Sentenza n. 159 del 1969
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SENTENZA N. 159

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE 

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 32 del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165 (testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanze emesse il 7 novembre 1967 dal giudice conciliatore di Napoli in dieci procedimenti civili (Nocera Giuseppe ed altri contro l'Istituto autonomo per le case popolari di Napoli), iscritte ai nn. 57-66 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 del 18 maggio 1968;

2) ordinanze emesse il 4 giugno 1968 dal pretore di Salerno in tre procedimenti civili (Bottone Vincenzo ed altri contro l'Istituto per lo sviluppo dell'edilizia sociale), iscritte ai nn. 123, 124 e 125 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968;

3) ordinanza emessa il 22 marzo 1969 dal giudice conciliatore di Mercato San Severino nel procedimento civile vertente tra Cinti Nicola e l'Istituto autonomo per le case popolari di Salerno, iscritta al n. 187 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione dell'Istituto per lo sviluppo dell'edilizia sociale (I.S.E.S.);

udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1969 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'I.S.E.S.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - L'art. 32 del testo unico sull'edilizia popolare ed economica approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, stabilisce che gli Istituti per le case popolari, nell'ipotesi di mancato pagamento di rate di fitto, possono richiedere al giudice competente lo sfratto dell'inquilino moroso con un ricorso al quale deve essere unita una dichiarazione del Presidente dell'Istituto attestante la morosità dell'inquilino. Con decreto stesso in calce al ricorso il giudice ingiunge al debitore di pagare entro il termine di dieci giorni dalla notificazione, trascorso il quale, in caso di inadempienza, si procede allo sfratto. Contro il decreto il debitore può proporre opposizione entro il termine di cinque giorni dalla notifica. L'opposizione non sospende la esecuzione del decreto. Il giudice però può, in casi gravi e senza pregiudizio della decisione di merito, con un nuovo decreto, sospendere l'esecuzione del decreto precedente fino all'esito del giudizio di opposizione.

2. - Con dieci ordinanze d'identico contenuto emesse il 7 novembre 1967 nei procedimenti civili vertenti tra alcuni locatari di negozi, che avevano prodotto opposizione contro i decreti di sfratto per morosità, e l'Istituto autonomo per le case popolari di Napoli il conciliatore di detta città ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del su riportato art. 32 del testo unico sull'edilizia economica e popolare in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Secondo il conciliatore la particolare procedura di sfratto per morosità prescritta dalla norma impugnata appare manifestamente antidemocratica e dittatoriale mettendo il cittadino nella quasi impossibilità di far valere le proprie ragioni, e ciò in pieno contrasto con quanto stabilito dagli artt. 658 e seguenti, 645 e seguenti e 482 del Codice di procedura civile per il comune procedimento di sfratto e di esecuzione.

In particolare il suddetto giudice considera che il termine di cinque giorni concesso al debitore per proporre opposizione - la quale, peraltro, non sospende l'esecuzione del decreto di sfratto - appare vessatorio per la sua eccezionale ed ingiustificata brevità e conclude affermando che la norma impugnata viola gli artt. 3 e 24 della Costituzione, ponendo in essere una grave disparità di trattamento tra cittadini che trovansi in identica situazione in quanto titolari di uno stesso rapporto locativo.

3. - Con tre ordinanze d'identico contenuto emesse il 4 giugno 1968 nei procedimenti civili vertenti tra alcuni inquilini di case popolari e l'Istituto per lo sviluppo dell'edilizia sociale anche il pretore di Salerno ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del citato art. 32 in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione. Per quanto riguarda la violazione dell'art. 3 il pretore osserva che di fronte al trattamento usato dal Codice di rito all'inquilino moroso, ancorché abbiente, la norma denunciata, per inquilini meno agiati, pone più gravi limitazioni fissando un termine più breve per il pagamento (dieci giorni) delle rate di fitto ed un termine ancor più breve (cinque giorni) per proporre eventuali opposizioni.

Aggiunge il pretore che la previsione del minor termine per l'opposizione si appalesa altresì in contrasto con l'art. 24, comma terzo, della Costituzione in quanto é reso oltremodo difficile se non impossibile, il ricorso tempestivo al gratuito patrocinio; e che la speciale procedura prevista dall'art. 32 sembra infine violare il comma secondo dell'art. 24 poiché il decreto viene emesso inaudita altera parte a differenza di quanto stabilito nella ordinaria procedura di sfratto in cui la semplice opposizione del locatario impedisce la convalida e può consentire soltanto, ed in difetto di eccezioni fondate su prova scritta, l'emissione di ordinanza provvisoria di rilascio.

