Sentenza n. 61 del 1970

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SENTENZA N. 61

 

ANNO 1970

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

 

Prof. Michele FRAGALI

 

Prof. Costantino MORTATI

 

Prof. Giuseppe CHIARELLI

 

Dott. Giuseppe VERZÌ

 

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

 

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

 

Dott. Luigi OGGIONI

 

Dott. Angelo DE MARCO

 

Avv. Ercole ROCCHETTI

 

Prof. Enzo CAPALOZZA

 

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

 

Prof. Vezio CRISAFULLI

 

Dott. Nicola REALE

 

Prof. Paolo ROSSI

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 51 della legge 20 marzo 1913, n. 272, riguardante l'ordinamento delle borse di commercio, l'eserecizio della mediazione e le tasse sui contratti di borsa, e 19 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3278, concernente le tasse sui contratti di borsa, promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 3 giugno 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra De Giorgi Ignazio e Re Ambrogia, iscritta al n. 202 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 261 del 12 ottobre 1968;

 

2) ordinanza emessa l'8 maggio 1969 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra De Giorgi Ignazio e Frigeni Alberto, iscritta al n. 449 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del 28 gennaio 1970.

 

Visti gli atti di costituzione di De Giorgi Ignazio e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1970 il Giudice relatore Nicola Reale;

 

uditi l'avv. Pietro Cattaneo, per il De Giorgi, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

Nel giudizio civile promosso dall'agente di cambio Ignazio De Giorgi, contro la signora Re Ambrogia, per sentirne pronunziare la condanna al pagamento del saldo di varie operazioni di borsa effettuate per conto di lei, il tribunale di Milano, con ordinanza 3 giugno 1968, ha sollevato, in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità degli artt. 51 della legge 20 marzo 1913, n. 272, e 19 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3278.

 

Rilevato che l'attore non aveva ottemperato all'onere, imposto dalle predette disposizioni, di provare previamente, mediante l'esibizione dei foglietti bollati o nei diversi modi consentiti dalle leggi, il soddisfacimento delle tasse ed ammende dovute in dipendenza delle operazioni di borsa compiute, conseguendone che non fosse ammissibile l'azione in giudizio secondo il dettato delle norme sopra richiamate, il tribunale ha osservato che le disposizioni stesse sono in contrasto col citato art. 24, primo comma, della Costituzione, in quanto l'adempimento dell'onere tributario inerente alla redazione del foglietto bollato condizionerebbe non la disponibilità della prova, ma la procedibilità stessa della domanda, indipendentemente dall'uso di tale documento in giudizio ed anche se non sorga contestazione sui diritti fatti valere.

 

L'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, con atto di intervento depositato il 30 ottobre 1968, e con successiva memoria illustrativa dell'11 marzo 1970, ha concluso che la questione venga dichiarata non fondata.

 

Esclusa qualsiasi analogia con la regola del solve et repete, l'Avvocatura assume che l'imposta sui contratti di borsa costituisce un 'imposta sui trasferimenti di ricchezza del tutto simile a quella di registro presa in esame da questa Corte con la sentenza n. 45 del 1963.

 

Anche alla disciplina fiscale dei contratti di borsa si dovrebbe, quindi, applicare il principio per cui non é costituzionalmente vietato che siano imposte prestazioni fiscali in stretta e razionale correlazione con il processo, sia che esse configurino vere e proprie tasse giudiziarie, sia che abbiano riguardo all'uso dei documenti necessari alla pronuncia finale dei giudici, purché non ne derivi compressione del diritto di azione.

 

2. - La stessa questione di costituzionalità, con motivazione analoga a quella riferita, é stata proposta dal pretore di Milano, con ordinanza dell'8 maggio 1969, nel corso di altro giudizio civile promosso dal medesimo agente di cambio De Giorgi contro il signor Frigeni Alberto, per il pagamento del saldo di un maggior credito per operazioni di borsa effettuate per conto e per ordine verbale del convenuto.

 

Anche in questo caso non era stata data la prova dell'adempimento del tributo gravante sui contratti dedotti.

