Sentenza n. 77 del 1970

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SENTENZA N. 77

 

ANNO 1970

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

 

Prof. Michele FRAGALI

 

Prof. Costantino MORTATI

 

Prof. Giuseppe CHIARELLI

 

Dott. Giuseppe VERZÌ

 

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

 

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

 

Dott. Luigi OGGIONI

 

Dott. Angelo DE MARCO

 

Avv. Ercole ROCCHETTI

 

Prof. Enzo CAPALOZZA

 

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

 

Prof. Vezio CRISAFULLI

 

Dott. Nicola REALE

 

Prof. Paolo ROSSI

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale sarda 5 dicembre 1968, riapprovata il 6 novembre 1969, recante "Posizione e trattamento dei dipendenti della regione sarda eletti a cariche presso enti autonomi territoriali", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 22 novembre 1969, depositato in cancelleria il 1 dicembre successivo ed iscritto al n. 14 del registro ricorsi 1969.

 

Visto l'atto di costituzione del Presidente della regione autonoma della Sardegna;

 

udito nell'udienza pubblica dell'8 aprile 1970 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

 

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il ricorrente, e l'avv. Pietro Gasparri, per la regione sarda.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Con ricorso notificato il 22 novembre 1969 e depositato il 1 dicembre successivo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura di Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 51 della Costituzione e dell'art. 3, lett. a, dello statuto speciale, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, nei confronti della legge regionale sarda 5 dicembre 1968, riapprovata in data 6 novembre 1969, recante norme sulla posizione ed il trattamento economico dei dipendenti di quella regione, eletti a determinate cariche presso enti autonomi locali.

 

Disponendo il collocamento in aspettativa di ufficio - anziché a richiesta come prevede la legge statale 12 dicembre 1966, n. 1078 - dei dipendenti anzidetti, la legge regionale determinerebbe incostituzionalmente una sorta di incompatibilità che non trova riscontro nella legislazione statale, violando così l'art. 51 della Costituzione.

 

Sotto altro aspetto la stessa legge, ampliando rispetto alla legge statale già ricordata il concorso degli enti locali per quanto riguarda gli oneri inerenti alla corresponsione del trattamento di aspettativa spettante ai dipendenti regionali, violerebbe anche l'art. 3, lett. a, dello statuto, in quanto verrebbe ad incidere in materia non rientrante nei compiti istituzionali della regione.

 

2. - Si é costituita in giudizio, con atto depositato il 12 dicembre 1969, la regione autonoma della Sardegna, sostenendo che l'art. 51 della Costituzione non contiene una riserva di legge statale, che il legislatore regionale avrebbe operato nell'ambito della sua competenza primaria in materia di "ordinamento degli uffici" e di "stato giuridico ed economico" dei propri dipendenti, che il collocamento in aspettativa costituirebbe una facilitazione e non un ostacolo per quei dipendenti che siano eletti a cariche pubbliche, che l'onere a carico dell'ente, presso cui la carica elettiva é assunta, di integrare il trattamento economico per coloro che per effetto della elezione vengano a subire una minorazione retributiva costituirebbe espressione di un principio dell'ordinamento, rispetto al quale la normativa impugnata avrebbe valore ricognitivo e non costitutivo.

 

Sulla base di questi argomenti la difesa della regione chiede pertanto la reiezione del ricorso.

 

Nella pubblica udienza la difesa delle parti ha insistito nelle argomentazioni e conclusioni rispettivamente dedotte.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Come accennato in narrativa, la legge impugnata ha per oggetto la posizione ed il trattamento economico dei dipendenti regionali eletti a cariche presso determinati enti locali e ricalca sostanzialmente lo schema della corrispondente legge statale del 12 dicembre 1966, n. 1078, differenziandosene però sotto un duplice aspetto. In primo luogo, stabilendo che detti dipendenti siano collocati in aspettativa d'ufficio, anziché dietro loro richiesta; in secondo luogo, ampliando l'ambito degli enti, l'assunzione ad uffici elettivi dei quali é presa in considerazione ai fini del collocamento in aspettativa. Rientrano, infatti, nelle previsioni della leggé statale, oltre all'ufficio di consigliere regionale, quelli di presidente di giunte provinciali e di assessore di giunte di province con più di 700.000 abitanti; di sindaco di capoluogo di province ovvero di comuni con più di 50.000 abitanti; di assessore di comuni con più di 100.000 abitanti; di presidente di enti e di aziende di enti autonomi territoriali con più di 1.000 dipendenti. Rientrano invece nelle più larghe previsioni della legge regionale gli uffici di presidente e assessore provinciale, senza distinzioni; di sindaco, o di assessore di comuni con più di 15.000 abitanti; di presidente di enti e aziende comunali, provinciali e consortili, senza riguardo al numero dei rispettivi dipendenti. La legge regionale rinvia poi alla normativa della legge n. 1078 del 1966 per quanto concerne il trattamento economico di aspettativa, ponendo a carico dell'ente presso cui i dipendenti regionali siano stati eletti l'onere della retribuzione ad essi spettante nell'amministrazione di appartenenza, ovvero, quando sia prevista una indennità di carica, la differenza tra i quattro decimi di questa ultima e la retribuzione anzidetta.

