Sentenza n. 142 del 1969
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SENTENZA N. 142

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 10 maggio 1966, n. 5, recante estensione a tutto il territorio della Provincia di Udine, compreso il circondario di Pordenone, delle facoltà riservistiche della zona delle Alpi, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 14 marzo 1968 dal pretore di Palmanova nel procedimento penale a carico di Marconato Fulgido, iscritta al n. 93 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 6 luglio 1968 e nel Bollettino Ufficiale della Regione FriuliVenezia Giulia n. 22 del 27 giugno 1968;

2) ordinanza emessa il 3 maggio 1968 dal pretore di San Vito al Tagliamento nel procedimento penale a carico di Foratti Gian Giacomo, iscritta al n. 103 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 203 del 10 agosto 1968 e nel Bollettino Ufficiale della Regione Friuli- Venezia Giulia n. 22 del 27 giugno 1968;

3) ordinanza emessa il 28 giugno 1968 dal pretore di Udine nel procedimento penale a carico di Bovassi Gino Bruno e Zaramella Giovanni, iscritta al n. 248 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6 dell'8 gennaio 1969 e nel Bollettino Ufficiale della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 38 del 19 dicembre 1968.

Visti gli atti d'intervento del Presidente della Regione Friuli- Venezia Giulia;

udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1969 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

udito l'avv. Carmelo Carbone, per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 14 marzo 1968 nel corso di un procedimento penale a carico di Marconato Fulgido, il pretore di Palmanova ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativamente all'art. 1 della legge regionale 10 maggio 1966, n. 5, della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che la norma impugnata ha esteso all'intero territorio della provincia di Udine lo speciale regime giuridico della zona faunistica delle Alpi, previsto ed anche penalmente tutelato dal testo unico approvato con R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, che ne rimetteva la determinazione dei confini ad un decreto del Ministro per l'agricoltura e foreste, previo parere della Federazione italiana della caccia e del Comitato centrale della caccia (poi sostituito quest'ultimo dalla III sezione del Consiglio superiore dell'agricoltura e foreste ai sensi degli artt. 15, lett. l, e 23 del regio decreto 29 maggio 1941, n. 489).

Premesso che la zona delle Alpi interessa il territorio nazionale sia in relazione al bene oggetto della protezione così accordata che é costituito dalla specialissima fauna ivi esistente, sia in relazione alla sua estensione che comprende anche territori di numerose provincie dell'Italia settentrionale non facenti parte della regione Friuli-Venezia Giulia (cfr. il D.M. 15 aprile 1940 e successive modifiche), l'ordinanza fa notare che la competenza legislativa regionale in materia di caccia deve essere esercitata, in base all'art. 4 dello Statuto approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1, in armonia con la Costituzione e, fra l'altro, nel rispetto degli interessi nazionali per cui non potrebbe modificare i confini della predetta zona faunistica: la legge regionale avrebbe, comunque, in relazione ai luoghi cui estende il regime innanzi considerato, creato un precetto giuridico nuovo penalmente sanzionato, in violazione del principio della riserva di legge statale in materia penale, fissato all'art. 25, comma secondo, della Costituzione.

Sotto il profilo della rilevanza, il pretore fa presente che il giudizio in corso non può essere definito indipendentemente dalla questione sollevata, in quanto l'imputato é stato tratto a giudizio per un reato contravvenzionale, che sarebbe stato commesso nel territorio del Comune di Carlino incluso nella zona delle Alpi proprio ad opera della normativa impugnata.

2. - Con altra ordinanza, emessa il 3 maggio 1968 nel corso di un procedimento penale a carico di Foratti Gian Giacomo, il pretore di San Vito al Tagliamento ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativamente alla stessa normativa regionale, ma in riferimento oltre che all'art. 25, secondo comma, anche agli artt. 3 e 5 della Costituzione.