 

Davanti a questa Corte si é costituito il De Giorgi, il quale, con atto 5 agosto 1969, ha sostenuto che le norme impugnate debbano essere dichiarate incostituzionali in quanto comminano la "inammissibilità dell'azione" per il caso di omesso adempimento degli obblighi fiscali inerenti ai contratti di borsa.

 

Con successiva memoria dell'11 marzo 1970, il difensore del De Giorgi, dopo aver richiamato i principi enunciati da questa Corte nelle sentenze n. 100 del 1964, 80 del 1966 e 157 del 1969, con particolare riguardo alla circostanza ricorrente nella specie della mancata ricezione del foglietto bollato recante la sottoscrizione del cliente, ha osservato che in conseguenza di ciò l'agente di cambio si vedrebbe esposto a pagare una seconda volta il tributo e le relative penalità sui contratti in contestazione. Ciò con la conseguenza di dover soddisfare personalmente il tributo, onde poter chiedere il pagamento delle relative provvigioni, prima e indipendentemente dall'accertamento giudiziale della conclusione dei contratti, e col rischio di non poterne ripetere gli importi dai clienti.

 

Il che, conclude la difesa del De Giorgi, dimostrerebbe l'irrazionalità ed eccessività dell'onere derivante dalle disposizioni impugnate.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Le ordinanze del tribunale e del pretore di Milano prospettano, in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione, la stessa questione di legittimità dell 'art. 51 della legge 20 marzo 1913, n. 272, riguardante l'ordinamento delle borse di commercio, l'esercizio della mediazione e le tasse sui contratti di borsa, e dell'art. 19 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3278, concernente le tasse sui contratti di borsa. Si deve disporre, pertanto, la riunione dei giudizi perché siano congiuntamente decisi.

 

2. - In entrambe le controversie l'attore, agente di cambio in Milano, ha proposto, nei confronti dei convenuti, domande di pagamento di varie somme, assumendo esserne creditore a titolo di saldo per operazioni di borsa compiute per incarico degli stessi.

 

Ciò senza dare preventivamente la prova dell'adempimento delle obbligazioni tributarie afferenti alle operazioni predette, e limitandosi ad asserire, nel solo giudizio pendente davanti al pretore di Milano, di aver tempestivamente redatto, ma di non essere in grado di esibire i prescritti foglietti bollati, perché "quasi mai" aveva ricevuto in restituzione dal convenuto la parte già a suo tempo inviatagli per la sottoscrizione.

 

Ricorreva, quindi, il caso dell'improcedibilità delle domande giudiziali giusta il disposto dei già citati art. 51 della legge 20 marzo 1913, n. 272, e art. 19 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3278, per cui "non é ammessa alcuna azione in giudizio, nemmeno nei rapporti fra commissionario e committente, né veruna liquidazione può eseguirsi" dal comitato direttivo degli agenti di cambio (che ha sostituito in tale attribuzione il sindacato dei mediatori) "in dipendenza delle operazioni contemplate" dalle stesse leggi, "se non viene previamente provato il soddisfacimento delle tasse ed ammende dovute".

 

Nelle ordinanze di rimessione si osserva che tali norme importano impedimento all'esercizio anche di quei diritti sulla cui esistenza non sorge contestazione, e condizionano la procedibilità della domanda al pagamento dei tributi sui contratti di borsa indipendentemente dall'uso in giudizio dei foglietti bollati, con l'impiego dei quali il tributo va normalmente assolto. Da ciò la violazione del precetto dell'art. 24, primo comma, della Costituzione.

 

Le disposizioni predette, in aderenza al giudizio di rilevanza, svolto dai giudici del merito in rapporto di necessaria congruenza con la "causa petendi" dedotta davanti ad essi, devono ritenersi, peraltro, impugnate limitatamente alla proposizione normativa concernente l'esercizio dell'azione, restandone esclusa, invece, l'altra parte degli articoli in questione che condiziona all'adempimento del debito tributario l'ammissibilità della procedura di liquidazione coattiva a cura dei comitato degli agenti di cambio.