 

Su questi due punti si accentrano le censure del ricorso, deducendosi - quanto al primo - che la legge de qua avrebbe creato una incompatibilità senza riscontro nella legislazione statale, con violazione dell'art. 51 della Costituzione, che vuole garantito a tutti i cittadini l'accesso alle cariche pubbliche elettive in condizioni di eguaglianza; deducendosi altresì - quanto al secondo punto - che la legge regionale, imponendo il concorso finanziario di enti locali che non vi sarebbero altrimenti tenuti, violerebbe l'art. 3, lett. a, dello statuto, incidendo su materia sottratta alla competenza legislativa della regione.

 

2. - La Corte osserva anzitutto che nel potere della regione di dettare norme in tema di "ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della regione e stato giuridico ed economico del personale" (art. 3, lett. a, dello statuto) rientra certamente quello di regolare nel modo più adeguato all'interesse del buon andamento dell'amministrazione regionale (articolo 97 della Costituzione) la posizione dei propri dipendenti che siano stati eletti a pubblici uffici di enti locali. É vero quanto rilevato dalla Avvocatura dello Stato, che, cioè, disponendo nei confronti dei dipendenti che si trovino nelle condizioni indicate l'obbligatorietà del collocamento in aspettativa, la legge regionale viene a configurare una incompatibilità (meramente funzionale, é da soggiungere), che non é invece prevista per situazioni analoghe dalla legge statale; ma ciò non offre motivo di censura, dal momento che le incompatibilità sono cosa diversa dalla ineleggibilità e sono per loro natura caratterizzate dal duplice riferimento alle due funzioni, il cui simultaneo esercizio si reputi, non irragionevolmente, lesivo dei pubblici interessi a ciascuna connessi. Incompatibilità possono perciò essere stabilite dal punto di vista dell'uno o dell'altro ufficio, dell'una o dell'altra funzione od attività, purché - beninteso - da chi ne abbia rispettivamente il potere. E questa Corte ha già avuto Occasione di affermare che, in linea di principio, nell'attribuzione di potestà legislativa sull'ordinamento di un ente é da ritenere sia compresa la competenza a dettare norme in tema di incompatibilità (sentenza n. 60 del 1966): ora, tale é appunto il caso della competenza spettante alla regione della Sardegna ex art. 3, lett. a, dello statuto.

 

Certo, come pure é stato messo in rilievo nella ricordata sentenza, anche la disciplina delle incompatibilità, per i suoi possibili riflessi sul concreto esercizio del diritto elettorale passivo, deve conformarsi ai principi enunciati nell'art. 51 della Costituzione: tra i quali viene in primo luogo in considerazione nella specie, trattandosi di incompatibilità funzionale con l'esplicazione attiva delle mansioni di servizio dei dipendenti regionali, il principio dell'ultimo comma, cui la legge in questione risulta perfettamente aderente. Essa, infatti, mentre assicura ai propri dipendenti chiamati a pubbliche funzioni la conservazione del posto e la integrità delle posizioni economiche e di carriera, consente loro la pratica possibilità di dedicarsi interamente ai compiti inerenti agli uffici cui sono eletti, senza interferenze di sorta con l'osservanza dei doveri ad essi derivanti dal rapporto di servizio con l'amministrazione regionale.

 

3. - Quel che invece la regione non può fare é di porre, in tutto o in parte, a carico degli enti locali presso i quali i suoi dipendenti siano stati eletti a ricoprire determinati uffici l'onere finanziario del trattamento economico a quelli attribuito, fuori delle ipotesi contemplate dalla legislazione statale. Deve, infatti, considerarsi pacifico che tra gli "enti amministrativi della Regione", cui allude lo statuto nella lettera a dell'art. 3, non sono inclusi gli enti ai quali ha riferimento la legge impugnata (province, comuni ed aziende rispettive): come risulta confermato a contrario dalla espressa previsione, in altre disposizioni dello statuto e nello stesso art. 3, sotto la lett. b, dei soli poteri specificamente attribuiti alla regione nei confronti di comuni e province.

 

Non avendo la regione il potere di prescrivere obblighi di spesa agli enti locali autonomi, essa non può estendere obblighi di tal genere ad enti locali diversi da quelli che vi sono tenuti a norma delle leggi statali, né può modificare, per questi ultimi, la fattispecie costitutiva dell'obbligo, col trasformare da facoltativo in necessario il collocamento in aspettativa.

 

Deve, perciò, ritenersi fondato il secondo motivo di censura dedotto nel ricorso e dichiararsi in conseguenza la illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 1 della legge regionale impugnata, limitatamente alla parte in cui - rinviando all'art. 3 della legge statale n. 1078 del 1966 - obbliga gli enti elencati nel primo comma, presso i quali i dipendenti regionali ricoprano le cariche elettive ivi anch'esse indicate, a concorrere all'onere derivante dal trattamento economico complessivamente attribuito ai dipendenti medesimi a norma del medesimo art. 3, comma primo n. 2, e comma terzo.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

dichiara la illegittimità costituzionale della legge della regione della Sardegna approvata il 5 dicembre 1968, e riapprovata il 6 novembre 1969, nella parte in cui, mediante rinvio alla legge statale 12 dicembre 1966, n. 1078, pone a carico degli enti o aziende locali gli assegni e relativi obblighi di trattenuta di cui all'art. 3, primo comma n. 2, e commi secondo, terzo e quarto, della legge stessa.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1970.

 

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

 

 

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1970.