Chiarite le ragioni a sostegno della rilevanza della questione dedotta, il giudice a quo fa valere nel merito per quanto concerne l'art. 25, secondo comma, della Costituzione argomenti sostanzialmente analoghi a quelli già esposti nella ordinanza che precede ed a cui aggiunge, in riguardo alle altre due norme costituzionali invocate come parametri del giudizio, ulteriori considerazioni tendenti a dimostrare in particolare: a) che la legislazione regionale del Friuli-Venezia Giulia in materia di caccia, da svolgere a norma dell'art. 4 dello Statuto in armonia con la Costituzione e nel rispetto degli interessi nazionali e dei princìpi che informano il nostro ordinamento giuridico, non avrebbe potuto modificare i confini della zona delle Alpi, essendo stati questi già determinati con il R.D. 5 giugno 1939 ed il D.M. 15 aprile 1940; b) che la legge regionale in questione non avrebbe abrogato, ma anzi recepito mediante esplicito richiamo i suddetti decreti ministeriali; c) che una eventuale potestà di modifica o di abrogazione di quei decreti sarebbe stata in ogni caso male esercitata dalla legge regionale, in mancanza dei pareri obbligatori prescritti dall'art. 5 del regio decreto n. 1016 del 1939; d) che la stessa legge regionale - cui deve darsi atto di non aver esplicitamente modificato la dimensione territoriale dei confini, ma di essersi limitata esclusivamente ad estendere ai territori in essa considerati un regime giuridico che ad essi non spetta e non può spettare in relazione al bene che si vuol tutelare - darebbe vita ad un tentativo di costituire privilegi sotto l'osservanza formale ma non sostanziale della legge; e) che essa non perseguirebbe il fine della tutela di un tipo eccezionale di selvaggina, ma, come si evince dai verbali di discussione e dalla relazione che ha accompagnato la proposta di legge, il diverso obiettivo di favorire il sorgere di riserve comunali previste per la "Zona delle Alpi"; f) che, infine, la stessa legge regionale creerebbe un precetto giuridico, nuovo rispetto ai luoghi, facendo ricorso ad una applicazione analogica in malam partem vietata dall'art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile e violerebbe, pertanto, il principio di riserva penale in favore dello Stato, già esaminato nella sentenza n. 21 del 1957 della Corte costituzionale, che ha ribadito la preclusione alle regioni di un potere legislativo penale operando esplicito riferimento agli artt. 3, 5 e 25 della Costituzione.

3. - Una terza ordinanza, emessa il 28 giugno 1968 dal pretore di Udine nel corso di un procedimento penale a carico di Bovassi Gino Bruno e di Zaramella Giovanni, propone a sua volta con analoga motivazione in riferimento agli artt. 3, 5 e 25, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della stessa legge regionale, limitatamente alle parole "Lo speciale regime giuridico... Viene esteso...", che consentono l'applicazione di sanzioni penali contenute nel testo unico sulla caccia a fatti commessi fuori del territorio considerato zona delle Alpi.

Tutte e tre le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, risultano pubblicate rispettivamente la prima nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 6 luglio 1968 e nel Bollettino Ufficiale della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 22 del 27 luglio 1968; la seconda nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 10 agosto 1968 e nel Bollettino Ufficiale della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 22 del 27 giugno 1968; la terza nella Gazzetta Ufficiale n. 6 dell'8 gennaio 1969 e nel Bollettino Ufficiale della Regione Friuli- Venezia Giulia n. 38 del 19 dicembre 1968.

4. - In tutti e tre i giudizi si é costituita la difesa della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con atto di intervento e deduzioni depositate il 25 luglio 1968, il 30 agosto 1968 ed il 28 gennaio 1969, chiedendo una declaratoria di infondatezza delle questioni in oggetto.

Rileva la difesa della Regione che il testo unico sulla caccia non delimita direttamente l'estensione della zona faunistica delle Alpi, ma ne affida la determinazione dei relativi confini ad un decreto del Ministro per l'agricoltura e le foreste. Per conseguenza, nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia, quest'ultima che, ai sensi dell'art. 4 dello Statuto, ha competenza legislativa esclusiva in materia di caccia, non può non godere in sede amministrativa delle attribuzioni che nella stessa materia competono al Ministro per l'agricoltura per le altre regioni: e così come il Ministro non crea con il suo decreto nuovi illeciti penali ma incide unicamente sul presupposto del reato contravvenzionale considerato quando amplia i confini di quella zona, allo stesso modo la Regione estendendo ad una sua provincia quel regime giuridico non porrebbe in essere un nuovo precetto penale e non violerebbe la riserva di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Se poi - prosegue la difesa della Regione - alla violazione della legge regionale consegue l'applicazione di una pena fissata in legge statale, si tratta di una questione che deve essere risolta dal giudice penale come ha osservato la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 68 del 1963.