 

3. - Ai sensi degli artt. 34 e seguenti della citata legge n. 272 del 1913 e degli artt. 1 e seguenti del R.D. n. 3278 del 1923, e successive modificazioni, il tributo gravante sui contratti di borsa (indicati nell'art. 3 di quest'ultimo decreto) é corrisposto mediante l'impiego di appositi foglietti bollati, posti in vendita dall'amministrazione finanziaria o (secondo il disposto dell'art. 4) con l'uso di fogli stampati su carta non filigranata, muniti preventivamente di bollo a punzone appostovi dagli uffici del registro, per importo corrispondente alle tabelle all'uopo approvate e infine, in casi speciali, mediante l'apposizione di marche da annullarsi direttamente dalle parti.

 

Il pagamento del tributo, ove non segua immediatamente la conclusione del contratto, deve essere effettuato non oltre il primo giorno festivo ad essa posteriore, nello stesso termine fissato per la consegna all'interessato del foglietto bollato (art. 42 della legge del 1913 e art. 7 del decreto del 1923).

 

4. - La questione circa la legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, in riferimento al precetto che garantisce al cittadino la tutela giurisdizionale dei suoi diritti (art. 24, primo comma), non é fondata.

 

Quando non si tratti, invero, di contestare la legittimità dell'imposizione tributaria, e nella specie risulta appunto non contestata la legittimità dell'imposta relativa ai contratti di borsa dedotti in giudizio (ipotesi del solve et repete), la norma che subordina all'adempimento del dovere di contribuente l'esercizio del diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale, non appare in contrasto col suddetto precetto costituzionale.

 

La Corte ritiene che occorra al riguardo riaffermare il principio, già da essa enunciato (da ultimo con la sentenza n. 157 dell'11 dicembre 1969), per cui nell'ordinamento giuridico posto in essere dalla Costituzione repubblicana i diritti individuali dei cittadini sono armonicamente coordinati con quelli della collettività. In particolare il diritto di adire gli organi giurisdizionali, sancito nell'art. 24, primo comma, deve essere contemperato con l'interesse generale alla riscossione dei tributi, che pure é affermato nell'art. 53, primo comma, della Costituzione.

 

Né può ritenersi che, per effetto del previo adempimento dell'imposta sui contratti di borsa, l'esercizio dell'azione risulti, in concreto; eccessivamente oneroso, sia dal punto di vista economico, sia con riferimento alle modalità della prova, che di detto adempimento é richiesta, a carico di chi abbia interesse a proporre o a proseguire il giudizio.

 

Tale prova, infatti, non é necessariamente vincolata alla esibizione del foglietto bollato o di quella parte di esso che e previsto venga inviata al committente del negozio di borsa, ma é resa agevole, in ispecie nei rapporti di cui siano parte gli agenti di cambio, da un complesso di disposizioni concernenti la redazione dei foglietti bollati o di documenti equipollenti. Basti accennare al caso in cui, per la consegna del foglietto al cliente, l'agente si avvalga del servizio postale. Al riguardo sono prevedute dettagliate modalità (art. 88 del regolamento di esecuzione della legge del 1913, approvato con R.D. 4 agosto 1913, n. 1068), fra le quali, in particolare, il rilascio da parte dell'ufficio postale di una copia, esattamente rispondente al foglietto bollato, con ricevuta in margine. Ciò che é sufficiente per escludere che l'interessato, al fine di costituire la prova dell'adempiuto onere fiscale, di cui alle norme in questione, debba reiterare il pagamento quando dal convenuto, cui era stato trasmesso per la sottoscrizione, non gli venga restituita la parte del foglietto di sua spettanza.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 51 della legge 20 marzo 1913, n. 272, riguardante l'ordinamento delle borse di commercio, l'esercizio della mediazione e le tasse sui contratti di borsa, e 19 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3278, concernente le tasse sui contratti di borsa, proposta con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1970.

 

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

 

 

Depositata in cancelleria il 28 aprile 1970.