4. - Censure sostanzialmente identiche a quelle contenute nelle tre ordinanze del pretore di Salerno vengono mosse alla norma denunciata con l'ordinanza 22 marzo 1969 emessa dal conciliatore di Mercato San Severino in un procedimento civile vertente tra un inquilino e l'Istituto autonomo per le case popolari di Salerno. In tale ordinanza, il conciliatore, oltre a ribadire la sproporzione del trattamento predisposto dal ripetuto art. 32 del testo unico del 1938 per gli inquilini meno agiati degli Istituti delle case popolari in confronto di quello riservato dalla legge a tutti gli altri cittadini, rileva che la norma impugnata, sovvertendo tutte le disposizioni di procedura intese a garantire la difesa dell'individuo di fronte alla legge, pone l'Istituto in una posizione di privilegio e di imperio non giustificata dall'interesse pubblico da esso perseguito né compatibile con lo spirito di libertà ed uguaglianza garantito dalla Costituzione.

In particolare circa il termine per proporre l'opposizione osserva che mentre l'art. 641, comma secondo, del Codice di procedura civile consente al giudice di ridurre tale termine fino a cinque giorni "quando concorrano giusti motivi", la norma impugnata, invece, sottrae al magistrato ogni valutazione di questi motivi.

Se, infine, si tiene presente che l'art. 32, unificando le due procedure di ingiunzione di pagamento e di sfratto annulla anche i termini di esecuzione, la fondatezza della eccezione di incostituzionalità di detto articolo per contrasto con gli artt. 3, comma primo, e 24, commi secondo e terzo, della Costituzione apparirà ancor più evidente.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto nei giudizi promossi con le ordinanze del conciliatore di Napoli e del pretore di Salerno con deduzioni depositate in cancelleria rispettivamente il 24 gennaio ed il 18 settembre 1968.

Rileva l'Avvocatura nei suoi scritti difensivi che gli enti ed istituti di edilizia economica e popolare non perseguono scopi di lucro dovendo svolgere, a termini degli artt. 21 e 22 del testo unico n. 1165 del 1938, la propria attività a beneficio delle classi meno agiate assegnatarie di alloggi i cui corrispettivi locatizi non possono superare le somme strettamente necessarie per assicurare una gestione degli immobili in pareggio.

Ora é evidente che ci si trova di fronte a situazioni obiettivamente differenziate alle quali deve corrispondere un trattamento diverso e specifico.

Lo speciale procedimento coattivo per la morosità dell'inquilino disciplinato dall'art. 32 tende appunto ad assicurare il tempestivo pagamento e recupero di pigioni senza alcun margine di lucro la cui perdita porrebbe gli enti nell'impossibilità di funzionare per il perseguimento di quegli scopi di interesse pubblico in vista dei quali sono stati creati.

La rapida ed economica procedura prevista dalla disposizione impugnata non viola quindi il principio di eguaglianza sia perché trova una razionale giustificazione nelle anzidette ragioni di pubblico interesse, sia perché si applica a tutti gli assegnatari di alloggi, cioè a tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni.

Neppure sussiste ad avviso dell'Avvocatura, la denunciata violazione dell'art. 24 della Costituzione. Il procedimento speciale di cui all'art. 32 si differenzia da quello ordinario nella mancata previsione di una ordinanza di convalida dello sfratto e nella diversità del termine per proporre opposizione (cinque giorni anziché venti come stabilito dall'art. 641 o dieci giorni come indicato dall'art. 482 Cod. proc. civile). Questa diversità tuttavia non preclude né menoma la esplicazione del diritto di difesa da parie dell'assegnatario moroso e trova giustificazione nella ricordata esigenza di funzionamento degli Istituti nell'interesse della collettività degli assegnatari. Anche il ricorso all'istituto del gratuito patrocinio é da ritenersi salvaguardato dato che per l'art. 25 della legge 30 dicembre 1923, n. 3282, l'ammissione a tale difesa può essere disposta provvisoriamente in via d'urgenza.

Conclude pertanto l'Avvocatura chiedendo che la Corte voglia dichiarare non fondata la questione proposta.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze indicate in epigrafe propongono una identica questione di legittimità costituzionale e pertanto i relativi giudizi vengono riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Secondo le ordinanze l'art. 32 del testo unico dell'edilizia popolare ed economica approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto che per lo sfratto per morosità di inquilini meno abbienti, quali sono indubbiamente quelli delle case popolari, detta disposizioni diverse e meno favorevoli di quelle stabilite dal Codice di rito per gli inquilini morosi ancorché abbienti. Le più gravi ed ingiustificate limitazioni consisterebbero: nell'aver disposto l'unificazione delle due procedure di ingiunzione di pagamento e di sfratto, con conseguente annullamento, in danno del debitore, dei termini di esecuzione; nella mancata previsione di una ordinanza di convalida dello sfratto, che viene invece ordinato dal giudice, senza la preventiva audizione dell'interessato, con decreto steso in calce al ricorso del Presidente dell'Istituto; ed infine nell'aver notevolmente ridotto i termini per l'opposizione al decreto ingiuntivo e per il pagamento dei canoni scaduti (rispettivamente 5 e 10 giorni anziché 20). Limitazioni queste che violerebbero i principi di eguaglianza, della tutela giurisdizionale e della difesa garantiti dalla Costituzione.

