguenti norme del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, sulla disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa (c.d. legge fallimentare):

a) art. 15, in quanto non prevede l'obbligo, ma la semplice facoltà del tribunale di ordinare, prima di dichiarare il fallimento, la comparizione dell'imprenditore in camera di consiglio, perché sia sentito anche in confronto dei creditori istanti (ordinanze nn. 171 del 1969, 231 del 1969 e 17 del 1970 del pretore di Roma nel corso di giudizi penali per reati fallimentari; nonché nn. 45 del 1969, 103 del 1969 e 228 del 1969, rispettivamente del tribunale di Venezia, della Corte d'appello di Brescia e del tribunale di Milano, in sede di opposizione a sentenze dichiarative di fallimento);

b) lo stesso art. 15, in quanto non consente all'imprenditore medesimo di avvalersi della assistenza del difensore (ord. n. 237/1969 del tribunale di Roma in sede penale);

c) art. 18, primo comma, nella parte in cui stabilisce che il termine di quindici giorni per l'opposizione, avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, da parte del debitore, decorre dalla data di affissione dell'estratto della sentenza stessa alla porta esterna del tribunale, senza che della pronunzia sia richiesta l'effettiva conoscenza dell'interessato (ord. n. 231/1969 del pretore di Roma e n. 45/1969 del tribunale di Venezia, sopra ricordate);

d) art. 18, secondo comma, in quanto dispone che l'opposizione non può essere proposta da chi ha chiesto la dichiarazione di fallimento e nega, quindi, la legittimazione al debitore che ha proposto istanza di fallimento a proprio carico (ord. n. 237/1969 del tribunale di Roma sopra menzionata).

3. - Come risulta dall'esposizione che precede talune questioni sono state promosse da giudici penali nel corso di processi per reati fallimentari.

Ma esse investono norme cui tali giudici non sono chiamati a dare applicazione, che spetta invece al giudice civile avente competenza in materia fallimentare.

La dichiarazione di fallimento ha natura pregiudiziale rispetto al processo penale concernente reati fallimentari. Da ciò deve trarsi la conseguenza, corroborata dall'indirizzo della giurisprudenza e della dottrina prevalenti, che, sorgendo controversia sullo stato di imprenditore fallito, il giudice penale non può conoscere di essa, ma deve limitarsi, previa verifica delle condizioni di legge, a sospendere il procedimento pendente davanti a lui, sino al passaggio in giudicato della relativa pronunzia.

Al solo giudice civile é data, pertanto, potestà di rilevare la dipendenza logico - giuridica della decisione di detta controversia dalla questione di costituzionalità di norme incidenti sulla dichiarazione di fallimento o sulla efficacia di essa.

Orbene, in questa sede, da tre delle ricordate ordinanze di giudici penali non risulta neppure la esistenza di una controversia, mentre soltanto nella quarta (ord. n. 171/1969) si dà atto, a seguito della esibizione di apposito certificato della cancelleria del tribunale civile, della pendenza di un giudizio di opposizione al fallimento, con la conseguente richiesta del difensore dell'imputato di sospendere il corso del processo penale ai sensi dell'art. 19 del codice di procedura penale.

É evidente, quindi, che non può riscontrarsi, a norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la pregiudizialità necessaria delle questioni prospettate rispetto ai detti giudizi penali, sicché le questioni stesse sono inammissibili.

II che non esclude, per altro verso, che debbano esaminarsi le questioni sub a) e sub c), in quanto proposte nel corso di giudizi civili.

4. - Come sopra accennato i tribunali di Venezia e Milano e la Corte d'appello di Brescia, quali giudici dell'opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento, hanno sollevato la questione di costituzionalità dell'art. 15 della legge fallimentare, in riferimento al secondo comma dell'art. 24, in quanto vi si prevede la mera facoltà discrezionale e non l'obbligo del tribunale di disporre la comparizione personale del debitore in camera di consiglio.

La questione é fondata.

Occorre affermare che il diritto di difesa, garantito dal l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, deve trovare applicazione anche nella prima fase della procedura fallimentare, quella cioè diretta all'accertamento della sussistenza o meno delle condizioni per la dichiarazione di fallimento: compatibilmente, va peraltro aggiunto, con le finalità di tutela del l'interesse pubblico cui essa é preordinata e che caratterizzano e giustificano il carattere sommario della procedura medesima, non tassativamente vincolata a speciali modalità di svolgimento.

Per la più ampia tutela del debitore sono preveduti, é vero, rimedi, ed in primo luogo l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, improntati al principio del contraddittorio e diretti, mediante piena cognizione, a verificare la legittimità della sentenza medesima. Tuttavia la gravità delle conseguenze di questa pone l'indefettibile esigenza che il debitore, già nella prima fase processuale in camera di consiglio, informato della iniziativa in corso, possa contrastare, anche in confronto di creditori istanti, con deduzioni di fatto ed argomentazioni tecnico - giuridiche e con l'eventuale ausilio di difensori, la veridicità dell'asserito stato di dissesto e la di lui assoggettabilità alla esecuzione fallimentare.

