Sentenza n. 112 del 1970
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SENTENZA N. 112

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 621 del codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 15 dicembre 1968 dal pretore di Verbania nel procedimento civile vertente tra Della Mora Silvana e la dogana di Novara, iscritta al n. 28 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 66 del 12 marzo 1969;

2) ordinanza emessa il 19 febbraio 1969 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Ciatti Claudio e Nisa e Patrignani Valeriano, iscritta al n. 337 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 256 dell'8 ottobre 1969.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 1970 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 15 dicembre 1968 il pretore di Verbania ha sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione contenuta nell'art. 621 del codice di procedura civile, secondo cui é esclusa la possibilità di provare per testimoni il diritto del terzo opponente sui mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore.

Secondo il giudice a quo il dubbio di legittimità costituzionale della norma impugnata sorgerebbe anzitutto in relazione all'art. 3 della Costituzione, in quanto la limitazione suddetta concreterebbe una inammissibile disparità di trattamento a favore del creditore ed a danno del terzo opponente. Inoltre sarebbero violati sia l'art. 24 della Costituzione, per la lesione che subirebbe il diritto all'azione e difesa in giudizio a seguito della detta limitazione della prova, sia l'art. 42 per effetto della indebita limitazione alla proprietà mobiliare del cittadino, che pure deriverebbe dal descritto regime probatorio.

Né varrebbe ad escludere il dubbio, la eventuale necessità di politica legislativa di evitare frodi o collusioni dei debitori, cui sarebbe ispirata la norma impugnata, stanti "le comminatorie e la tutela della legge penale contro la falsa testimonianza".

L'Avvocatura dello Stato, costituitasi ritualmente in giudizio in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri e dell'Amministrazione finanziaria, parte nel giudizio principale, obbietta, quanto alla dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, che la limitazione in discorso troverebbe una ragionevole giustificazione nell'esigenza di evitare le frodi a danno dei creditori, attraverso la eliminazione di un così fragile mezzo di prova, operata comunque solo parzialmente e nei confronti di tutti i terzi opponenti.

Per le stesse ragioni, la norma impugnata non importerebbe neppure una ingiustificata diminuzione della tutela giurisdizionale dell'opponente a favore del creditore. Ed anzi si attuerebbe così una salvaguardia del preminente interesse pubblico al normale svolgimento della procedura esecutiva.

Fuori luogo, infine, sarebbe il richiamo all'art. 42, della Costituzione, in quanto la disposizione impugnata si limiterebbe a porre a carico del terzo opponente l'onere di adottare le cautele necessarie a garantire il suo diritto. Né ricorrerebbe nella specie un caso di espropriazione (art. 42, terzo comma, Cost.) trattandosi solo di una conseguenza che il terzo opponente subirebbe per effetto di una procedura esecutiva promossa contro altri, e comunque per essersi messo in una situazione che avrebbe potuto facilmente evitare tanto più che, secondo la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, la difesa dei diritti del proprietario potrebbe legittimamente essere subordinata ad un particolare comportamento dello stesso.

Con ordinanza del 19 febbraio 1969 il pretore di Roma ha pure sollevato questione di legittimità costituzionale della suddetta norma sotto un analogo ma non coincidente profilo. Assume invero il detto giudice che, esclusa la prova per testi, la difesa processuale del diritto del terzo apparirebbe affidata alla sola dimostrazione documentale del titolo di acquisto. Tale prova potrebbe normalmente essere fornita solo nel caso di acquisto contrattuale del bene e non invece nel caso dei diversi modi di acquisto della proprietà di cui all'art. 922 del codice civile, con particolare riguardo agli acquisti a titolo originario (ad - es. usucapione, come nella fattispecie di cui al giudizio principale).

Questi ultimi invero trarrebbero origine da un fatto giuridico in senso stretto, come tale non dimostrabile che per mezzo di testimoni, e pertanto, dalla diversa natura del modo di acquisto della proprietà, deriverebbe una diversa tutela della stessa, il che si risolverebbe in un diverso trattamento di situazioni giuridiche sostanzialmente non diverse. Con ciò, secondo il pretore, sarebbero violati i principi di eguaglianza e di tutela giudiziale dei diritti sanciti rispettivamente dagli artt. 3 e 24 della Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le suindicate ordinanze del pretore di Verbania e del pretore di Roma concernono entrambe l'esame della questione di legittimità costituzionale dell'art. 621 del codice di procedura civile. Pertanto, ravvisasi l'opportunità di procedere alla riunione dei giudizi in modo da risolvere la questione con unica sentenza.