Né sussisterebbe al riguardo alcun vizio di ordine procedurale per la mancata audizione dei pareri obbligatoriamente richiesti dall'art. 5 del testo unico del 1939 per l'emanazione del decreto del Ministro per l'agricoltura e foreste, in quanto la Regione esercita la sua competenza esclusiva secondo la disciplina stabilita in Costituzione e nello Statuto, senza che possano trovare applicazione le norme statali già vigenti per gli atti amministrativi dello Stato ed ormai caducate a seguito dell'avvenuto trasferimento di attribuzioni.

Le considerazioni innanzi svolte dovrebbero, infine, valere anche contro il generico richiamo dell'ordinanza di rimessione agli artt. 3 e 5 della Costituzione, motivato con riferimento alla sentenza n. 21 del 1957 della Corte, probabilmente nel presupposto che il principio di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione discenda dai criteri informatori consacrati in quelle norme.

Tali deduzioni sono state poi ulteriormente sviluppate in una successiva memoria depositata il 16 ottobre 1969, sulla base anche di argomenti tratti in favore della legittimità della normativa impugnata dalla decisione n. 59 del 22 giugno 1965 della Corte costituzionale.

5. - All'udienza la difesa della Regione ha insistito nelle conclusioni precedentemente formulate.

 

Considerato in diritto

 

1. - I tre giudizi, promossi con le ordinanze dei pretori di Palmanova, San Vito al Tagliamento e Udine, hanno ad oggetto analoghe questioni concernenti la stessa disposizione di legge regionale e possono pertanto essere decisi congiuntamente con unica sentenza.

2. - Nei suoi termini essenziali, comuni a tutte le ordinanze, la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 10 maggio 1966, n. 5, che nel suo art. 1 (ed unico) estende "il regime giuridico della zona faunistica delle Alpi, previsto dal testo unico regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016, e dalle altre leggi dello Stato" alla intera Provincia di Udine, compreso il circondario (oggi Provincia) di Pordenone, é prospettato sotto il profilo della violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione (cui le ordinanze dei pretori di San Vito al Tagliamento e di Udine aggiungono di rincalzo i più generali princìpi degli artt. 3 e 5).

Secondo l'assunto delle ordinanze, poiché la disciplina della zona faunistica delle Alpi é penalmente sanzionata dalla legge statale, la legge regionale si risolverebbe nella introduzione di un precetto penale nuovo in contrasto con la riserva assoluta di legge statale che sarebbe posta dal secondo comma dell'art. 25 della Costituzione.

3. - La questione non é fondata. Per giungere a questa conclusione non é necessario riprendere in esame il problema generale della "riserva" istituita dal secondo comma dell'art. 25 della Costituzione né quello dai limiti che ne derivano alla potestà legislativa delle Regioni anche se a statuto speciale, con particolare riferimento a materie (come quella in oggetto) la regolamentazione delle quali consiste, per la loro intrinseca natura, di autorizzazioni, limiti e divieti: che sarebbero vanificati se sprovvisti di adeguata sanzione. Nella specie oggi sottoposta al giudizio della Corte, infatti, la Regione altro non ha fatto se non esercitare la competenza legislativa primaria ad essa attribuita dall'art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, assoggettando l'intera Provincia di Udine e quella di Pordenone alla disciplina giuridica sostantiva dettata dal testo unico del 1939 per la zona faunistica delle Alpi. Per conseguire tale risultato, la Regione ha operato mediante rinvio, facendo proprio il contenuto della disposizioni legislative statali sulla zona delle Alpi. Va da sé che le sanzioni penali continuano a ricevere applicazione, per forza propria, ossia come sanzioni poste da leggi statali, in qualsiasi luogo in cui sia legittimamente vigente il rispettivo regime giuridico, e perciò anche nelle Province di Udine e Pordenone, dal momento che a quel regime anch'esse sono state sottoposte.