La sentenza dichiarativa incide, infatti, profondamente nella sfera giuridica soggettiva del fallito, con danni morali e materiali di estrema gravità e talora, in parte o in tutto, irreparabili.

Come é appena il caso di rilevare, la dichiarazione di fallimento importa limitazioni alla capacità di agire in ordine alla amministrazione ed alla disponibilità dei beni, nonché alla legittimazione processuale, oltre a gravi menomazioni ai diritti della personalità e in ispecie a diritti pubblici soggettivi, pur essi oggetto di particolare tutela costituzionale, circa la libertà e segretezza della corrispondenza, la libertà di circolazione, l'elettorato attivo e passivo.

Ora non può ritenersi che un provvedimento di tale gravità venga legittimamente emanato, come e sia pure non frequentemente in pratica avviene, senza che sia stato udito e ammesso ad esporre le proprie ragioni il soggetto passivo di esso.

Né, allo scopo di assicurare la difesa dell'imprenditore, nei sensi indicati dal precetto costituzionale summenzionato, sembra mezzo sufficiente il contraddittorio differito alla fase di impugnazione.

E ciò in riferimento così alle modalità del particolare procedimento di opposizione fallimentare, come alla disciplina della sentenza dichiarativa di fallimento. A questa l'ordinamento attribuisce efficacia immediatamente esecutiva, non suscettibile di sospensione a seguito dell'atto di opposizione (art. 18, ultimo comma, legge fallimentare), mentre consente la rimozione, ai sensi di legge, degli effetti di essa soltanto, e con inevitabile ritardo, dopo che sia divenuta esecutiva la pronunzia che accolga l'opposizione, e sia avvenuta la cancellazione dal registro dei falliti.

Va quindi dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 15 in esame, che con sostanziale pregiudizio del diritto di difesa, non statuisce l'obbligo del tribunale di disporre la comparizione del debitore. Ovviamente tale disposizione, con l'eventuale successiva audizione del debitore e con la possibilità di sue deduzioni e difese, anche in confronto dei creditori istanti, non senza assistenza tecnica, deve essere inquadrata e contenuta nella vigente normativa circa il procedimento di cognizione sommaria, nell'ambito delle finalità e delle speciali ragioni di urgenza e tempestività anche allo scopo della conservazione del patrimonio del debitore, cui é informata la disciplina della dichiarazione di fallimento. A questo conseguentemente si attaglia il carattere della speditezza dei provvedimenti, svincolati da speciali forme procedurali e dal rispetto di termini non espressamente stabiliti dalla legge; il tutto rimesso invece al prudente apprezzamento degli organi giudiziari competenti.

Sarebbe, d'altra parte, in contrasto con le finalità di giustizia, cui lo stesso diritto di difesa é essenzialmente coordinato, il consentire che arrechino pregiudizio all'interesse pubblico connesso alla esecuzione concorsuale, la fuga, la latitanza o comunque la condotta dilatoria negligente o, talvolta, fraudolenta del debitore medesimo.

5. - La questione, infine, circa la legittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, della legge in esame, proposta dal tribunale di Venezia con l'ordinanza sopra ricordata, deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Detta norma, infatti, sotto l'aspetto della brevità del termine per proporre opposizione, concesso al debitore fallito, e della decorrenza di esso dal giorno della affissione dell'estratto della sentenza dichiarativa di fallimento alla porta esterna del tribunale, prescindendosi dalla effettiva conoscenza da parte del debitore medesimo, é stata già ritenuta da questa Corte, con la precedente sentenza n. 93 del 1962, compatibile con il precetto del secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, attesa la natura del procedimento e le finalità della pronunzia dichiarativa di fallimento.

Né sono ora dedotti motivi che inducano a diversa decisione mentre può aggiungersi che le ragioni, che la determinarono, risultano rafforzate dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 15 della legge fallimentare nei sensi sopra indicati.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

1) dichiara inammissibili le questioni sollevate con le ordinanze indicate in epigrafe sotto i numeri di ruolo 171, 231, 237 del 1969 e 17 del 1970;

2) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 15 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, sulla "Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa", nella parte in cui esso non prevede l'obbligo del tribunale di disporre la comparizione dell'imprenditore in camera di consiglio per l'esercizio del diritto di difesa nei limiti compatibili con la natura di tale procedimento;

3) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, del R.D. sopra menzionato, proposta, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal tribunale di Venezia, con l'ordinanza di cui in epigrafe.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1970.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1970.