3. - Venendo all'esame dei rilievi formulati la Corte non ravvisa alcun contrasto tra gli artt. 3 e 24 della Costituzione e le disposizioni riguardanti l'unificazione delle procedure di ingiunzione di pagamento e di sfratto e la conseguente mancanza di una ordinanza di convalida. Tali particolarità, infatti, tendendo ad assicurare all'Istituto una procedura più rapida per il recupero dei canoni scaduti e per il rilascio dell'alloggio da parte dell'inquilino inadempiente, si giustificano con la necessità di garantire il perseguimento degli scopi di pubblico interesse dell'Istituto e non comportano alcuna menomazione dei diritti di difesa e di tutela giurisdizionale del soggetto privato.

É agevole dimostrare che non sussiste l'asserita identità di situazione tra l'inquilino di una privata abitazione ed il concessionario di un alloggio popolare sul piano del rapporto locativo che li lega ai rispettivi proprietari dell'immobile. Nel primo caso ci si trova in presenza di un proprietario privato che dall'investimento di un capitale nell'acquisto di una casa e dalla locazione della stessa si propone di realizzare un profitto come corrispettivo del capitale impiegato, sicché il rapporto che si stabilisce con l'inquilino é di natura esclusivamente privatistica. Nel secondo caso, invece, proprietario dell'alloggio concesso in uso é un ente pubblico creato dallo Stato per il soddisfacimento di un proprio fine che si identifica con l'interesse e l'obbligo sociale di costruire appartamenti economici da porre a disposizione delle categorie di cittadini meno abbienti e più bisognosi. I canoni da questi corrisposti, determinati dagli Istituti in base a precisi requisiti fissati dall'art. 21 del testo unico, sono più modesti di quelli correnti sul mercato e non equiparabili alla controprestazione in senso privatistico dato che esula dagli Istituti in questione ogni finalità speculativa o di lucro. Ovviamente la natura pubblicistica sia degli enti che della funzione dai medesimi esplicata si ripercuote sul rapporto che si instaura tra l'Istituto e l'assegnatario allorché l'alloggio del primo viene concesso in uso al secondo, rapporto che, secondo la dominante giurisprudenza, trae origine da un atto di assegnazione avente il carattere della concessione amministrativa sebbene dalla stessa scaturiscano poi diritti soggettivi a favore del privato.

Dal concorso degli indicati elementi é quindi agevole inferire che il rapporto intercedente tra Istituti per le case popolari ed assegnatari degli alloggi presenta peculiarità e caratteristiche proprie, non riscontrabili nel comune rapporto di locazione, onde una diversa disciplina dello sfratto per morosità appare obiettivamente possibile e razionalmente giustificabile.

4. - Non altrettanto può dirsi in ordine ai termini fissati dall'art. 32 del testo unico per l'opposizione al decreto ingiuntivo (5 giorni) e per il pagamento dei canoni scaduti (10 giorni), termini notevolmente più brevi di quelli stabiliti dall'art. 641 del Codice di rito per l'ordinario procedimento di ingiunzione.

La Corte ha già avuto occasione di affermare che la congruità di un termine deve essere valutata tanto in rapporto all'interesse del soggetto che ha l'onere di compiere un certo atto per salvaguardare i propri diritti, quanto in relazione alla funzione assegnata all'istituto nel sistema dell'intero ordinamento giuridico. Ha tuttavia precisato che il diritto di difesa, al pari di ogni altro diritto garantito dalla Costituzione, deve essere regolato in modo da assicurarne la effettività. Orbene, facendo applicazione di tali enunciazioni al caso di specie, é da rilevare che se é vero che le finalità sociali cui attendono gli Istituti per le case popolari valgono a legittimare un procedimento coattivo di più rapida definizione, non é men vero che i termini assegnati dalla norma denunciata per l'eventuale opposizione e per sanare la mora sono così ristretti da rendere estremamente difficile la possibilità per l'assegnatario dell'alloggio di approntare un'utile difesa. Insufficienza di termini che apparrà ancor più evidente ove si ponga mente sia alla circostanza che destinatari degli stessi sono soggetti la cui tutela, in considerazione delle loro modeste possibilità economiche, potrà rendere necessario il ricorso all'istituto del gratuito patrocinio; sia all'estrema gravità della conseguenza che discende dal loro inutile decorso - e che non può essere in nessun caso evitata non essendo prevista l'opposizione tardiva - e cioè la perdita dell'abitazione.

Va pertanto dichiarata l'incostituzionalità della norma impugnata limitatamente a quelle parti in cui per l'opposizione e per l'adempimento fissa gli anzidetti inadeguati termini in luogo di quelli stabiliti dall'art. 641 del Codice di procedura civile per il comune procedimento ingiuntivo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dei commi terzo e settimo dell'art. 32 del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, nelle parti in cui per il pagamento dei canoni scaduti e per l'opposizione al decreto ingiuntivo fissano termini diversi da quelli previsti dall'art. 641 del Codice di procedura civile per l'ordinario procedimento ingiuntivo.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1969.