2. - Si assume che la limitazione imposta al terzo, opponente nella procedura esecutiva su beni pignorati, di provare con testimoni il suo diritto di appartenenza sui beni stessi, contrasterebbe con i principi di uguaglianza di trattamento, di tutela giudiziale dei propri diritti nonché di garanzia della proprietà privata, dichiarati rispettivamente dagli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione.

La questione non é fondata.

3. - Va osservato che la norma procedurale in esame, nel subordinare l'ammissibilità della prova testimoniale (senza con ciò escludere mezzi istruttori diversi da questa) alla condizione che l'esistenza del diritto sui beni "sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore" ossia che sia reso verosimile l'affidamento dei beni all'esecutato, corrisponde ad un principio che trova nel sistema la sua giustificazione.

L'art. 621 del codice di procedura civile va considerato in collegamento col precedente art. 513 che autorizza l'ufficiale giudiziario a ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore o in altri luoghi a lui appartenenti, facendosi così derivare dalla ubicazione dei beni la presunzione legale della loro appartenenza. Tale presunzione risponde ad esigenze di pratica effettività degli atti esecutivi e, come di regola per le presunzioni del genere, consente la prova contraria soltanto nei limiti autorizzati dalla legge (art. 2728 cod. civ.).

Il dato costituito dalla posizione locale delle cose mobili al fine della tutela del diritto di credito, anche in pregiudizio di diritti altrui, non é previsto isolatamente dalla norma in esame bensì trova riscontro in altre norme, sia di diritto comune (artt. 2756, 2760, 2761, 2764 cod. civ.) sia di diritto tributario (art. 63, ultimo comma, R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401; art. 207 T.U. sulle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645).

L'art. 621 del codice di procedura civile, prescrivendo che la presunzione di appartenenza del bene possa essere vinta dal terzo, se prova, con testimoni, non solo l'originario titolo di proprietà, ma anche, e soprattutto, le specifiche ragioni della ulteriore permanenza della cosa presso l'esecutato, s'inquadra nel sistema che, tutelando i diritti di credito, ne tutela il soddisfacimento contro possibili forme di compiacente elusione.

4. - Quanto premesso conduce ad escludere qualsiasi contraddizione della norma in esame con principi costituzionali.

Non é fondato il richiamo all'art. 3 poiché i diritti della libertà di prova del terzo opponente non vengono conculcati ad esclusivo favore del creditore, al quale sarebbe arbitrariamente assegnato un trattamento privilegiato, bensì l'esercizio di tali diritti viene ad essere regolato in base a criteri di razionalità.

Neppure é fondato il richiamo all'art. 24 sulla base di una supposta violazione del diritto di azione e di difesa. Come questa Corte ha più volte ritenuto (sentenze n. 42 del 1964, n. 53 del 1966, n. 46 del 1967) l'esercizio del diritto di difesa deve sottostare alle delimitazioni suggerite, in relazione a singoli tipi di procedimento, dal coordinamento di norme dirette ad armonizzare reciprocamente la protezione di contrapposti diritti sostanziali. In particolare, la prima delle ora citate sentenze ha escluso la violazione dell'art. 24 nella ipotesi dell'art. 207, lettera b, del testo unico sulle imposte dirette (divieto di opposizione del coniuge e dei parenti del contribuente riguardo ai mobili esistenti nella casa dello stesso).

Infine, va parimenti esclusa l'incostituzionalità della norma in relazione all 'art. 42 della Costituzione, cioè per supposta violazione del principio che garantisce e tutela la proprietà privata contro ogni menomazione.

Il principio consacrato nell'art. 42 non é senza limiti o condizioni: quegli stessi limiti e condizioni che ineriscono al concetto stesso di proprietà.

Anche riguardo a questo specifico punto, la Corte si é già pronunciata con la sentenza n. 4 del 1960

 avente per oggetto l'ultimo comma dell'art. 63 del R.D. n. 1401 del 1922 sul divieto posto all'acquirente in asta esattoriale di chiedere la separazione a suo favore dei beni mobili esistenti nella casa del contribuente debitore. La pronuncia é informata al concetto che "per impedire frodi troppo facili" la conservazione del diritto del proprietario é subordinata all'onere di provvedere tempestivamente alla materiale separazione, in modo da evitare intralci al regolare svolgimento della procedura esecutiva.

La validità dello stesso principio si estende, per identità di motivi, anche per quanto riguarda l'ipotesi dell'art. 621 del codice di procedura civile nel quale, come si é detto, non é contenuto un divieto assoluto di ricorrere alla prova testimoniale ma é contenuta la prescrizione che la prova si presenti assistita dalla prospettazione di elementi di fatto che la rendano verosimile ed attendibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 621 del codice di procedura civile sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe, con riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 42 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1970.