Non fa differenza che la legge statale intervenga successivamente a comminare sanzioni penali per l'inosservanza di norme regionali e che, invece, come nel caso presente, tali sanzioni già esistano nella legislazione statale, identicamente operando così nell'ipotesi di trasgressioni delle norme poste dalle leggi dello Stato, come nell'ipotesi di trasgressione di norme regionali posteriormente emanate ed aventi - nella specie - lo stesso contenuto e lo stesso oggetto di quelle (tratte come sono, per rinvio, secondo si é detto, dalle disposizioni del testo unico del 1939). Tanto più che il testo unico non determina esso stesso, direttamente, l'ambito territoriale della zona faunistica delle Alpi, ma ne rimette la determinazione - nel restante territorio nazionale - a decreti del Ministro per l'agricoltura e foreste.

Né siffatta situazione viene a mutare allorché, versandosi in materia di competenza della Regione e questa essendo stata esercitata, sia la Regione ad operare quella determinazione. Se alla Regione fosse vietato di legiferare, direttamente o mediante rinvio, in materia di caccia sol perché le norme da essa emanate comportano l'applicazione di pene predisposte da norme statali con riferimento alle stesse fattispecie o a fattispecie comprensive anche di quelle risultanti dalla legge regionale, alla Regione verrebbe in realtà sottratta una competenza, che statutariamente le spetta.

4. - Del pari prive di fondamento sono le ulteriori censure, adombrate nella motivazione dell'ordinanza del pretore di San Vito al Tagliamento.

Così é del rilievo, secondo cui la legge regionale denunciata avrebbe perseguito il fine di consentire ai comuni inclusi nei territori delle Province di Udine e Pordenone la costituzione di riserve comunali di caccia: giacché nessun argomento viene poi addotto per dimostrare che un tale fine sarebbe costituzionalmente vietato alla Regione, così che, anche ad ammettere che, in punto di fatto, l'illazione del pretore risponda al vero, non ne seguirebbe per ciò solo un vizio di legittimità costituzionale della legge regionale. É da soggiungere al riguardo che l'applicazione dello speciale regime della zona faunistica delle Alpi implica - oggettivamente - una maggior tutela della fauna locale, ciò che senza dubbio é conforme all'interesse nazionale (cui genericamente si richiama la stessa ordinanza, come pure quella del pretore di Palmanova) che sta a fondamento della legislazione statale in materia. Ne offre indiretta conferma l'art. 21 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, contenenti norme di attuazione dello Statuto del Trentino-Alto Adige, che fa obbligo a questa Regione di non diminuire la protezione attualmente concessa alla selvaggina in dipendenza dell'appartenenza del territorio alla zona faunistica delle Alpi.

Quanto alla censura dei "principi che informano il nostro ordinamento giuridico", per avere la legge regionale modificato i confini della zona delle Alpi senza i pareri prescritti dall'art. 5 del testo unico del 1939, é sufficiente osservare che la Regione non ha sostituito una propria legge ai concreti provvedimenti amministrativi che sarebbero, fuori della Regione, di competenza del Ministro dell'agricoltura e foreste; ma, legiferando per relationem, ha sottoposto una parte del suo territorio alla medesima identica disciplina prevista dalla legge statale per le località rientranti nella zona faunistica delle Alpi.

La vera portata della legge regionale denunciata sta precisamente, come già risulta dalle considerazioni sopra svolte al punto secondo, in una equiparazione legale, ai fini della disciplina della caccia, del territorio di Udine e Pordenone agli altri territori nei quali vige lo speciale regime giuridico dettato per la zona delle Alpi. La Regione, in altre parole, ha scelto e adottato, in relazione alle province anzidette, la disciplina legislativa ritenuta più adeguata alle particolari esigenze locali e perciò all'interesse della stessa Regione; ma, anziché ex novo, ha manifestato la propria volontà legislativa rinviando a quella parte della legislazione statale da cui quella disciplina é posta. Per questo aspetto la situazione é analoga a quella su cui ebbe già occasione di pronunciarsi questa Corte, sotto altro profilo, con la sentenza n. 11 del 3 marzo 1959, punto primo della motivazione, relativa alla legge regionale sarda 30 marzo 1957, n. 30.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione del Friuli-Venezia Giulia 10 maggio 1966, n. 5, portante estensione a tutto il territorio della Provincia di Udine, compreso il circondario di Pordenone, delle facoltà riservistiche della zona delle Alpi, sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 29, secondo comma, 3 e 5 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 20 novembre 1969.